di Claudio Bertolotti
Un
anno e mezzo fa, era il 7 gennaio 2015, la violenza-spettacolo del
terrorismo di matrice islamista ha fatto il suo ingresso in Europa con l’attacco alla redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo: 12 morti e 11 feriti. Sono
seguiti, il 13 novembre 2015, i violenti attacchi di Parigi, al teatro
“Bataclan”, lo Stade de France di Saint Denis, i bistrò parigini: 130
morti, 368 feriti. Evento rivendicato dallo Stato Islamico (IS). E ancora a Bruxelles, dove il 22 marzo 2016 un commando
suicida colpiva l’aeroporto e la linea metropolitana provocando la
morte di 32 persone e il ferimento di oltre 250. Anche in questo caso
l’azione è stata rivendicata dall’IS. All’aeroporto
di Istanbul, ai confini dell’Europa, il 28 giugno un gruppo organizzato
suicida ha portato a compimento un attacco strutturato: 45 persone
morte e 238 ferite. Attacco riconducibile all’IS.
Oltre ai commando
organizzati, una nuova variante del fenomeno della violenza-jihadista è
venuto a imporsi in Europa: quello dei cosiddetti “lupi solitari” (“lone wolf”), improvvisati terroristi homemade, ma non per questo meno pericolosi; al contrario, maggiormente insidiosi in quanto difficilmente identificabili. Il
14 luglio, a Nizza, in occasione della festa nazionale, un tunisino di
31 anni residente in Francia ha prima sparato sulla folla per poi
scagliarsi con un grosso camion contro i passanti: 84 morti e oltre
cento i feriti. L’azione è stata successivamente rivendicata dall’IS. Il 18
luglio seguente, in Germania, un diciassettenne afghano ha aggredito,
armato di ascia e coltelli, i passeggeri a bordo di un treno: quattro i
feriti, di questi uno in pericolo di vita. L’atto è stato rivendicato,
anche in questo caso, dallo Stato Islamico. Il 19
luglio, nelle Hautes-Alpes francesi, un marocchino di 37 anni di
religione musulmana, ha accoltellato una donna e le sue tre figlie. Le
ragioni sarebbero riconducibili all’abbigliamento della donna e delle
sue figlie, non gradito all’aggressore. Il
22 luglio un caso a parte: a Monaco di Baviera, un ragazzo diciottenne,
musulmano sciita di origini iraniane, ha sparato all’interno di un
centro commerciale provocando la morte di 9 persone e il ferimento di
16.
Due
le tipologie di eventi descritte, che sono tra di loro collegate dal
fatto di essere state commesse da persone non sempre credenti in nome
dell’Islam e contro il modello culturale liberale dell’Occidente.
Le due fasi parallele dell’evoluzione del fenomeno – La
prima tipologia di eventi rappresenta lo spartiacque sostanziale
nell’evoluzione del fenomeno terroristico contemporaneo – il “Nuovo
Terrorismo Insurrezionale” [1] – che evidenzia come il fondamentalismo
jihadista – che si diffonde dal Medio Oriente, attraverso il Nord
Africa, fino ad arrivare a colpire il cuore dell’Europa – sia una
minaccia concreta e crescente, una conseguenza dell’avanzata
neo-jihadista dell’IS in combinazione con le dinamiche conflittuali
locali (interne all’area MENA) e con il disagio sociale di una parte
della comunità musulmana, sia dell’area MENA sia europea, quest’ultima
spesso di seconda o terza generazione.
Parliamo
di una violenza caratterizzata dall’aver portato a compimento con
successo una serie di operazioni coordinate e simultanee. Ciò che è
avvenuto è stato un classico esempio di trasferimento di capacità
tattica da un teatro operativo a un altro. A differenza però del
passato, dove le tecniche, le tattiche e le procedure venivano
trasferite dall’Iraq all’Afghanistan, alla Siria o alla Libia, oggi
l’evoluzione di una tecnica di combattimento, maturata e collaudata
nell’area che va dal sub-continente indiano al Maghreb, si è imposta
ovunque in Europa e ai suoi confini.
