Siamo
a Natale ed è tempo di regali sotto l’albero. Tra quelli kitsch e
improbabili ci farebbe piacere trovarne qualcuno davvero utile.
Azzardiamo un desiderio.
Ieri l’altro il Tribunale Arbitrale dell’Aja ha comunicato la data di ripresa del procedimento che dovrà stabilire la giurisdizione competente a decidere sul caso dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Sarà tra l’8 ed il 20 di luglio che si stabilirà se sarà un tribunale italiano o una corte di giustizia indiana ad occuparsi di loro. La vicenda che li ha visti coinvolti la ricordiamo tutti, risale al febbraio 2012 quando la petroliera “Enrica Lexie”, battente bandiera italiana, in navigazione in prossimità delle acque territoriali indiane fu costretta ad attraccare in un porto del Kerala per consentire agli investigatori locali di svolgere indagini su un presunto omicidio, avvenuto in mare, di due pescatori del luogo. Secondo le ricostruzioni delle autorità locali, infatti, il gruppo di militari assegnati alla scorta della nave italiana avrebbe aperto il fuoco contro un peschereccio causando la morte di due membri dell’equipaggio. I marò imbarcati come nucleo di protezione militare sulla “Lexie” avrebbero sparato contro la piccola imbarcazione indiana perché questa si sarebbe avvicinata alla petroliera senza esserne autorizzata. I due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che vennero arrestati dalla polizia del Kerala con l’accusa di omicidio. Posto che i diretti interessati e neppure gli organismi competenti italiani abbiano mai ammesso alcuna responsabilità sull’accaduto, fin dalle prime battute dell’inchiesta era sorto un chiaro conflitto su chi se ne dovesse occupare, se le autorità italiane o quelle indiane.
Il Governo Monti e quelli del centrosinistra venuti dopo non hanno brillato per capacità risolutive nel trattare la questione che, debordando dallo stretto perimetro giudiziario, è sfociata in controversia diplomatica. Tant’è che ci sono voluti anni prima che Roma si decidesse a sollevare formalmente il conflitto di competenza davanti alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja. Intanto acqua ne è passata sotto i ponti e i toni accesi dei primi momenti, soprattutto da parte indiana, si sono attenuati. L’Italia e l’India hanno ripreso a tessere buoni rapporti commerciali dopo il periodo nero segnato dallo scandalo che ha coinvolto l’italiana “Agusta-Westland S.p.A.”, confluita in “Leonardo S.p.A”, con l’accusa di aver pagato una tangente ad alti funzionari indiani allo scopo di aggiudicarsi un appalto da 560milioni di euro per la vendita allo Stato asiatico di 12 elicotteri. Oggi, con il consenso del Governo giallo-blu, un gruppo industriale che fa capo a Lakshmi Nivas Mittal, il più grande imprenditore indiano dell’acciaio, ha rilevato gli impianti ex-Ilva in Italia con l’intenzione di farne il primo polo europeo nel comparto siderurgico. Sul fronte opposto, la comunità economica italiana continua ad investire in India. Quindi, tutto farebbe supporre che la voglia di litigare, molto forte nel 2012 anche per ragioni politiche interne alla realtà indiana, al momento sarebbe venuta meno.
Tuttavia, il fatto che il procedimento avviato all’Aja debba inevitabilmente concludersi con una pronuncia che dà ragione ad uno dei due contendenti penalizzando l’altro potrebbe riportare la tensione tra i due Paesi. Con un problema che non può essere dimenticato: di mezzo ci sono le vite delle persone. In particolare quelle dei due marò, che in alcun modo possono essere lasciati dall’Italia al loro destino, ma anche quelle di tutti gli altri protagonisti italiani della vicenda che hanno visto segnate le loro vite e la serenità delle loro famiglie dalle ignobili accuse lanciate contro il comportamento all’estero degli italiani, a prescindere dal fatto che indossassero o meno le stellette.
