Donald Trump, come previsto, rompe gli argini e nella prima settimana
da inquilino della Casa Bianca conferma tutte le intenzioni manifestate
nel programma che lo ha portato a vincere le elezioni presidenziali.
In politica estera ribadisce il rinnovato asse con Londra nell’incontro con Theresa May, il premier britannico elogiata per l’uscita dall’Unione Europea che Trump definisce pubblicamente uno strumento controllato dalla Germania e avversario degli Stati Uniti.
In politica estera ribadisce il rinnovato asse con Londra nell’incontro con Theresa May, il premier britannico elogiata per l’uscita dall’Unione Europea che Trump definisce pubblicamente uno strumento controllato dalla Germania e avversario degli Stati Uniti.
Non è un caso che la signora May sia stata il primo capo di Stato a
incontrare Trump dopo l’insediamento alla Casa Bianca, a conferma di
un’ulteriore smarcamento britannico dalla Ue i cui leader continuano a
esprimere perplessità se non addirittura disprezzo (è il caso di Lean
Claude Juncker e Francois Hollande) nei confronti del nuovo presidente
statunitense.
La riconferma dell’intesa anglo-americana, che sembra voler rinnovare
i fasti raggiunti negli anni ’80 dalla coppia Ronald Reagan-Margareth
Thatcher, avrà probabilmente tra i suoi obiettivi il contenimento della
Cina e il contrasto alla Ue “germanocentrica”.
Obiettivi che, pur con “stile” e linguaggio diversi, erano stati perseguiti anche da Barack Obama che non a caso si rammaricò dell’esito del referendum britannico di giugno valutando che con l’uscita di Londra la Germania avrebbe assunto indisturbata le redini dell’Europa grazie a un asse con la Francia che, militarmente parlando, è ancora la maggiore potenza del Vecchio Continente.
Obiettivi che, pur con “stile” e linguaggio diversi, erano stati perseguiti anche da Barack Obama che non a caso si rammaricò dell’esito del referendum britannico di giugno valutando che con l’uscita di Londra la Germania avrebbe assunto indisturbata le redini dell’Europa grazie a un asse con la Francia che, militarmente parlando, è ancora la maggiore potenza del Vecchio Continente.
Pur senza usare la retorica di facile presa e un po’ da cow-boy di
Trump, Obama aveva in più occasioni criticato la politica economica
basata sull’austerity che Berlino ha imposto ai partner.
Politica funzionale ad ampliare il dominio tedesco sull’economia
degli altri paesi Ue ma che secondo Obama ostacola la ripresa
dell’economia mondiale dopo la crisi scoppiata nel 2008.
La richiesta al generale James Mattis, segretario alla Difesa, di
mettere a punto un piano per incrementare la guerra allo Stato Islamico
conferma la volontà di Trump di vincere il lungo conflitto col jihadismo
iniziato ufficialmente l’11 settembre 2001 ma in realtà in atto già da
dieci anni prima. Una guerra all’estremismo islamico che Trump ritiene
possa essere vinta sui campi di battagli grazie a un’intesa con la
Russia basata proprio sulla necessità di combattere il nemico comune.
Un’opzione che, se concretizzata, permetterà all’asse
Mosca-Washington di affrontare con maggiore incisività la guerra al
jihad dalla Siria all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia.
I provvedimenti sul fronte interno assunti da Trump vanno nella stessa direzione. Lo stop all’ingresso di cittadini islamici provenienti dai Paesi a più intensa e capillare presenza jihadista, inclusi Iraq e Siria, lascia intendere che ormai è stata maturata la consapevolezza della pericolosità intrinseca di un’immigrazione islamica dalle potenzialità esplosive in termini di terrorismo e proselitismo.
I provvedimenti sul fronte interno assunti da Trump vanno nella stessa direzione. Lo stop all’ingresso di cittadini islamici provenienti dai Paesi a più intensa e capillare presenza jihadista, inclusi Iraq e Siria, lascia intendere che ormai è stata maturata la consapevolezza della pericolosità intrinseca di un’immigrazione islamica dalle potenzialità esplosive in termini di terrorismo e proselitismo.
L’annuncio di privilegiare l’accoglienza di rifugiati cristiani va in
questa direzione ed evidenzia ancora di più le differenze con un’Europa
ormai in balìa della minaccia interna di matrice islamista ma incapace
di assumere decisioni politiche efficaci e consequenziali.
L’incremento della lotta all’immigrazione clandestina, simboleggiato
con il via al completamento del muro lungo il confine col Messico può
apparire un evidente simbolo del “razzismo” di Trump solo a chi finge di
non sapere che quel muro venne eretto per la parte già completata dal
democraticissimo Bill Clinton mentre sotto l’amministrazione Obama gli
Stati Uniti hanno respinto migliaia di cubani che tentavano di
raggiungere la Florida con barconi e gommoni ed espulso quasi 3 milioni
di immigrati clandestini, per lo più messicani e centro-americani.
