Nella corsa al voto anticipato è Matteo Renzi a tenere, più
degli altri, il piede schiacciato sull’acceleratore. È solo crisi
d’astinenza dal potere? Non proprio. A monte della fregola per il voto
anticipato c’è un problema di coscienza sporca sulla gestione dei danari
pubblici.
Renzi trema alla sola idea di doversi presentare al giudizio degli
elettori a scadenza naturale di legislatura nella primavera del 2018, a
pochi giorni di distanza dalla manovra finanziaria del 2017 che sarà
lacrime e sangue. Dopo gli anni dell’allegra finanza del suo governo
tocca rimettere a posto i conti. È come dopo una festa con gli amici:
non puoi lasciare casa ridotta a un porcile. Si dirà: c’è il
servizievole Paolo Gentiloni a fare pulizia. Giusto! Ma gli elettori non
sono tonti, sanno benissimo con chi prendersela per il conto salato da
pagare. Come sanno bene di chi è la colpa per la strigliata rimediata,
in questi giorni, dai guardiani europei dei nostri conti che ci intimano
di rientrare dell’ultimo “buffo” renziano di tre miliardi e rotti di
euro sul deficit. La furbizia, almeno a Bruxelles, non paga e spetta a
Gentiloni intestarsi una manovra correttiva in corso d’opera per
sistemare le partite contabili aperte surrettiziamente dal suo
predecessore. C’è poi la bomba a orologeria del Jobs Act. Tra non molto
si scoprirà che è stata una “bufala”. L’effetto doping degli sgravi
fiscali sul costo del lavoro ha prodotto l’allucinazione della ripresa
occupazionale. Era fin troppo evidente che, ridotti fino all’azzeramento
i benefici, vi sarebbe stato un contraccolpo sulla curva occupazionale
con un picco negativo previsto per il prossimo anno. Andare al voto
prima significa non dover scoprire il bluff. E soprattutto non pagarlo
in perdita di consenso.
Ma se Renzi è sofferente, anche il suo partito si sente poco bene. È
in preda alle convulsioni preagoniche delle sue molte anime. Fioccano le
minacce di sfracelli prossimi venturi. Verrebbe da pensare che la
situazione è grave ma non è seria, visto che finora lo scannamento è
stato virtuale: solo illusione ottica, fantasia letteraria, reale come
la vita su Marte. Il dramma, quello sì autentico, è che non c’è niente
di concreto dietro le forme concave del brulicante attivismo interno.
Ciò che davvero agita le acque del Partito Democratico è la
preoccupazione, tutta umana, per quel folto personale politico a rischio
licenziamento, di accaparrarsi uno strapuntino nel prossimo Parlamento.
E non c’è nulla neanche nel leader, autoproclamatosi campione di
novità.
Matteo Renzi sta guidando i suoi in una corsa verso l’ignoto a fari
spenti nella notte, per citare Lucio Battisti. Non c’è visione del mondo
in quello che fa. I suoi interventi pubblici? Sequenze di battute e
motti di spirito senza costrutto. Non è che lui sia incapace di un
pensiero compiuto, il problema vero è che la sinistra, in tutte le sue
declinazioni e articolazioni, ha finito la benzina. Non è questione
soltanto italiana, piuttosto investe tutte le società dell’Occidente
avanzato. Basta guardare alla Francia, alla Germania o al Regno Unito
per accorgersi che ovunque la sinistra tradizionale non ha più niente da
dire ai suoi bacini di consenso, alcuni dei quali neanche esistono più.
Financo l’enfasi propagandistica caricata nella denuncia del populismo
montante, a ben vedere, è aria fritta che serve a nascondere la polvere
del vuoto di visione sotto il tappeto della Storia del nuovo millennio.
Ma, attenzione! Di là dai facili entusiasmi per la scomparsa della
sinistra dalle mappe del grande pensiero contemporaneo, la destra stia
in allerta perché il rischio di essere risucchiata nel vortice della
caduta della controparte è più che concreto.
La critica della perdita della politica vale per Renzi, per il suo
partito e per tutti i corpuscoli sospesi nel campo smagnetizzato del
progressismo, ma vale altrettanto per la parte avversa: se non si ha la
capacità di vedere oltre, se non si sapranno disegnare scenari
credibili, se la politica alta non torna a fare capolino nel dibattito
pubblico, se i “ragionamenti” complessi non spazzeranno via il ciarpame
dei pensierini inscatolati nei tweet, non saranno certo i cittadini a
metterci l’ennesima pezza a colori rinnovando il mandato a una classe
politica frusta, priva di adeguata garanzia di lungimiranza sui destini
della comunità. Allora sarà un unico, devastante hashtag: #tuttiacasa!
di Cristofaro Sola - 02 febbraio 2017
fonte: http://www.opinione.it
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