Un silenzio totale.
Cercato, voluto, insistito.
Perché, si spera, con il silenzio, di coprire l’imbarazzo, la vergogna, la colpa.
E fin qui, va detto, l’obiettivo è stato raggiunto.
Nessuno che si alzi a puntare il dito.
Nessun evento fragoroso per squarciarlo, il maledetto silenzio. Niente fiaccolate.
Niente lenzuola ai balconi.
Nessun appello di intellettuali.
Niente di niente.
Tace il governo italiano.
Tace il suo premier campione di logorrea.
Tace anche il governo indiano.
Che ha deciso di disertare Expo 2015.
O meglio, per parafrasare un celebre monologo di Nanni Moretti, ha scelto di esserci, ma non ufficialmente, con un bizantinismo formale che lo umilia e umilia l’Italia.
Proviamo noi, allora, a rompere il silenzio.
Lo facciamo, con rabbia e speranza, tornando a scrivere dei due marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,
oggi lontani 10.382 chilometri l’uno dall’altro (Latorre è
convalescente a Taranto; Girone è agli arresti nell’ambasciata italiana
di Nuova Delhi), ma, da tre anni e quattro mesi, uniti dentro la stessa,
infame storia.
Questa: sono accusati, senza prove, di aver ucciso due pescatori indiani il 15 febbraio del 2012 nelle acque del Kerala, stato dell’India sud occidentale.
Due presidenti della Repubblica (Giorgio Napolitano, che nemmeno li citò nel discorso d’addio; e Sergio Mattarella, che rimediò alla gaffe del predecessore inserendoli nel discorso d’insediamento), tre presidenti del consiglio (Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi) e cinque ministri degli esteri (Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, Mario Monti che lo sostituì ad interim, Emma Bonino, Federica Mogherini e Paolo Gentiloni) non sono stati capaci di risolvere la faccenda.
Come questa debacle diplomatica sia stata possibile lo racconta, bene, un giornalista serio, Toni Capuozzo, nel libro in uscita da Mursia che s’intitola “Il segreto dei marò”.
Le parole di Capuozzo compongono un quadro devastante per l’Italia, facendo emergere, con chiarezza, ciò che le risse fra gli ex montiani avevano lasciato abbondantemente intuire.
In sintesi: molti, ai vertici dello Stato e nell’amministrazione militare, riuniti in un perverso intreccio di business e carrierismo, hanno anteposto il tornaconto personale alla liberazione di Latorre e Girone.
La cui odissea, piaccia o meno, tra pochi giorni tornerà a far notizia.
Scade, infatti, il 15 luglio la licenza di convalescenza concessa dalle autorità indiane a Latorre, operato al cuore il 5 gennaio scorso al Policlinico San Donato (Milano). E, quindi, se non interverrà un deus ex machina, il buon Massimiliano dovrà tornare a Delhi dall’amico Salvatore, che, nel frattempo, è riuscito a studiare e a diplomarsi via Skype (chapeau!).
Già, Skype.
La
moglie Vania e i figli Michele (14 anni) e Martina (8 anni) solo grazie
a Skype sono riusciti a far sentire quotidianamente il loro affetto a
Girone. Che hanno incontrato per l’ultima volta a Pasqua, in un’ambasciata svuotata dalle vacanze e presidiata solo dai carabinieri, con tanti saluti al bon ton istituzionale e, più banalmente, alla buona educazione…
Salvatore,
però, non si è fatto piegare da niente e da nessuno. E ora aspetta di
riabbracciare Massimiliano. Ma a Nuova Delhi o in Italia?
Lo scopriremo solo il 15 luglio.
Nel
frattempo ci limitiamo a ricordare che, a oltre tre anni dai fatti di
cui vengono accusati, i marò (che, tutti lo sanno, sono due e non tre,
come disse, con una celebre gaffe, Giovanni Toti, neogovernatore della Liguria) aspettano ancora il processo.
Sono detenuti in attesa di giudizio, insomma.
E, soprattutto, in attesa di uno Stato che, vergognosamente, si nasconde – appunto - nel silenzio…
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