Qual
è la differenza che passa tra una lettera maiuscola e una minuscola?
Tanta, tantissima se rappresenta una pena per un innocente o un aggravio
tale da risultare incredibile per il buonsenso di un qualsiasi comune
mortale.
L’Italia sembra essersi trasformata nel paese delle tifoserie. Una
caratteristica che ha finito con l’inquinare ogni aspetto della nostra
società, del vivere quotidiano. Dagli stadi alla politica, alle aule
giudiziarie.
Uno “sbirro” è un picchiatore alla stessa maniera in cui un immigrato
o un romeno sono dei criminali. Poco importano i fatti, l’opinione
pubblica si divide in colpevolisti e innocentisti a prescindere da
qualunque cosa.
Del resto, super partes dovrebbe essere la Giustizia, non certo il
popolino che si lascia trasportare da stati emotivi e da un comune
sentire spesso alimentato da una certa politica o da una certa stampa.
“Sbirro”
Digitando il nome ‘Gianluca Pierro’, su Google, si reperiscono
numerosi articoli di stampa che riportano quanto accaduto il 12 agosto
2009 presso la Caserma Montebello di Milano. Gianluca Pierro, all’epoca
dei fatti Carabiniere in servizio presso il Nucleo Radiomobile
dell’Arma, diventa così il simbolo vivente di quello che viene definito
un “pestaggio di tipo cileno”, un massacro, la cosiddetta macelleria
messicana.
Ma cos’è successo affinchè Pierro meritasse queste accuse?
La
notte del 12 agosto 2009, Gianluca Pierro e il suo collega Paolo Allia
si trovano ad intervenire a seguito di una rissa. Luciano Ferrelli, 36
anni, originario di Foggia, qualche precedente per droga, amico di
Fabrizio Corona, un tempo autista-factotum del dentista dei vip Giuseppe
Aronna, arrestato nel 2007 per una storia di carte di credito rubate
insieme allo stesso Ferrelli, dopo avere acquistato alcune dosi di
eroina insieme ad altre due persone, torna dagli spacciatori lamentando
la scarsa qualità della ‘roba’. Nasce da lì la rissa che vede
l’intervento di alcune gazzelle dei Carabinieri.
Gli spacciatori a quel punto fuggono a piedi, mentre il Ferrelli,
assieme ai due compagni si allontana con l’auto degli stessi
spacciatori, della quale nel frattempo si è impossessato assieme ai due
compagni.
Braccato dai Carabinieri, abbandona l’auto per tentare di fuggire a
piedi, fin quando viene intercettato e fermato da una pattuglia dei
Carabinieri. Durante l’arresto il Ferrelli e i suoi compari vengono
fermati opponendo resistenza, tanto da causare lesioni ad alcuni dei
militari intervenuti. Il Ferrelli viene quindi portato insieme ai suoi
amici nella Caserma Montebello, sede del Comando del Nucleo Radiomobile
dell’Arma.
Ferrelli, una volta portato alla sede del Comando, dichiara di essere
stato vittima di aggressione da parte dei Carabinieri che lo hanno
tratto in arresto, fornendo la prima di quelle che diventeranno una
serie di versioni tra loro contrastanti.
Ed è da qui che comincia il calvario del Carabiniere Gianluca Pierro e
del suo Collega Paolo Allia che dopo aver svolto il proprio lavoro,
arrestando una banda di spacciatori, ladri, ecc.. si ritrovano essi
stessi sul banco degli imputati.
