L'annuncio era stato legittimamente orgoglioso: infine l'Europa
segue la politica suggerita dall'Italia. E i numeri sembravano
confortare l'ottimismo: nel volgere di due anni, circa 45 mila migranti
siriani ed eritrei sarebbero stati trasferiti dalla Penisola in altri
Stati dell'UE che avevano sottoscritto l'agenda della ridistribuzione
decisa dal presidente della Commissione, Junker. Per una volta, e
nonostante molte reticenze, distinguo e ambiguità, Bruxelles sembrava
essere riuscita nell'impresa di mettere d'accordo almeno una parte
dell'Unione ad accordarsi sul tema dei profughi.
Una manciata di
settimane è stata sufficiente per mandare in fumo le promesse, col
rischio di rimetterle definitivamente in un cassetto. Infatti, in base
all'accordo, dall'Italia, che aveva fino a quel momento subito il
maggiore impatto di arrivi dal sud del Mediterraneo, ogni giorno, per i
prossimi 24 mesi, avrebbero dovuto prendere il volo 80 migranti.
Destinazione soprattutto il Nord Europa. Ed invece si deve registrare un
umiliante flop della cosiddetta "relocation": in un intero mese
dall'Italia sono partiti solo in…90 (40 in Svezia, 50 in Finlandia). I
"nulla osta" , cioè le richieste accolte in linea di principio, sono
finora poco più di cinquecento. Ma anche loro devono aspettare. Chissà
fino a quando. Si teme per sempre.
Così dai primi toni quasi
trionfalistici, il ministro degli interni Alfano è stato costretto a
ripetere: "L'Italia organizzerà gli hot-spot imposti dall'UE per
l'identificazione e le fotosegnalazioni dei richiedenti l'asilo soltanto
quando andrà a regime la promessa ridistribuzione". Nei primi dieci
mesi di quest'anno, la Penisola ha dovuto affrontare l'arrivo di quasi
140 mila persone (da sommare alle altre centinaia di migliaia che hanno
percorso e continuano a percorrere la rotta balcanica).
Sempre per
il solo 2015, il costo dell'accoglienza è stato di un miliardo e 100
milioni di euro. In cambio Roma ha ottenuto da Bruxelles un assegno
nettamente inferiore: appena 310 milioni, mentre si attendono ancora gli
aiuti promessi per l'apertura degli hot-spot di Pozzallo, Porto
Empedocle, Trapani (operativo è unicamente il centro smistamento di
Lampedusa).
Il caso più clamoroso di inadempienza è quello della
Germania, che assicurava di poter accogliere fino a mezzo milione di
fuggiaschi all'anno. Nel suo iniziale slancio umanitario, la cancelliera
Merkel ("ne accoglieremo mezzo milione all'anno") sembrava disposta a
fare lo sforzo maggiore anche per i profughi provenienti dall'Italia. Ma
i tempi sono già cambiati. L'apertura delle frontiere tedesche ha
consentito un'affluenza impressionante, la Baviera (principale porta
d'accesso) ha chiesto ufficialmente la chiusura dei confini, la protesta
politica monta all'interno del paese, anche con episodi di violenza.
"Per ora abbiamo disponibilità solo per una decina dei vostri", ha
dunque annunciato Berlino a Roma. La Spagna è arrivata a 50, la Svezia
altri 100, la Finlandia 200, silenzio da parte di Olanda e Spagna.
Ma,
allora, come mai finora la protesta italiana su questa clamorosa
marcia indietro è stata tutto sommato contenuta, quasi inesistente di
fronte a numeri tanto clamorosi? È che ci sono in ballo altri…numeri.
Quelli della manovra finanziaria, che deve ancora superare l'esame di
Bruxelles. Il presidente Junker ha fatto capire che verso i paesi capaci
di sforzi straordinari per l'accoglienza migranti, si può essere più
generosi in termini di debito pubblico. Insomma, tu ti tieni più
migranti e io chiudo un occhio su una manovra che altrimenti sarebbe
contestata e bocciata dagli euro-tecnocrati. Un "mercatino" non proprio
virtuoso. La politica è l'arte del possibile. Non sarà un flop in più ad
alzare il livello del discredito e dell'impopolarità che assedia
l'Europa degli annunci non rispettati. Finché dura.
giovedì 29 ottobre 2015
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