Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

01/04/17

Legittima difesa: anche da giustizia dannosa


 


Si discute (magari si fa per dire) alla Camera dei deputati su di una seconda (dopo quella del 2006) riforma delle norme sulla legittima difesa. Non sembra che le cose si mettano proprio bene.
È bastata l’assenza di alcuni deputati in Commissione Giustizia per vanificare la possibilità di un testo ragionevole e concludente, che un’inconsueta ragionevolezza dei deputati grillini avrebbe potuto consentire. È passato un emendamento del Partito Democratico che definirei tipicamente democristiano: tale cioè da far sì che le parole servano a non dire piuttosto che a fare chiarezza. La chiarezza, del resto, è ciò che chiaramente manca in questa pur non necessariamente spinosa questione. Manca nella legge e, soprattutto, nelle prassi giurisprudenziali attuali e pure nelle idee di riformatori un po’ improvvisati, nei giornali e infine (ed è la mancanza più significativa) tra la gente.
Intanto il dibattito nel Paese non è tanto e, purtroppo, solo teorico. Così di persone aggredite che hanno reagito e che sono oggetto di procedimenti penali, si succedono ad altre, purtroppo non infrequentemente e si apprestano processi, magari solo disciplinari persino per qualcuno che, avendo subìto una minaccia di aggressione, pare abbia commesso un eccesso colposo di manifestazione di opinione sulla legittima difesa. Parlo, ovviamente, del caso del giudice Mascolo, di Treviso. Molte sciocchezze, inevitabilmente, sono state dette e molti evitabili eccessi affiorano in tali discussioni. Meno però del solito. Segno che la gente ha della questione un’idea e un’informazione forse migliore di quella dei legislatori e, soprattutto, dei magistrati che professionalmente se ne occupano.
Un argomento, solo formalmente, e quindi apparentemente fuori luogo nel dibattito specifico sulla riforma dell’articolo 52 del codice penale, mi pare che sia emerso, degno invece non solo di essere apprezzato ma fondamentale per quella realtà delle cose di cui le leggi sempre dovrebbero tener conto e assai spesso non lo fanno. Viene spesso sottolineata la penosa vicenda di chi, aggredito, abbia reagito ferendo o uccidendo l’aggressore e sia stato subito “indagato” per “eccesso colposo di legittima difesa”, quando non di lesioni o di omicidi volontari. E della conclusione di tali procedimenti spesso, magari, di assoluzione, che giunge dopo una trafila di mesi e di anni, con vicende alterne, patemi d’animo, spese. Guai, insomma, che si aggiungono a quello di una patita rapina, di un furto in casa, e che fanno desiderare alla vittima di non essersi avvalso del diritto di difendersi anche quando, tardivamente, gli è riconosciuto.
Credo che questo tutto sommato sia, al di là di molte sciocchezze e di molte altre argomentazioni giuste e ragionevoli, il punto centrale nella realtà della questione. Il punto dolente in cui non potrà certo porsi rimedio con una diversa formulazione, pur auspicabile, dell’articolo 52 del codice penale. Quando la legge penale parla di aggressore e di aggredito trascura infatti (né la legge penale vera e propria potrebbe non trascurarlo) quell’aggressore che, purtroppo, è sempre sulla strada del cittadino italiano: quello della “malagiustizia”. Che, nella specie, si concreta nella distorta e frenetica applicazione del principio della obbligatorietà dell’azione penale. Casi di rapinatori respinti a pistolettate da un gioielliere o di ladri notturni che ci lasciano la pelle in casa di un pensionato indomito sono cosa ghiotta per un Sostituto procuratore. Il quale non sarà mai disposto a chiuderli prima ancora che si aprano, per il solo fatto che a sparare sia stato un cittadino che manifestamente intendeva difendere la propria vita, quella dei suoi cari e per i suoi, magari, scarsi beni.
La gente guarda la televisione e vede nei film western il cow-boy che, più rapido ad “estrarre”, cioè ad impugnare la colt, fa secco il cattivo che ha fatto il gesto di fare altrettanto e dice “legittima difesa” allo sceriffo che assiste alla scena e che, convinto di ciò, si limita a chiamare il beccamorto che vada a seppellire l’imprudente tipaccio nel “cimitero degli stivali”.
Certo, non siamo nel vecchio west ed è augurabile che non ci si finisca. Ma sentir dire che “il Pm fa il suo mestiere ad incriminare quello che non ci ha rimesso la pelle: sarà poi un giudice terzo a dire se c’è stata legittima difesa”, è cosa addirittura rivoltante. Perché significa non solo mettere in dubbio pressoché automaticamente la “legittimità”, ma anche e sicuramente a vanificare una vera e integrale difesa. Perché l’aggredito sarà sfuggito a una pallottola o a una coltellata dell’assalitore, avrà conservato l’incolumità dei suoi e il possesso delle, magari, magre sostanze, ma viene così a subire un’altra aggressione: quella di un processo che, come diceva Francesco Carnelutti, “è pena”.
Una penosa Via Crucis di interrogatori, di avvocati, di parcelle, di periti e di perizie, di giornali e di giornalisti, da cui nessuno in nessun caso potrà difenderlo o risarcirlo. Ecco dunque che, nella “Patria del Diritto” che è pure la patria di una giurisdizione invadente, zoppicante e incontrollata, di una giustizia lenta e, magari, approssimativa e arbitraria, la legittima difesa non ha diritto di piena e operante cittadinanza. E pare che non vi sia Pontefice che voglia predicare l’“accoglienza” di una giustizia giusta a misura del cittadino e non del magistrato, di fronte alla quale pare che le nostre frontiere siano invalicabili.

di Mauro Mellini - 01 aprile 2017

fonte: http://www.opinione.it

Nessun commento:

Posta un commento