Stando
alle indagini del pm Antonio Sangermano, i due militari autori
dell’arresto – Piero Paolo Allia, 44 anni, originario di Asti, e
Gianluca Pierro, 29 anni, di Roma – con del nastro isolante (di cui in
Caserma non vi è traccia) avrebbero chiuso la bocca e poi avrebbero
picchiato il Ferrelli mentre era steso a terra, con le mani legate,
usando anche manganelli (strumento di cui l’Arma non è dotata): “Un
pestaggio di tipo cileno”, secondo l’accusa. Le botte - stabiliscono i
consulenti del PM dell’Istituto di medicina legale sulla base delle
dichiarazioni del Ferrelli - gli avrebbero procurato “l’incapacità ad
attendere alle mansioni originarie con una prognosi superiore ai 40
giorni per avulsione del dente incisivo (a seguito di un pugno ricevuto
in viso, secondo quanto dichiarato dal Ferrelli) e lussazione della
spalla”.
Un pestaggio in piena regola. Del resto, un arresto è un arresto, ma
un pestaggio no, non ci sta, neppure se l’arrestato ha precedenti,
neppure se ha opposto resistenza all’arresto, neppure se ha causato
lesioni ai militari intervenuti. La legge è legge e va sì rispettata.
Nell’ottobre del 2010 il GUP manda a processo i Carabinieri, ma, il
ma in questo caso ci vuole, condanna a un anno e quattro mesi di
reclusione, con rito abbreviato, il Ferrelli, accusato di calunnia per
avere raccontato agli inquirenti alcuni particolari falsi, come l’aver
perso un dente per un pugno in faccia da parte del Carabiniere che in
realtà non aveva mai subito… Il dente, lo aveva perso nel corso della
colluttazione con gli spacciatori… Ad affermarlo lo stessi Ferrelli che
all’udienza del 16 settembre 2010 dichiara “Nel giudizio direttissimo
confermo di aver dichiarato il falso perché ancora condizionato dalla
minaccia dei Carabinieri che mi avevano arrestato, anche se non mi
avevano accompagnato loro alla sezione direttissima. Davanti al
Tribunale la spalla era ancora dolorante, ma l’articolazione era in
sede. Mi dispiace di aver detto il falso ma ero furibondo contro i
Carabinieri che mi avevano trattato in quel modo”.
Quindi, analizzando i fatti, si evince come nel corso della rissa con
gli spacciatori il Ferrelli abbia riportato lesioni, come lo stesso
abbia dichiarato il falso per vendicarsi di quei carabinieri che, a suo
dire, lo avrebbero maltrattato. Sicuramente colpevoli di averlo
arrestato nonostante la resistenza opposta dallo stesso e nonostante le
lesioni che il Ferrelli avrebbe procurato ai militari.
Eh sì, autentici picchiatori, roba da”pestaggio cileno”…
Ma il bello della storia, se così può essere definita da qualcuno che
non sia il Ferrelli stesso, deve ancora venire. Infatti, come
correttamente ebbe a rilevare il GUP Luerti che ha condannato il
Ferrelli alla pena di anni 1 e mesi 4 per calunnia nel novembre 2010)
viene fatta menzione di un solo militare che lo avrebbe picchiato dopo
il foto-segnalamento.
La
figura del secondo, che avrebbe cooperato e coperto il primo, emerge
solo alcuni mesi più tardi e dopo le intercettazioni nelle quali un
militare indagato per ipotesi di favoreggiamento, forse per timore di
essere coinvolto nell’indagine sul presunto pestaggio, pensò bene di
difendersi accusando un collega di avere partecipato al pestaggio (al
quale non aveva assistito ma di cui venne informato dal PM in sede di
esame testimoniale come persona informata dei fatti, prima di essere
indagato): vita mea, morte tua, testualmente riferisce al collega amico
siciliano parlando dell’indagine e della sua strategia difensiva. E’
impressionante ciò che emerge dalle trascrizioni di queste
intercettazioni, da un lato questo carabiniere afferma in più telefonate
e con i diversi interlocutori di non aver assistito all’asserito
pestaggio, dall’altro influenzato dalla ricostruzione dei fatti
effettuata dal PM e dagli organi di stampa ed oltremodo impaurito
dall’essere coinvolto nelle accuse di pestaggio, si consulta con i
diversi interlocutori sulla migliore strategia difensiva da utilizzare
(purtroppo a danno dei colleghi).