È la tecnica del “commando
suicida”, largamente utilizzata e affinata, che ha fatto la sua
comparsa per la prima volta nel 2008 in Afghanistan e di cui l’Autore di
questo contributo, per primo, ha trattato nel libro Shahid. Analisi del terrorismo suicida e in altri studi successivi dedicati al fenomeno degli attacchi suicidi, anticipando quegli sviluppi a cui oggi assistiamo.
Oggi,
esportando questa tecnica, IS ha dimostrato di essere in grado,
direttamente o indirettamente – di minacciare realmente l’Europa e i
suoi cittadini e lo ha fatto con propri “combattenti” in grado di
costituire nucleo di individui determinati, con adeguato livello di
addestramento e coordinamento, con buona capacità operativa in un
contesto urbano e un livello di capacità logistica e intelligence
adeguato, per quanto minimale. Si tratta di capacità procedurali già
applicate in Afghanistan, prima, e nei teatri operativi del cosiddetto
“Siraq” (Siria e Iraq) e della Libia, più recentemente.
Elementi caratterizzanti il fenomeno nel suo complesso – Contrariamente a quanto affermano – per ragioni non condivisibili di political-correctness
– le autorità, in tutte e due le tipologie di evento descritte è palese
il collegamento con il fenomeno dello Stato Islamico. Non si tratta di
un legame diretto con l’IS che opera in Siraq, ma alla sua evoluzione in
termini di fenomeno culturale, sociale, le cui conseguenze si riversano
sul piano operativo (in termini di modus operandi), strategico e
comunicativo. Non esistono legami formali, quali ordini gerarchici,
piani coordinati a livello centrale; ma si tratta non di meno di legami
molto forti, che si spostano sul piano simbolico, ideale, o meglio
ideologico. Legami in grado di colmare vuoti, creare senso di
appartenenza, rafforzare personalità deboli alla ricerca del riscatto
sociale, riempitivi emotivi per soggetti anche patologicamente
caratterizzati, frustrati alla ricerca di un proprio io attraverso il
nome di Dio. Un bacino potenziale su cui lo Stato Islamico e i suoi reclutatori hanno avuto presa.
Ciò
che emerge è che l’evoluzione del fenomeno della violenza-spettacolo ha
addirittura portato alla diffusione di uno sviluppo semplificato dello
strumento offensivo e nel coinvolgimento di soggetti tipo aventi almeno
cinque caratteristiche comuni e caratterizzanti. In breve:
1) Giovane età
2) Residenza/cittadinanza europea
3) Religione musulmana
4) Disadattamento sociale/disturbo psicologico
5) Disponibilità al sacrificio della propria vita (istishhadi, il martirio autonomamente scelto)
1) Giovane età
2) Residenza/cittadinanza europea
3) Religione musulmana
4) Disadattamento sociale/disturbo psicologico
5) Disponibilità al sacrificio della propria vita (istishhadi, il martirio autonomamente scelto)
E dunque, il fenomeno e la minaccia diretta si sviluppano attraverso definiti fattori in via di evoluzione.
In primis,
aumenta la frequenza degli attacchi e il coinvolgimento di musulmani
appartenenti alla fascia di età più giovane (in genere sono i giovani a
combattere). Ciò può essere letto come sintomo di non riconoscimento
all’interno della società che li ospita. Sono soggetti spesso affetti da
patologie psichiche, o che si sentono falliti socialmente e moralmente,
che tentano, con un ultimo ed estremo gesto, di crearsi uno spazio
sociale ed essere accettati dalla comunità dei musulmani. L’imposizione
del proprio io, l’identità smaterializzata di questi soggetti, avviene
attraverso la morte violenta (elemento comune tra molti attaccanti
suicidi, shahid per i musulmani); una morte che è data
potenzialmente per certa, ma non in senso assoluto, in quanto manca
l’equipaggiamento per procurare la morte auto-indotta (giubbetti o
cinture esplosive), a differenza di quanto avviene con per i commando suicidi.
In
secondo luogo, vi è l’identificazione dei soggetti come membri del
sedicente Stato Islamico e la volontà di riscatto e difesa per l’intera
comunità musulmana; questo elemento fa presa prevalentemente sui
soggetti precedentemente indicati.
Infine,
il meccanismo di emulazione che avviene per “contagio imitativo”, un
meccanismo di emulazione indotto dal processo di amplificazione
mass-mediatico della notizia attraverso i media tradizionali e il web;
ciò tenderebbe a portare all’aumento nella frequenza degli attacchi in
seguito ad azioni che hanno ottenuto maggior successo sul piano
“tattico” (numero di vittime) e su quello mediatico.
