È da non credere che persino Amnesty International non sappia che
per convenzione internazionale un profugo può e deve presentare
richiesta di asilo nel primo Paese firmatario della Convenzione di
Ginevra in cui mette piede dopo aver lasciato il proprio; dopo di che,
vagliata e accolta la richiesta, i percorsi legali e sicuri esistono
già.
Poi però, mescolati ai profughi, ci sono gli emigranti irregolari che lasciano i loro Paesi clandestinamente
ricorrendo ai trafficanti di uomini e pretendono di regolarizzare la
loro situazione una volta sbarcati in Italia presentando richiesta di
asilo, pur sapendo di non avere i requisiti per ottenere lo status di
rifugiato. Sono tanti, molti di più dei profughi che scappano da guerre e
persecuzioni, prova ne sia che l’Italia nel 2014 ha accolto il 10%
delle richieste di asilo, nel 2015 il 5% e quest’anno, fino al 20
maggio, il 4%.
Chi ottiene lo status giuridico di rifugiato è perché proviene da Paesi in guerra, come la Siria, o sotto
dittatura, come l’Eritrea. Ma a concedere asilo, ad esempio, a un
senegalese c’è rischio di un incidente diplomatico perché equivale ad
accusare il Senegal di perseguitare i propri cittadini o non di
proteggerli da chi li minaccia. Chi si vede respinta la richiesta di
asilo, comunque, può fare ricorso e restare in Italia fino alla sentenza
definitiva. Inoltre, esistono due istituzioni provvidenziali, create
per non rimandare a casa chi non può avere lo status di rifugiato: il
permesso di soggiorno per motivi umanitari, che dura da sei mesi a due
anni, e il permesso per protezione sussidiaria, che vale cinque anni.
Sono stati concessi al 50% dei richiedenti asilo respinti nel 2014, al
37% nel 2015 e al 31% dall’inizio del 2016 al 20 maggio.
Inoltre, forse è nato un terzo tipo di permesso di soggiorno se hanno ragione i mass media secondo i
quali un giudice del tribunale di Milano ha da poco accordato a un
immigrato irregolare, un ragazzo di 24 anni, un permesso per “protezione
umanitaria” con la motivazione che il suo paese, il Gambia, è povero e
non offre a chi ci abita il tenore di vita – con particolare riguardo
all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai
servizi sociali essenziali – a cui ogni uomo ha diritto secondo la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
La notizia di questa sentenza è arrivata insieme a quella di un nuovo piano dell’Unione Europea per
ridurre il flusso di emigranti dalla Libia all’Italia, i cui principali
paesi di origine sono Nigeria, Gambia, Somalia, Costa d’Avorio,
Eritrea, Guinea e Senegal. Il piano prevede l’intensificazione del
partenariato con nove Paesi del Medio Oriente e dell’Africa e costerà 62
miliardi di euro in aiuti per creare lavoro e combattere la povertà:
miliardi che si aggiungeranno a quelli del Fondo di emergenza per
l’Africa creato a novembre dalla Commissione europea con un capitale
iniziale di 1,8 miliardi di euro e inoltre ai miliardi forniti ogni anno
dai Paesi europei e dall’Unione Europea per finanziare le agenzie
dell’Onu, la cooperazione internazionale bilaterale e multilaterale,
l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, le missioni di peacekeeping
dell’Onu e dell’Unione Africana e, non dimentichiamolo, gli “Obiettivi
di sviluppo sostenibile”, il nuovo progetto dell’Onu contro la povertà e
le ingiustizie planetarie che da solo costa 15 trilioni di dollari
all’anno.
In sostanza, è in arrivo un nuovo salasso in favore di governi alcuni dei quali inaffidabili, incapaci e corrotti,
e peggio ancora. Uno è il governo della Somalia, formato da capi clan
che da 25 anni si fanno mantenere dal resto del mondo e intanto
costringono milioni di connazionali a vivere sfollati e profughi. Nel
2012, l’Onu ha ammesso che ogni 10 dollari consegnati al governo somalo
dalla comunità internazionale sette non arrivano mai nelle casse dello
Stato. In Nigeria, invece, nel 2014 sono spariti oltre 14 miliardi di
euro che avrebbero dovuto finire nelle casse dell’Ente petrolifero
nazionale e altri 13 miliardi stanziati per combattere il gruppo
jihadista Boko Haram. Ma c’è di peggio perché, tra i partner a cui
andranno i fondi, ci sono l’Eritrea, una delle peggiori dittature del
pianeta insieme alla Corea del Nord, e il Sudan il cui presidente, Omar
Hassan al Bashir, è stato accusato di genocidio, crimini di guerra e
crimini contro l’umanità nel 2009 dalla Corte penale internazionale e
contro cui è stato spiccato un mandato di cattura internazionale.
Il piano che l’Unione Europea si appresta a varare dovrebbe servire anche ad aumentare il numero dei
rimpatri. Attualmente solo il 40% dei richiedenti asilo che non
ottengono lo status di rifugiato vengono accolti dai loro Paesi
d’origine. Si ipotizza di tagliare gli aiuti ai governi che non
collaborano al rimpatrio dei connazionali respinti.
10-06-2016
fonte: http://www.lanuovabq.it
Nessun commento:
Posta un commento