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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

25/06/14

Calcio allo sbando per un Paese allo sbando



 

 Ieri non ho visto la partita. Ci hanno pensato però questa mattina le principali testate giornalistiche a ragguagliarmi sul tema. Quanta prevedibile e irritante retorica...


Ieri non ho visto la partita. Ci hanno pensato però questa mattina le principali testate giornalistiche a ragguagliarmi sul tema. Quanta prevedibile e irritante retorica. Giochetti di parole di bassa lega; i soliti soloni che si sprecano in giudizi e sentenze non richieste; ardite metafore e paralleli da brivido che in confronto le vertigini d'altezza sono robetta da dilettanti.
Prandelli e Abete si sono dimessi. Senza far rumore. In silenzio. Con dignità e rispetto, per se stessi e per le istituzioni che rappresentano.
Questa è la notizia da prima pagina. In un paese come il nostro, dove i deretani sono incollati alle poltrone come le cozze agli scogli, il loro gesto sembra quasi eroico.
Siamo stati sconfitti. E allora? Succede. Facciamocene una ragione. È la regola dello sport. Come insegnava il grande de Coubertin, “l’importante non è vincere, ma partecipare”.
Noi però siamo stati sconfitti due volte. Questa mattina è morto Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ferito gravemente a Roma lo scorso 3 maggio negli scontri pre partita, e da allora ricoverato al Policlinico Gemelli, in condizioni disperate.
Non ce l'ha fatta. D'altra parte era immaginabile con una ferita come la sua.
Ecco, questa è una sconfitta. Un monito. Secco, implacabile che non conosce appello e ancor meno dilazioni.
Se proprio questo benedetto calcio deve essere metafora, che allora venga letto attraverso una lente che metta a fuoco quel che si può fare e non solo e sempre quello che bisogna eliminare.
Basta con questa gogna mediatica di tutto e di tutti.
Basta con la politica del contro.
Recuperiamo il valore della politica del "FARE A FAVORE DI" qualcosa.
Pratica semplice e virtuosa, della quale si è persa ogni traccia e minima memoria.
Riconquistarla è possibile a patto però che si abbia cortezza del come e del cosa fare.
Oggi sembra che ogni speranza sia riposta nel fatidico e tanto di moda "ricambio generazionale". Lo stiamo invocando per la nazionale di calcio. L'abbiamo declinato in ogni sfumatura per la nostra politica. Lo abbiamo ottenuto. Senza volerlo. Senza sceglierlo. ll "caso" ci ha imposto il più giovane presidente del Consiglio che la storia della nostra dubbia Repubblica ricordi.
Dopo i 100 giorni, il giovane RENZI NAPOLEONE  - vorrei ricordare che Napoleone, al termine dei suoi , è stato relegato a Sant'Elena - se ne è concessi altri 1000, così, tanto per gradire.
Ma è giovane, irruento, si farà.
Eppure aveva detto che se non fosse riuscito a rivoluzionare il paese nei primi tre mesi di mandato, l'avrebbe rimesso nelle mani di Napolitano e si sarebbe dimesso.
Già, aveva anche detto che non sarebbe mai salito al Colle senza un’investitura ufficiale dei cittadini. Tradotto: non sarebbe mai stato Presidente del Consiglio senza la diretta investitura del popolo italiano.
Ma è giovane, si farà.
Siamo tutti molto fiduciosi sul giovane. Fiduciosi sulla sua integerrima gestione del paese Fiduciosi della sua fresca vitalità e ottimismo, da giovane, da quarantenne, da neofita, da debuttante. Fiduciosi del fatto che almeno lui, forse, si renderà conto che il nostro è un paese che non è più nemmeno allo sbando, ma in bando. Come una barca in mezzo al mare, senza timone e senza vele, abbandonato alla corrente.
Tutto è grottesco in questa Italia. Tutto sembra parte di una tragica commedia dove i personaggi, come un incubo, sono sempre gli stessi, sempre più famelici, sempre più foschi, sempre più mostruosi. Mostri che tutto divorano, dagli insaziabili appetiti. Ossessionati dalle ghiande e indifferenti agli alberi che le producono.
Eppure qualcuno dovrebbe dirgli che a furia di occuparsi di ghiande e abbandonare gli alberi, gli alberi cadranno, crolleranno, marciranno, moriranno, e con loro addio ghiande! E addio cibo, addio risorse, addio. Si chiude. E la festa finisce. Per tutti. Ma soprattutto per loro.
Questo discorso è ancor più valido se si pensa allo stato nel quale versa l'unica risorsa –leggasi albero - che ci resta, sfuggita agli appetiti famelici perché ritenuta priva di interesse economico: LA CULTURA. Infatti, sappiamo tutti che "con la cultura non si mangia". L'unico che sembrava essersi accorto del contrario, al punto di definirla "il petrolio dell'Italia", è stato Walter Veltroni, quando era Ministro della Cultura. Un secolo fa.
Da allora, questo petrolio non solo non è stato estratto, incanalato e valorizzato ma oggi in molti casi rischia di andare perduto in modo irreversibile. Un esempio per tutti: Pompei e Villa Adriana. Entrambi sull'orlo del tracollo e del crollo, al quale noi cittadini assistiamo, in un assordante silenzio.
Se dunque la cultura deve essere "il petrolio d’Italia", è indispensabile e cruciale che politici, direttori, funzionari - lascio stare gli impiegati di ogni livello perchè è dalla testa che partono i problemi, mai dai piedi -  di questa pachidermica macchina pubblica dei BENI CULTURALI ITALIANI, "acquistino la consapevolezza di essere i fortunati gestori di un giacimento, e non i malinconici, burocratici liquidatori di una storia di degrado".
Insomma, occorre avere idee e visioni d'insieme più alte e più generose verso il paese. Ma sopratutto non è più ammissibile che la cosa pubblica, la Res publica, venga gestita e amministrata come Res privata.

Mercoledì, 25 giugno 2014
di Manuela Alessandra Filippi 

fonte: http://www.affaritaliani.it

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