Concordiamo con le conclusioni alle quali giunge l’ambasciatore Antonio Armellini quando scrive, nel suo articolo dedicato alla vicenda e pubblicato sull’Huffington Post: “Il conto politico ed economico del dare e dell’avere dovrebbe militare in favore di un compromesso che metta fine a una quérelle che non è più prioritaria”. Visto che il premier Giuseppe Conte ha dato buona prova di sé, come negoziatore, con le teste quadre di Bruxelles, adesso che l’assillo dei conti pubblici gli concede un periodo di tregua perché non si applica sul dossier dei marò? L’idea di negoziare con l’omologo indiano, Narendra Modi, una soluzione equilibrata che sollevi i due militari da un’accusa assurda e nel contempo ponga una pietra tombale su una vicenda nata male e gestita peggio, sarebbe da prendere in seria considerazione. D’altro canto, farsi piovere addosso una decisione del collegio arbitrale, che sia favorevole o negativa non fa differenza, non è auspicabile per gli interessi del nostro Paese. L’attuale ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi è persona di grandi competenze ed esperienza. Chi meglio di lui potrebbe riavviare il dialogo con gli interlocutori indiani? Sia chiaro, se c’è da fare battaglia saremo sempre e comunque pronti a difendere i nostri, per amore di verità e per orgoglio patrio. Ma non siamo guerrafondai, per cui se fosse possibile un accordo che garantisse onore e giustizia a tutti i protagonisti italiani coinvolti nella vicenda, anche al di là degli aspetti processuali penali, sarebbe un’ottima cosa.
Caro Presidente del Consiglio dei ministri, ci rivolgiamo a Lei come se scrivessimo a Babbo Natale: quest’anno sotto l’albero, ci faccia dono di un’onorevole soluzione per i marò Latorre e Girone e per gli uomini della “Lexie”. Noi, per contraccambiare la sua disponibilità, chiederemo alla Befana di non portarle troppo carbone per il casino che, come maggioranza giallo-blu, avete combinato con Bruxelles sulla manovra finanziaria. Parola di lupetti.
Ieri l’altro il Tribunale Arbitrale dell’Aja ha comunicato la data di ripresa del procedimento che dovrà stabilire la giurisdizione competente a decidere sul caso dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Sarà tra l’8 ed il 20 di luglio che si stabilirà se sarà un tribunale italiano o una corte di giustizia indiana ad occuparsi di loro. La vicenda che li ha visti coinvolti la ricordiamo tutti, risale al febbraio 2012 quando la petroliera “Enrica Lexie”, battente bandiera italiana, in navigazione in prossimità delle acque territoriali indiane fu costretta ad attraccare in un porto del Kerala per consentire agli investigatori locali di svolgere indagini su un presunto omicidio, avvenuto in mare, di due pescatori del luogo. Secondo le ricostruzioni delle autorità locali, infatti, il gruppo di militari assegnati alla scorta della nave italiana avrebbe aperto il fuoco contro un peschereccio causando la morte di due membri dell’equipaggio. I marò imbarcati come nucleo di protezione militare sulla “Lexie” avrebbero sparato contro la piccola imbarcazione indiana perché questa si sarebbe avvicinata alla petroliera senza esserne autorizzata. I due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che vennero arrestati dalla polizia del Kerala con l’accusa di omicidio. Posto che i diretti interessati e neppure gli organismi competenti italiani abbiano mai ammesso alcuna responsabilità sull’accaduto, fin dalle prime battute dell’inchiesta era sorto un chiaro conflitto su chi se ne dovesse occupare, se le autorità italiane o quelle indiane.
