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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

26/04/17

Migranti, terroristi, intolleranti, ignoranti



 


C’è un fenomeno della vita del Pianeta e dell’Europa in particolare, che incombe sull’Italia, che ne è uno dei punti di più alta criticità e che l’Europa non sembra voler considerare per quello che è, cioè il più rilevante, tragico e complesso che in Italia, più che altrove, viene affrontato (ma potremmo dire benissimo “non affrontato”) perché ci rifugiamo nelle astrattezze moraleggianti o nella vellicazione degli aspetti più epidermici, degli episodici in cui si presenta.
Siamo in prima linea di fronte all’ondata migratoria dei Paesi che chiamavamo il “Terzo Mondo” e che, volendo proprio ricorrere alla storia, dovremo dire ex coloniali. Siamo, finora, un Paese risparmiato dagli assalti terroristici; fenomeno, piaccia o non piaccia, connesso al primo. Un crocevia, assai probabilmente, del movimento dei terroristi in azione in Europa. Siamo la portineria “accogliente” di un’Europa che assai meno di noi è disposta ad affrontare la questione secondo le astrattezze e le prediche di soluzioni ideali.
Siamo, soprattutto, un Paese in cui le idee e gli atteggiamenti pratici relativi a tutto ciò restano aggrovigliati ed affrontati alla giornata, mentre sembra che a noi spetti il primato delle retoriche e dell’ignoranza imprevidente su ciò che tutto questo significa e comporta. Concetti come: accoglienza, società multietnica, diversità, terrorismo, guerra, integrazione, vengono facilmente usati a vanvera, con notazioni che variano a seconda delle fasi e delle occasioni, senza tenere mai conto delle connessioni che l’una cosa ha con le altre, così che ognuno di questi termini (e del modo di considerare i relativi problemi) ne risulti deformato e deviato.
Prendiamo il termine “accoglienza”, alla cui diffusione e assunzione a canone e dogma del “politicamente corretto” molta responsabilità è quella che ne porta il Papa Bergoglio. Nella sua astrattezza e mancanza di opportune precisazioni, limiti, condizioni, il termine equivale a quello del dovere di arrendersi anche di fronte a un’invasione, e, anzi, la fine del concetto stesso di appartenenza di un territorio a un popolo, se non dello stesso concetto di “popolo”, “nazione”, ecc..
L’“accoglienza” delle prediche del Papa populista è, del resto, nella sua astrattezza, non meno crudele della insensibilità totale di fronte a tragedie di certi popoli. E profondamente ingiusta moralmente. L’astrattezza, così concepita, ad esempio, comporta che il dovere relativo faccia carico su una parte dell’umanità, mentre la morale di Bergoglio comporta e presuppone che si tratta di un dovere di tutti gli uomini verso tutti gli altri. Mi spiego: se non si dà per scontata la necessità di porre limiti, filtri, difese contro il flusso migratorio, si arriva a concepire il “dovere dell’accoglienza” come condizionato solo dalla geografia.
I cosiddetti “migranti africani e medio-orientali” sbarcano in Italia e non in Giappone o in Argentina. Il dovere dell’accoglienza, comunque si voglia fondarlo, non può incombere sugli italiani più che sui giapponesi e sugli argentini. È chiaro che, pertanto, ogni astrattezza è ipocrita e pericolosa. Altra cosa, benché connessa, è quella della società multietnica e dell’integrazione (termini abbastanza evidentemente non solo non coincidenti, ma confliggenti). Una società “multietnica” non presuppone affatto l’“integrazione” delle varie etnie, e anzi, nella sua espressione più netta, la esclude.
Ma, soprattutto, se si vuole parlare di “integrazione” degli immigrati, in qualsiasi senso e a qualsiasi livello, occorre porsi il problema del limite dell’immigrazione, tanto più difficile (e inutile) essendo l’integrazione di frazioni troppo consistente di stranieri immigrati. Non solo: ma si pone e con carattere prioritario l’esigenza di una selezione (la chiamino pure “discriminazione”) tra etnie ed etnie non essendo concepibile una “integrazione generale”.
Analogo discorso vale per quel che riguarda la cosiddetta “accoglienza” e il terrorismo. Chi parla e sostiene l’“accoglienza”, in genere respinge una soluzione non formale ed ancor più il rimpatrio degli “accolti”, come pure l’eliminazione o anche la persecuzione dei clandestini. Tanto vale limitare la lotta al terrorismo al conflitto a fuoco dopo gli attentati, rinunciando a ogni generalizzata ed efficace prevenzione.
Se è del tutto evidente che il terrorismo non si combatte espellendo i musulmani e impedendo che ne arrivino altri, è altrettanto evidente che con una politica di “accoglienza” indiscriminata e di rinunzia anzitutto, alla repressione della presenza di clandestini, è assai difficile che possa essere imbastita un’efficace azione di contrasto, prevenzione e repressione del terrorismo. Che, non lo dimentichiamo, da un momento all’altro potrà estendere le sue sanguinose aggressioni qui tra noi in Italia.

di Mauro Mellini - 25 aprile 2017

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