Oggi, il re e la sua corte si vivifica e si conclude come tale, come trasformazione goliardica della prima e come bieca e malsana imitazione.
Dalle ceneri dello Ius Commune e
 dei diritti particolari e locali che avevano caratterizzato il Medioevo
 sorgono, lentamente e in maniera diversificata nei vari territori, le 
strutture che si stabilizzeranno con le democrazie rappresentative 
attuali. L’assolutismo monarchico, di cui Luigi XIV ne è simbolo – 
“l’Etat c’est moi” – si inserisce come possibile chiave di lettura delle
 situazioni odierne. 
Per spezzare il legame tra 
aristocrazia e popolazione delle province nelle quali i nobili 
possedevano grandi terreni, i sovrani europei, per fiaccarne il potere, 
cominciarono a unificare le famiglie regali del regno nelle proprie 
corti. Con Luigi XIV ciò divenne vero e proprio sistema sociale; 
nasce il compromesso, i “benefici reciproci”, e quel circuito chiuso, 
autoconservatore, de la “politica della corte” che ha segnato le 
oligarchie susseguitesi fino ad oggi, compreso. Luigi ebbe inoltre la 
furbizia di crearsi una grande rappresentazione scenica, con vena 
mistica e accenti pacchiani e snob (con le pompose vesti e l’etichetta, 
fondamentale a Versailles), che adulò regnanti e rafforzò quel rispetto 
che Massimo Fini spiega in La Ragione aveva torto? dei sudditi 
verso il sovrano – oggi scomparso. La reggia di Versailles e la sua 
impersonificazione con il Sole dimostrano l’enorme propaganda usata come
 strumento dal sovrano che cercava di creare l’illusione di un potere 
assoluto che, nella realtà, era molto più limitato di quanto apparisse. 
Molte sono le similitudini 
che affiancano quel regno al nostro, e molte le differenze, ma 
sicuramente quel che risalta all’occhio è la risibilità e la bassezza 
dei governanti attuali rispetto a quelli passati, la degenerazione 
assoluta di quello che nasceva come Stato; l’onore, l’orgoglio, la 
dignità (che certo non spiccavano come doti principali anche all’epoca),
 sopraffatti, calpestati e assolutizzati nell’avarizia e nella 
cupidigia, i “benefici reciproci” trasmutati in vero e proprio ricatto 
perpetuo, la spartizione dei territori da gestire (oggi Comuni, Regioni,
 appalti, ecc.) diventata occasione dell’arraffare corruttivo, il 
rispetto verso il sovrano divenuto disprezzo. La grande rappresentazione
 scenica messa in atto da Luigi, utilizzata anche e forse soprattutto 
come propria legittimazione, risulta attuale, con il gran mezzo 
mediatico. Se entrambe sono da giudicare negativamente, la prima si 
delinea come più vera, o perlomeno più autentica; lì, in quel luogo, in 
quel tempo, trovava un suo senso. Oggi, il re e la sua corte si vivifica
 e si conclude come tale, come trasformazione goliardica della prima e 
come bieca e malsana imitazione.
Lorenzo Lipparelli - 21 luglio 2014 
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it

 
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