Il "nuovo" Pd pensa di ricandidarlo a
sindaco di Napoli. Il vecchio capopopolo, che ha lasciato la città tra
monnezza e buchi di bilancio, è l'emblema di un Sud che non cambia mai.
Altro che rottamazione e "rinascimento napoletano"...
Mancano nove mesi alle elezioni comunali di Napoli e sembrerebbe che il Partito Democratico non abbia nulla di meglio da proporre agli elettori se non la candidatura di Antonio Bassolino. Sì, proprio lui, l’ultimo “viceré” di Napoli, sindaco della città dal 1993 al 2000, e poi governatore della Regione Campania
per altri dieci anni, fino al 2010. Un politico di vecchia razza
comunista che ha lasciato un segno, tragicamente negativo, nella
martoriata storia della città partenopea. Alla faccia della
rottamazione! Se il destino delle rivoluzioni è di finire in farsa,
quella di Renzi è ormai finita in burla. Con il rischio che,
suscettibile alle sirene del demagogismo, sempre pronto ad illudersi che un nuovo Masaniello possa risolvere come d’incanto problemi atavici (vedi l’infatuazione per De Magistris), il popolo napoletano anche questa volta possa cadere nella trappola e lasciarsi abbindolare.
In verità, anche quella di Bassolino si
presentò nel 1993 come una “rivoluzione”. Nell’infervorato clima seguito
alle inchieste di Mani Pulite, con il sistema ormai collassato, la sinistra riscoprì un uomo di apparato, un funzionario di partito, che venne presentato come “fuori dal sistema” ma che in verità era stato comunista
fino alle midolla, esponente della battagliera ala operaista e
sindacalese. Era l’ “uomo nuovo” che tanto nuovo non era, un paladino
della riscossa della “società civile” e della borghesia cittadina creato
in laboratorio per “fusione fredda”. Furono soprattutto gli intellettuali napoletani
che si fecero complici di questa messinscena, nonostante che
culturalmente e direi antropologicamente Bassolino era quanto di più
lontano da loro potesse immaginarsi. Tuttavia il nuovo sindaco era pur
sempre un comunista, quindi un realista politico, non
esente dal cinismo: seppe adattarsi ai tempi, dismettere senza troppa
fatica gli abiti di sinistra-sinistra, convertirsi al nuovo clima
giustizialista e vagamente liberal in cui la sinistra pensava di
rigenerarsi. E seppe poi anche ricompensare con laute consulenze,
finanziamenti e onori di ogni tipo le star della cultura autoctone e non
che correvano ad acclamarlo (dai Mimmo De Masi agli Achille Bonito
Oliva ai Mauro Calise). Si parlò, e la notizia arrivò anche sui giornali
internazionali, di un “rinascimento napoletano” che
non era dato vedere e che era solo immaginato. Una vera costruzione
mediatica! Si arrivò infine alla farsa quando l’avvocato Gerardo Marotta,
presidente dell’iperfinanziato e marxisteggiante Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, dette disposizione di riaprire addirittura le
porte dello storico Palazzo Serra di Cassano che, per disposizione del
proprietario, padre di un martire della Rivoluzione del 1799, avrebbero
dovuto spalancarsi solo il giorno in cui a Napoli fossero “ritornati i
Lumi”.
I Lumi e Bassolino è un’accoppiata altamente improbabile, ma a Napoli c’è sempre qualcosa di pulcinellesco che si riaffaccia con costanza e nei contesti più disparati. Come sia andata a finire è presto detto: travolto da scandali, inefficienze, clamorosi buchi di bilancio
(astronomico quello lasciato alla Regione Campania), circondato da un
suo clan fedele e autoreferenziale, sempre più chiuso e impermeabile man
mano che passavano gli anni, incapace infine di gestire un’emergenza
come quella dei rifiuti, Bassolino concluse la sua carriera politica e
finì rapidamente in una sorta di dimenticatoio. Fece dimenticare il suo
nome quanto basta per poter essere oggi ripescato e additato quasi come un nuovo salvatore. Con il rischio che i napoletani ci ricaschino. Per noi, egli rimane però l’emblema di un Sud che non cambia mai, di una classe dirigente che non ha capacità e voglia di emendarsi.
Pronto a dissipare ogni risorsa pubblica per favorire amici o protetti,
dedito non a curare gli interessi degli amministrati ma a coltivare
ambizioni politiche personali (non esitò ad affiancare sotto D’Alema il
ministero del Lavoro all’incarico di sindaco), Bassolino è causa ed
effetto della drammatica crisi napoletana. Come è possibile che qualcuno
abbia pensato di rimetterlo in carreggiata? Può il Partito Democratico
arrivare a tanto? Dalla rottamazione alla restaurazione il passo non è breve, ma Renzi “pie’ veloce” lo sta attraversando tutto. Almeno al Sud, marcia dritto verso il precipizio.
di Corrado Ocone - 7 settembre 2015
fonte: http://www.lintraprendente.it
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