Che Trump voglia continuare su questa strada bloccando futuri
ingressi illegali ed espellendo almeno lo stesso numero di clandestini
di Obama scegliendoli prioritariamente tra coloro che hanno commesso
reati e crimini, può stupire solo un’Europa che ha ormai rinunciato ad
esercitare qualunque tipo di sovranità inclusa quella sui suoi confini.
“Una nazione senza frontiere non è una nazione” ha detto il neo
presidente americano. Una frase che suonerebbe banale in ogni epoca
storica ma che diventa rivoluzionaria (o reazionaria, a seconda dei
punti di vista) nell’Occidente di oggi, specie in Europa. Un’espressione
che offre una sponda, da questa parte dell’Atlantico, ai movimenti
patriottici che si oppongono agli sbarchi indiscriminati di milioni di
asiatici e africani quasi tutti di fede islamica.
Meglio però non farsi illusioni e non contare troppo su Trump come
paladino dei partiti cosiddetti “sovranisti” o populisti europei.
Attenzione infatti a considerare Trump, come i suoi predecessori, un
“amico” o un “nemico”. Il presidente degli USA difenderà sempre gli
interessi americani sia che lo dica apertamente (America First!) sia che
esprima concetti opposti come il “multilateralismo” o l’inconcludente
“soft power” enunciati a suo tempo da Obama.
Trump sostiene i movimenti populisti e nazionalisti europei perché sono lo strumento più funzionale al contrasto a un’Unione Europa considerata espressione di un nascente “Quarto Reich” tedesco.
Trump sostiene i movimenti populisti e nazionalisti europei perché sono lo strumento più funzionale al contrasto a un’Unione Europa considerata espressione di un nascente “Quarto Reich” tedesco.
Non può essere casuale che Trump stia stringendo nuovamente
l’alleanza con Londra, una “relazione speciale” dalle radici lontane che
si era molto diluita dopo l’uscita di scena di George W. Bush e Tony
Blair, ma al tempo stesso punti a un’ampia intesa strategica con Mosca.
Fa quasi sorridere pensare che gli stessi alleati di 70 anni fa sono
di nuovo pronti a mobilitarsi contro l’egemonia tedesca nell’Europa
continentale, uno schema storico che richiama le parole di Winston
Churchill che dopo la vittoria del 1945 prefigurò un nuovo scontro in
Europa “tra 50 anni” quando la Germania rialzerà la testa. Potrebbe non
essere una coincidenza che Trump abbia voluto che il busto di Churchill,
fatto rimuovere da Obama, tornasse al suo posto nella Sala Ovale della
Casa Bianca.
L’opportunità di rientrare nel novero delle grandi potenze grazie al
“patto d’acciaio” con Trump non è sfuggita al governo di sua Maestà,
pronto a compiere un’inversione clamorosa di marcia sulla Siria,
accettando ora che Bashar Assad resti al suo posto come pretende Mosca.
Oltre alla Germania nel mirino di Trump c’è però anche la Cina contro
la quale il presidente sembra voler utilizzare due strumenti: il
potenziamento militare e soprattutto navale nel Pacifico e una guerra
commerciale con la limitazione dell’accesso delle merci cinesi al
mercato americano.
Una decisione giudicata da molti azzardata ma che sta premiando Trump anche con un boom senza precedenti di Wall Street.
Una decisione giudicata da molti azzardata ma che sta premiando Trump anche con un boom senza precedenti di Wall Street.
L’obiettivo strategico sembra quello di portare Pechino verso un
ulteriore corsa al riarmo che coincida con il crollo, o almeno lo stop
alla crescita della sua economia (già pericolante) che potrebbe
determinare ampie rivolte e disordini interni in un Paese dove oltre un
miliardo di persone vivono in condizioni difficili, sotto il tallone di
un regime oppressivo quanto corrotto e nutrono una crescente sfiducia
nei confronti delle istituzioni locali e centrali.
Trump sembra avere in mente qualcosa di simile alla strategia
adottata da Ronald Reagan contro l’Unione Sovietica. Del resto anche
l’ex attore di Hollywood che cambiò il mondo e la sua mappa venne
accolto al suo insediamento con marce di protesta, insulti e dal
disprezzo dagli ambienti intellettuali, radical-chic e di sinistra.
In fondo “continuità” potrebbe significare per Trump anche concludere coni regimi cinese e nordcoreano l’opera di demolizione del comunismo avviata da Reagan con l’Urss.
In fondo “continuità” potrebbe significare per Trump anche concludere coni regimi cinese e nordcoreano l’opera di demolizione del comunismo avviata da Reagan con l’Urss.
Foto Reuters e AP
di Gianandrea Gaiani - 30 gennaio 2017
fonte: http://www.analisidifesa.it
Nessun commento:
Posta un commento