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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

29/02/16

Il progresso è un cinico pifferaio magico



C’era una volta un pifferaio che si presentò nella città di Hamelin, in Bassa Sassonia, e si offrì di disinfestarla dai ratti. Il borgomastro accettò la sua proposta e gli promise un adeguato compenso se ci fosse riuscito. L’uomo incantò i topi con il suono del suo piffero e li attirò fino a un fiume, dove si tuffarono e annegarono. Ma quando reclamò la ricompensa, gli abitanti di Hamelin non lo pagarono. Allora, si vendicò. Mentre gli adulti erano in chiesa, il pifferaio ricominciò a suonare nelle strade della città e attirò a sé tutti i bambini, che lo seguirono in campagna fino a una caverna, dove furono segregati e morirono. Questa storia, che ha fondamenta storiche ed è stata tramandata con diverse varianti, ispirò la celebre fiaba dei fratelli Grimm. A mio parere, è più che mai attuale e suggerisce molteplici interpretazioni grazie alle sue allegorie. Mi piace pensare che il progresso sia il pifferaio di Hamelin dei nostri tempi. Il suono del suo flauto è piacevole, seducente, trainante. Ma è anche infido.
In primis, cos’è il progresso? La sua etimologia ne chiarisce il significato; il termine deriva dal verbo latino progredi, che significa “andare avanti”. Come chiarisce la Treccani, per progresso intendiamo l’avanzamento verso gradi o stadi superiori dell’evoluzione, un perfezionamento e quindi una trasformazione graduale e continua dal bene al meglio. L’idea di progresso umano non è sempre esistita. Nell’antichità gli esseri umani concepivano la storia come una fuga dall’età dell’oro, l’era dell’uomo primigenio, quasi perfetto. Gli antichi, vivevano in un’epoca di regresso e cercavano di fermare la decadenza. Anche in Oriente, dove vige l’idea che la storia non sia lineare ma circolare, come le stagioni, i saggi pensano che il progresso sia solo apparente, giacché l’uomo torna sempre al punto di partenza. Il concetto di progresso così come lo conosciamo nasce con la rivoluzione cristiana, debitrice di quella ebraica, ed è strettamente collegato alla visione del tempo e della storia, considerata un susseguirsi di eventi che procedono in avanti, all’infinito, come i punti di una retta. Il cristianesimo ha sublimato questo cammino introducendo l’escatologia, che si pone la salvezza come capolinea. A rendere più solida e definitiva questa visione hanno contribuito – ironia della sorte – la filosofia moderna e l’illuminismo (con l’eccezione di Rousseau), la rivoluzione industriale e la scienza. 
Ma torniamo ab ovo. È innegabile che il fil rouge della storia dell’umanità, così come ci è stata raccontata, è l’evoluzione continua, auspicabile e inarrestabile. Dal secondo dopoguerra in poi abbiamo vissuto un’accelerazione sconvolgente, che ha cambiato la vita sul pianeta. Se penso a com’era il mondo ai tempi dei miei nonni e com’è oggi, e se provo a immaginare come sarà quando i miei nipoti saranno vecchi, sbalordisco. Nello stesso tempo, però, inorridisco. Sì, avete capito bene. Il progresso di cui sono spettatore attonito non mi piace. Mi fa paura e non pensiate che io sia un laudator temporis acti, un retrivo. Sono solo spaventato dal fatto che il progresso è un pifferaio magico il cui richiamo cela grandi insidie. Per quanto oggi viviamo meglio di un tempo, grazie al benessere, alle conquiste tecnologiche, alla facilità delle comunicazioni e dei trasporti, ai benefici della ricerca scientifica, ai vantaggi che le società civili assicurano ai cittadini, è anche vero che non abbiamo riconosciuto il dovuto al pifferaio. Ci siamo rifiutati di pagarlo con l’unica moneta spendibile: l’adeguamento antropologico. Ci siamo dimenticati, o forse rifiutati, di progredire dal punta di vista umano, animico, spirituale. Ci siamo accontentati