Le dichiarazioni rese dal carabiniere al telefono e poi smentite
dallo stesso nel corso dell’interrogatorio del 27 gennaio 2010, oltre a
risultate concordanti con le sette diverse “versioni Ferrelli”, sono
state giudicate serie e attendibili finanche dalla Cassazione.
Del resto, seppur smentita la scena del pugno in faccia, la perdita
di un incisivo e il sangue che fa tanto colore, resta l’accusa delle
lesioni alla spalla. Una lussazione causata dal colpo di manganello –
che è bene ricordare non in dotazione ai due militari – sferrato
all’arrestato mentre si trovava seduto con le mani ammanettate dietro la
schiena.
Una tesi smentita dalle conclusioni presentate dal Consulente
Tecnico, Dott. Pierfrancesco De Conti, ai quesiti sulla compatibilità e
sulla possibilità che una lussazione della scapoloomerale possa essere
autoridotta anche la prima volta che la stessa si verifica, posti dal
Giudice Dott.ssa Cristina Dani.
Secondo le conclusioni del Consulente Tecnico, “le lesioni alla
spalla sinistra riportate da Luciano Ferrelli non sono compatibili con
le modalità del pestaggio descritte e si esclude che un primo episodio
di lussazione gleno-omerale possa essere autoridotto”.
Sorgerebbero spontanee molte domande. Si trattava del primo episodio
di lussazione gleno-omerale? L’eventuale causa è da attribuire ad un
presunto pestaggio da parte dei carabinieri con un manganello non a loro
in dotazione o potrebbe essere a causa della rissa con gli spacciatori,
così come appurato per la perdita dell’incisivo? Differenze di non poco
conto… Del resto, sembra già un miracolo che non sia stata ipotizzata
la “premeditazione” visto che il manganello non è in dotazione al
carabiniere che teoricamente ne avrebbe fatto uso e quindi avrebbe
dovuto portarlo con sé, forse con la consapevolezza che quella sera
avrebbe tratto in arresto soggetti da sottoporre a “pestaggio cileno”…
Intanto, a prescindere dai nostri dubbi e dalle nostre
considerazioni, resta il fatto che Piero Paolo Allia è stato condannato a
un anno e Gianluca Pierro a nove mesi di reclusione per lesioni
aggravate. Il primo ritenuto colpevole per essere stato esecutore
materiale del pestaggio, il secondo perché lo “assisteva e lo
appoggiava”. Val la pena di ricordare come la figura del secondo
carabiniere che avrebbe cooperato e coperto il primo emerge solo alcuni
mesi più tardi e dopo le intercettazioni nelle quali un militare
indagato per ipotesi di favoreggiamento, forse per timore di essere
coinvolto nell’indagine sul presunto pestaggio, pensò bene di difendersi
accusando un collega di avere partecipato al pestaggio?
Val la pena di ricordare che il carabiniere intercettato non aveva
mai assistito al suddetto pestaggio e che le sue dichiarazioni rese al
telefono vennero poi smentite nel corso dell’interrogatorio del 27
gennaio 2010?
Se questo non fosse sufficiente, va evidenziato come la stessa
“vittima del pestaggio cileno” non ha mai parlato di alcun “complice”
dell’unico carabiniere che lo avrebbe pestato, e non ha mai individuato
il Pierro nei riconoscimenti fotografici, né in sede di indagine né in
dibattimento. Perchè non ne avrebbe parlato se fosse stato presente? Non
spetta a noi dare le risposte, visto che le sentenze vanno rispettate…
Ferrelli
si è costituito parte civile e ha ottenuto un risarcimento a titolo di
provvisionale di 7mila euro. La sentenza di primo grado (2012) è stata
confermata in Appello (2013) e in Cassazione (2014) con una celerità
sorprendente considerata la durata media dei processi nei tribunali
italiani.
