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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

02/02/17

Matteo Renzi: dietro le parole, niente



 


Nella corsa al voto anticipato è Matteo Renzi a tenere, più degli altri, il piede schiacciato sull’acceleratore. È solo crisi d’astinenza dal potere? Non proprio. A monte della fregola per il voto anticipato c’è un problema di coscienza sporca sulla gestione dei danari pubblici.
Renzi trema alla sola idea di doversi presentare al giudizio degli elettori a scadenza naturale di legislatura nella primavera del 2018, a pochi giorni di distanza dalla manovra finanziaria del 2017 che sarà lacrime e sangue. Dopo gli anni dell’allegra finanza del suo governo tocca rimettere a posto i conti. È come dopo una festa con gli amici: non puoi lasciare casa ridotta a un porcile. Si dirà: c’è il servizievole Paolo Gentiloni a fare pulizia. Giusto! Ma gli elettori non sono tonti, sanno benissimo con chi prendersela per il conto salato da pagare. Come sanno bene di chi è la colpa per la strigliata rimediata, in questi giorni, dai guardiani europei dei nostri conti che ci intimano di rientrare dell’ultimo “buffo” renziano di tre miliardi e rotti di euro sul deficit. La furbizia, almeno a Bruxelles, non paga e spetta a Gentiloni intestarsi una manovra correttiva in corso d’opera per sistemare le partite contabili aperte surrettiziamente dal suo predecessore. C’è poi la bomba a orologeria del Jobs Act. Tra non molto si scoprirà che è stata una “bufala”. L’effetto doping degli sgravi fiscali sul costo del lavoro ha prodotto l’allucinazione della ripresa occupazionale. Era fin troppo evidente che, ridotti fino all’azzeramento i benefici, vi sarebbe stato un contraccolpo sulla curva occupazionale con un picco negativo previsto per il prossimo anno. Andare al voto prima significa non dover scoprire il bluff. E soprattutto non pagarlo in perdita di consenso.
Ma se Renzi è sofferente, anche il suo partito si sente poco bene. È in preda alle convulsioni preagoniche delle sue molte anime. Fioccano le minacce di sfracelli prossimi venturi. Verrebbe da pensare che la situazione è grave ma non è seria, visto che finora lo scannamento è stato virtuale: solo illusione ottica, fantasia letteraria, reale come la vita su Marte. Il dramma, quello sì autentico, è che non c’è niente di concreto dietro le forme concave del brulicante attivismo interno. Ciò che davvero agita le acque del Partito Democratico è la preoccupazione, tutta umana, per quel folto personale politico a rischio licenziamento, di accaparrarsi uno strapuntino nel prossimo Parlamento. E non c’è nulla neanche nel leader, autoproclamatosi campione di novità.
Matteo Renzi sta guidando i suoi in una corsa verso l’ignoto a fari spenti nella notte, per citare Lucio Battisti. Non c’è visione del mondo in quello che fa. I suoi interventi pubblici? Sequenze di battute e motti di spirito senza costrutto. Non è che lui sia incapace di un pensiero compiuto, il problema vero è che la sinistra, in tutte le sue declinazioni e articolazioni, ha finito la benzina. Non è questione soltanto italiana, piuttosto investe tutte le società dell’Occidente avanzato. Basta guardare alla Francia, alla Germania o al Regno Unito per accorgersi che ovunque la sinistra tradizionale non ha più niente da dire ai suoi bacini di consenso, alcuni dei quali neanche esistono più. Financo l’enfasi propagandistica caricata nella denuncia del populismo montante, a ben vedere, è aria fritta che serve a nascondere la polvere del vuoto di visione sotto il tappeto della Storia del nuovo millennio. Ma, attenzione! Di là dai facili entusiasmi per la scomparsa della sinistra dalle mappe del grande pensiero contemporaneo, la destra stia in allerta perché il rischio di essere risucchiata nel vortice della caduta della controparte è più che concreto.
La critica della perdita della politica vale per Renzi, per il suo partito e per tutti i corpuscoli sospesi nel campo smagnetizzato del progressismo, ma vale altrettanto per la parte avversa: se non si ha la capacità di vedere oltre, se non si sapranno disegnare scenari credibili, se la politica alta non torna a fare capolino nel dibattito pubblico, se i “ragionamenti” complessi non spazzeranno via il ciarpame dei pensierini inscatolati nei tweet, non saranno certo i cittadini a metterci l’ennesima pezza a colori rinnovando il mandato a una classe politica frusta, priva di adeguata garanzia di lungimiranza sui destini della comunità. Allora sarà un unico, devastante hashtag: #tuttiacasa!

di Cristofaro Sola - 02 febbraio 2017

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