In
comune ci sono le motivazioni individuali; o meglio, la giustificazione
religiosa, di un Islam travisato e re-interpretato, che ognuno di quei
singoli individui ha dato al proprio gesto di violenza. Assassini in
nome di un dio, terroristi autodafé i cui gesti hanno avuto eco
mondiale.
Gli effetti pratici – Il
risultato è un’amplificazione mass-mediatica del messaggio di violenza
che capillarmente si diffonde e colpisce potenzialmente ovunque: un
circolo vizioso tanto pericoloso quanto vantaggioso per l’opera di marketing, premium branding e franchising dell’IS. Oggi chiunque può appropriarsi del brand
IS conducendo operazioni di successo (e solo quelle) e al tempo stesso
l’IS trae vantaggio indiscusso dalle azioni portate a termine che
rivendica con rapace immediatezza.
Dunque,
dire che gli eventi singoli, tra di loro non direttamente collegati e
condotti nella maggior parte dei casi da soggetti affetti da
psico-patologie, non sono riconducibili è fuorviante. Al contrario,
tutti gli eventi sono riconducibili all’IS in quanto tutti i soggetti
hanno agito in nome dello Stato Islamico.
Come
scrivevo già nel 2015, e qui ribadisco, i punti di forza della minaccia
contemporanea del “Nuovo Terrorismo Insurrezionale” si concretizzano
nelle adeguate capacità di intelligence, organizzativo-logistica, a cui si uniscono la motivazione e il livello operativo dei foreign fighters “europei”,
o di quei militanti infiltrati tra i profughi, provenienti dai teatri
di guerra del Siraq o i flussi migratori attraverso la Libia. Soggetti
capaci di sfruttare l’ampia disponibilità di obiettivi “soft target”
a elevata vulnerabilità; un vantaggio che si accompagna alla capacità
di reperimento di armi da guerra provenienti dal mercato nero e di
equipaggiamenti reperibili dal libero mercato.
Azioni
di questo tipo, come abbiamo visto, sono in grado di indurre
all’emulazione e stimolare la volontà di soggetti autonomi e non
organizzati che si sono recentemente imposti all’attenzione mediatica (i
lone-wolf, “lupi solitari” o terroristi autoctoni/homemade) [2].
Un
passaggio evolutivo che porterà inevitabilmente a un aumento delle
conflittualità intra-sociali tra la comunità ospitante, quella autoctona
europea, e quella ospitata, rappresentata, da un lato, dai soggetti
musulmani auto-marginalizzati, di seconda-terza generazione, e,
dall’altro lato, da una componente dei soggetti cosiddetti “migranti”;
una situazione che, nel complesso, porterà in tempi relativamente brevi
verso un aumento del conflitto etnico nelle nostre città, in particolare
le aree periferiche.
di Claudio Bertolotti - 25 luglio 2016
fonte:
* Claudio
Bertolotti è Ph.D, Senior Researcher – Indipendent Strategic Analyst,
CEMRES – “5+5 Defence Initiative”, CeMiSS – Military Center for
Strategic Studies, Italian MoD, ITSTIME – Italian Team for Security,
Terroristic Issues & Managing Emergencies.di Claudio Bertolotti - 25 luglio 2016
fonte:
[1] C. Bertolotti, NIT:
il “Nuovo Terrorismo Insurrezionale”. Dalla “5+5 Defence Initiative
2015”, il cambio di approccio, alla minaccia dello Stato Islamico, ISPI Analysis, n. 292, ISPI, dicembre 2015.
[2] C. Bertolotti, “Commando
suicidi”: dopo gli attacchi di Parigi, l’Italia è a rischio? Analisi
della minaccia del “Nuovo Terrorismo Insurrezionale”, in “Confini e Conflitti. Il ritorno della Geopolitica” – Speciale Terrorismo: il 13 novembre 2015 è un nuovo 11 settembre?”, Centro Militare di Studi Strategici (CASD-CeMiSS), Ministero della Difesa, Roma, febbraio 2016, pp. 161-170.
Photo credits: Picture-Alliance/DPA/F. P. Tschauner
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