Mentre il procedimento a carico dei due carabinieri è stato già
definito in Cassazione, il procedimento di calunnia a carico del
Ferrelli (definito in abbreviato nel novembre 2010) è stato deciso dalla
Corte d’Appello di Milano dopo quasi 5 anni, con sentenza del 30 marzo
2015, confermando la condanna per calunnia inflitta al Ferrelli in primo
grado. C’è da sperare che il giudizio di Cassazione – che
verosimilmente verrà promosso dal Ferrelli – si concluda prima che
intervenga la prescrizione, altrimenti verrà pregiudicato il diritto dei
due malcapitati carabinieri ad ottenere in sede civile il risarcimento
dei danni da loro subiti dalle calunnie del Ferrelli.
Intanto, lo stipendio dei due carabinieri, che continuano a svolgere
un eccellente lavoro presso il Battaglione Mobile Lombardia, viene
decurtato ogni mese dalla quota pignorata dal Ferrelli per il ristoro
degli asseriti danni subiti durante e dopo l’arresto e delle spese
legali del processo.
Sentenze come queste finiscono con disarmare psicologicamente i
tutori della forza pubblica costretti a correre rischi nel corso degli
interventi e doverne correre anche dopo in termini di eventuali
successive responsabilità penali.
Il signor Luciano Ferrelli ringrazia intanto il suo santo protettore
per essere tornato un libero protagonista della movida milanese…
“Romeno”
La vicenda risale al 2012 ma fa discutere non poco visto che è di
grande attualità nei tribunali di Roma e sulla stampa. Come riportato
dall’edizione romana del Corriere della Sera, Dorel Bancila, 57enne
romeno, tre anni fa si rese colpevole di un “furto” consumato nei
giardini pubblici di via Libero Leonardi. Bottino, ben 22 pigne staccate
da un albero.
Disdicevole sicuramente, ma da qui a correre il rischio di dieci anni di carcere ne passa…
Secondo il quotidiano, “a complicare la posizione processuale del
romeno sono le due circostanze aggravanti configurate dal pm
nell’imputazione. Innanzitutto la procura ritiene che l’imputato abbia
usato violenza sul pino staccando la pigna. In secondo luogo il furto
del frutto dell’albero è stato commesso in un luogo considerato uno
spazio di pubblica utilità com’è il parco comunale”.
La contestazioni delle aggravanti, impedirebbe al magistrato di
derubricare le accuse applicando il principio della tenuità del danno,
così come invece chiesto dalla difesa secondo la quale la contestazione
delle circostanze appare esagerata visto il basso valore patrimoniale di
una pigna.
In Italia non ci facciamo mancare nulla, dai fenomeni di corruzione
alle mafie, salvo poi scoprire l’aggravante di un pino sul quale sarebbe
stata usata violenza staccandone la pigna…
Secondo lo stesso principio, a prescindere dal furto che in questo
caso sì potrebbe rappresentare l’ “aggravante”, se si dovesse arrivare
ad una condanna per siffatto motivo, i contadini dovrebbero iniziare ad
aver timore. Per evitare la sofferenza di un cavolo reciso da affilata
lama, non si potrebbe pensare ad effettuare quantomeno un’anestesia? Se
locale o generale lo si potrebbe far stabilire ad appositi agronomi che
dopo aver stabilito il livello di sofferenza delle piante, secondo il
genere, potrebbero dare apposite indicazioni…
C’è da ringraziare il cielo del fatto che la procura abbia voluto
limitare la sua attenzione alla pianta sulla quale sarebbe stata usata
violenza, che se l’avesse fatto sulla pigna “prematuramente scomparsa”,
c’è da chiedersi cosa ne sarebbe venuto fuori…
L’Italia è veramente un paese strano…
Gian J. Morici - 9 giugno 2015
fonte: http://www.lavalledeitempli.net
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