Il Governo Monti e quelli del centrosinistra venuti dopo non hanno brillato per capacità risolutive nel trattare la questione che, debordando dallo stretto perimetro giudiziario, è sfociata in controversia diplomatica. Tant’è che ci sono voluti anni prima che Roma si decidesse a sollevare formalmente il conflitto di competenza davanti alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja. Intanto acqua ne è passata sotto i ponti e i toni accesi dei primi momenti, soprattutto da parte indiana, si sono attenuati. L’Italia e l’India hanno ripreso a tessere buoni rapporti commerciali dopo il periodo nero segnato dallo scandalo che ha coinvolto l’italiana “Agusta-Westland S.p.A.”, confluita in “Leonardo S.p.A”, con l’accusa di aver pagato una tangente ad alti funzionari indiani allo scopo di aggiudicarsi un appalto da 560milioni di euro per la vendita allo Stato asiatico di 12 elicotteri. Oggi, con il consenso del Governo giallo-blu, un gruppo industriale che fa capo a Lakshmi Nivas Mittal, il più grande imprenditore indiano dell’acciaio, ha rilevato gli impianti ex-Ilva in Italia con l’intenzione di farne il primo polo europeo nel comparto siderurgico. Sul fronte opposto, la comunità economica italiana continua ad investire in India. Quindi, tutto farebbe supporre che la voglia di litigare, molto forte nel 2012 anche per ragioni politiche interne alla realtà indiana, al momento sarebbe venuta meno.
Tuttavia, il fatto che il procedimento avviato all’Aja debba inevitabilmente concludersi con una pronuncia che dà ragione ad uno dei due contendenti penalizzando l’altro potrebbe riportare la tensione tra i due Paesi. Con un problema che non può essere dimenticato: di mezzo ci sono le vite delle persone. In particolare quelle dei due marò, che in alcun modo possono essere lasciati dall’Italia al loro destino, ma anche quelle di tutti gli altri protagonisti italiani della vicenda che hanno visto segnate le loro vite e la serenità delle loro famiglie dalle ignobili accuse lanciate contro il comportamento all’estero degli italiani, a prescindere dal fatto che indossassero o meno le stellette.
Concordiamo con le conclusioni alle quali giunge l’ambasciatore Antonio Armellini quando scrive, nel suo articolo dedicato alla vicenda e pubblicato sull’Huffington Post: “Il conto politico ed economico del dare e dell’avere dovrebbe militare in favore di un compromesso che metta fine a una quérelle che non è più prioritaria”. Visto che il premier Giuseppe Conte ha dato buona prova di sé, come negoziatore, con le teste quadre di Bruxelles, adesso che l’assillo dei conti pubblici gli concede un periodo di tregua perché non si applica sul dossier dei marò? L’idea di negoziare con l’omologo indiano, Narendra Modi, una soluzione equilibrata che sollevi i due militari da un’accusa assurda e nel contempo ponga una pietra tombale su una vicenda nata male e gestita peggio, sarebbe da prendere in seria considerazione. D’altro canto, farsi piovere addosso una decisione del collegio arbitrale, che sia favorevole o negativa non fa differenza, non è auspicabile per gli interessi del nostro Paese. L’attuale ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi è persona di grandi competenze ed esperienza. Chi meglio di lui potrebbe riavviare il dialogo con gli interlocutori indiani? Sia chiaro, se c’è da fare battaglia saremo sempre e comunque pronti a difendere i nostri, per amore di verità e per orgoglio patrio. Ma non siamo guerrafondai, per cui se fosse possibile un accordo che garantisse onore e giustizia a tutti i protagonisti italiani coinvolti nella vicenda, anche al di là degli aspetti processuali penali, sarebbe un’ottima cosa.
Caro Presidente del Consiglio dei ministri, ci rivolgiamo a Lei come se scrivessimo a Babbo Natale: quest’anno sotto l’albero, ci faccia dono di un’onorevole soluzione per i marò Latorre e Girone e per gli uomini della “Lexie”. Noi, per contraccambiare la sua disponibilità, chiederemo alla Befana di non portarle troppo carbone per il casino che, come maggioranza giallo-blu, avete combinato con Bruxelles sulla manovra finanziaria. Parola di lupetti.