di migliorare sul piano socio-economico e materiale, come se nella vita contassero solo i soldi, il comfort, il potere, il divertimento, il benessere corporale. Esaltati dalla faccia grassa del progresso, abbiamo scordato che la ricchezza autentica è interiore, il vero benessere è basato sull’armonia, la reale autorità è la disciplina esercitata su noi stessi. Siamo progrediti, certo, ma quale prezzo stiamo pagando al pifferaio magico? La nostra rincorsa evolutiva ha comportato perdite immense e perciò rimpiango il tempo in cui eravamo meno progrediti ma più saggi. La società odierna ha sacrificato i valori portanti, gli ideali, le certezze, i principi funzionali in nome di un falso progresso: il progressismo. Ecco perché non sopporto i progressisti; mentre fissano il futuro con “occhi di bragia”, come direbbe il Divin Poeta, calpestano il passato, convinti che sia immondizia, e vivono il momento presente con la foga di che vorrebbe dargli fuoco. In pochi decenni, la furia iconoclasta che ha come fine l’innovazione a tutti i costi – dietro cui si cela la sete di potere e di dominio delle masse, oltre all’avidità basata sul massimo profitto – ha modificato l’asse terrestre, sia sul piano del pensiero sia su quello del comportamento. Dopo avere scardinato i perni umani avanziamo come folli verso un mondo dove l’individuo non conta più nulla, è soggetto alla legge dell’usa e getta, brancola nel buio privo di fiaccole. In nome del progresso, coloro che conducono verso il fiume o la caverna un’umanità fatta di topi che squittiscono senza più comprendersi fra loro, ci hanno privato delle sovranità nazionali, delle sicurezze economiche e sociali, del diritto al lavoro e più in generale della giustizia, dei principi morali, dei caposaldi come la fede e la famiglia, della fiducia nel futuro. Hanno usato le armi della tecnologia (telefonini, computer, televisione, ecc) per atrofizzare il nostro cervello, controllare ogni nostro passo e acquisto, renderci imbelli, dipendenti e schiavi del sistema. La soggettività è stata rasa al suolo, l’iniziativa privata ostracizzata. Le nostre idee non sono originali e creative, sono surrogati che ci vengono inculcati. I nostri bisogni sono falsi, la nostra capacità di reazione nulla. Quando sento dire che stanno maturando i tempi per una rivoluzione, sorrido. Per fare la rivoluzione bisogna avere idee, forza e coraggio. Parlo di merce rara, forse esaurita. 
La mia diffidenza verso il presunto progresso è cresciuta a dismisura e rifletto sui moniti di alcuni grandi pensatori. Pascal, ad esempio, diceva che “tutto ciò che non si perfeziona col progresso peggiora a causa del progresso”. Ognuno può valutare che cosa sia migliorato e cosa sia peggiorato nella sua vita grazie o a causa del progresso. Mazzini ammoniva che “il vero strumento del progresso dei popoli sta nel fatto morale”. Bè, non serve sottolineare che l’etica è crollata e che stiamo agonizzando sotto le macerie, vittime delle forti scosse telluriche del relativismo. Il seducente ma cinico pifferaio magico ci ha offuscato con grandi miglioramenti tecnologici e non solo. Il suono del suo flauto ci ha ipnotizzato, privandoci della capacità di critica e mutilando la coscienza. Siamo alienati ma sazi di canali televisivi e web, optionals e app che ci illudono di stare nella stanza dei bottoni, mentre stagniamo nel fondo del pozzo.
Allegri, però, avanziamo verso il baratro a una velocità inimmaginabile fino a poco tempo fa, godendo di mille vantaggi e gadgets ludici! Vuoi mettere vivere la fine dell’umanesimo in 3HD, interfacciandoci con i membri di una nuova famiglia allargata e multietnica, mentre il pianeta esaurisce le sue risorse e l’Agenzia delle Entrate ci impone di pagare la tassa sull’apocalisse? 
 
Giuseppe Bresciani - 27 febbraio 2016

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