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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

04/09/14

Gianni e Pinotti


Alfano


Chi pensava di aver visto tutto il giorno di Renzi col secchio in testa o col gelato in mano ha dovuto ricredersi ieri, dinanzi al Renzi dei Mille Giorni (risposta italiana alle Mille e una notte, ma molto più fiabesca). E non è finita qui, perché voci insistenti danno Roberta Pinotti e Angelino Alfano in pole position per gli Esteri, con gran sollievo per la Difesa e per l’Interno. La Pinotti è quella che, alle primarie del Pd a Genova, arrivò terza: ma solo perché correvano in tre (se erano in sedici, arrivava sedicesima) e che l’altroieri, alla notizia che il marò Latorre aveva un malore, s’è scapicollata in India per accudirlo (senonché, complice il fuso orario, al suo atterraggio il malato era già guarito). Alfano invece è Alfano. E intendiamoci: l’idea che uno così non tenga più le mani su polizia e servizi segreti è rassicurante. Ma ne sfugge l’attinenza con gli Esteri. Se è per questo, i precedenti esperimenti alla Giustizia, alla segreteria Pdl e all’Interno hanno dimostrato la sua assoluta incompatibilità con qualsiasi incarico e la sua enciclopedica incompetenza su qualunque materia.
Il che lo rende perfetto per qualsivoglia poltrona: essendo negato per tutto, può fare tutto con la medesima impreparazione. Va detto, per inciso, che un ministro degli Esteri dovrebbe parlare qualche lingua estera, mentre il nostro conosce una sola parola straniera (o meglio, quella che lui crede una parola straniera): “vucumprà”. Il mese scorso, giunto in ritardo a Strasburgo su un volo disturbato dal vento, si scusò con la commissaria europea Cecilia Malmström che l’aspettava, inerpicandosi temerario sulla lingua inglese: “Sorry… de uàind…”. La Malmström, svedese dunque padrona dell’inglese, lo guardò esterrefatta, poi tradusse materna e protettiva: “Ah, the wind”. Insomma: l’Angelino da esportazione ci regalerebbe soddisfazioni mai provate neppure ai tempi di Frattini Dry. Che, a differenza di Alfano, s’impegnava poco, non proferiva verbo e, a ogni crisi internazionale, veniva colto a svernare su un atollo caraibico o ad abbronzarsi su una pista da sci. Anche perché i partner europei, conoscendone la mondana indolenza e la decisiva inutilità, si scordavano di invitarlo ai vertici.   Al contrario Angelino, pur essendo un altro pelo superfluo della politica, s’impegna e si agita moltissimo, parla e twitta senza sosta. Nessuno, sventuratamente, l’ha mai visto a riposo. Tanto Frattini era pigro e innocuo, quanto Alfano è attivo e pernicioso. Soprattutto per se stesso, il suo partito (prima il Pdl, ora Ncd) e il suo dicastero. Ogni volta che apre bocca, cioè sempre e di solito fuori sincrono rispetto ai rari pensieri che l’attraversano, fa danni. Fortebraccio diceva di Tanassi: “Tace perché, essendo riuscito ad avere un’idea, ha paura che gli scappi”. Alfano invece, al primo segno di vita del suo neurone, inizia a parlare. Poi però s’inceppa: bocca aperta a fermo immagine, sopracciglia aggrottate, allarme degli astanti che temono una paresi e, mentre chiamano l’ambulanza, lo vedono improvvisamente sbloccarsi per dire cose di devastante inutilità. Il 9 marzo era a Sky a commentare la notizia di tre bambine uccise a Lecco. E lì, forse ispirato dalla toponomastica, giurò ieratico: “Non daremo scampo a chi ha compiuto questo gesto efferato e ignobile, inseguiremo l’assassino finché non l’avremo preso, poi lo faremo stare in carcere fino alla fine dei suoi giorni: ora convoco i vertici della polizia”. Invano la conduttrice tentò di frenarne l’empito e, a gesti, di comunicargli che la madre era stata arrestata da un pezzo e aveva confessato. La polizia s’era dimenticata di avvertirlo, non capacitandosi del fatto che fosse davvero il ministro dell’Interno. Se ora passasse agli Esteri, però, con almeno un paese intratterrebbe ottimi rapporti: il Kazakhstan. E sarebbe comunque un buon inizio, anche per le ottime relazioni di Astana con Mosca. Putin poi adora gli italiani che lo fanno ridere. L’altroieri ha detto: “Se voglio, arrivo a Kiev in due settimane”. Appena vedrà Alfano si correggerà: “Già che ci sono, in tre settimane vengo a Roma”.

Marco Travaglio
Da Il Fatto Quotidiano del 02/09/2014.

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