Il
premier ottiene i complimenti dell'Europa per il Jobs Act. La
cancelliera apre sulle regole di bilancio e sul sistema di
cofinanziamento, che induce alcuni Paesi a sforare
Il
premier ottiene i complimenti dell'Europa per il Jobs Act. La
cancelliera apre sulle regole di bilancio e sul sistema di
cofinanziamento, che induce alcuni Paesi a sforare
È
un po' un minuetto. Matteo Renzi sventola al vertice europeo di Milano
il Jobs Act, Angela Merkel e l'Europa gli battono le mani. E fanno
intuire, fra molti se e altrettanti distinguo, che forse i parametri del
rigore, a cominciare da quello che fissa al 3 per cento il deficit, non
sono invalicabili. Prove di dialogo, dunque, al capezzale del grande
malato chiamato Europa. E una conferenza stampa finale che vede seduti
al tavolo 3 grandi: Angela Merkel, Francois Hollande, Matteo Renzi. Più i
vertici dell'Europa.
Attenzione: la giornata milanese non è un meeting istituzionale, ma una conferenza informale con 15 capi di Stato e di governo. Un palco voluto e stravoluto da Renzi, per dare un po' di visibilità ala presidenza italiana della Ue. Dunque, si ragiona con una certa disinvoltura, anche perché non è questa la sede adatta per varare misure storiche. La discussione, fra i leader, preceduta da quella fra i ministri del Lavoro, occupa tuto il pomeriggio. Dicono che questa volta l'indisciplinata di turno sia proprio lei, la Cancelliera: si alza e va a parlottare qua e là, senza ascoltare il relatore del momento. Schermaglie. La sostanza è che l'Europa studia, o almeno ci prova e cerca faticosamente una strada in bilico fra rigore e crescita, fra le croci del bilancio e i tentativi di stimolare la domanda interna che langue. I numeri della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, sono drammatici. E allora il dibattito per cercare una via d'uscita riprende anche davanti ai cronisti. I giornali italiani avevano scritto che forse la Merkel avrebbe disertato l'appuntamento finale e se ne sarebbe andata prima. Quasi a marcare la freddezza verso Roma. Falso. La Merkel prende la parola e si complimenta con Renzi: «Con il Jobs Act, in discussione al Senato, l'Italia ha adottato un'iniziativa molto importante». Che cosa ci sia dentro il Jobs Act non importa. Almeno oggi. Quel che conta, qui a Milano, in un incontro senza conclusioni, è il titolo: a Roma si mette mano al mercato del lavoro. Anche se poi si vedrà solo alla fine se si tratta di un pasto completo o di un brodino riscaldato. Un Fornero bis. «La disoccupazione - prosegue lei - rimane un grosso problema ancora in Europa, ma abbiamo gettato le basi per costruire qualcosa, per cambiare le cose. Le riforme strutturali ci sono in alcuni Paesi, in Italia c'è il Jobs Act in discussione al Senato e con questo l'Italia ha adottato un'iniziativa molto importante» Concetti importanti, un'apertura di credito, o questa è l'impressione. Parole che vengono fotocopiate da Hollande e dagli altri big, a cominciare dal presidente della Commissione Manuel Barroso. Riflessioni che spingono Renzi a schiaffeggiare la minoranza ostile, asserragliata a Palazzo Madama: «Del Jobs Act si sta parlando al Senato, parlando si fa per dire visto che le reazioni di una parte delle opposizioni sono più sceneggiate che politica. Se ogni volta che presentiamo delle riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate non è elemento di preoccupazione, a me preoccupa la disoccupazione non l'opposizione». Ecco, Renzi voleva un palcoscenico europeo per sventolare la riforma delle riforme. L'hanno accontentato, anche se nessuno è ancora andato a curiosare dentro il gigantesco uovo di Pasqua, piazzato in Senato.
Poi sui paletti, in particolare su quello del 3 per cento, si procede faticosamente, millimetro dopo millimetro, verso un obiettivo comune. Hollande si barcamena: «Cercheremo di rispettare gli impegni con l'Europa». La Merkel immediatamente lo impicca a quelle parole: «La Francia ha appena detto che rispetterà le regole». Ma poi allenta il nodo: «Dentro in patti ci sono già margini di flessibilità». Incoraggiante. Ancora di più su un tema specifico, quello dei progetti cofinanziati dall'Europa: «Siamo disposti a cambiare le procedure». «Quello che appena detto Angela è molto importante», coglie la palla al volo il premer italiano. Che vede passarsi davanti i miliardi che stanno sulle dita di una mano o poco più. E diventa euforico. Fino a bacchettare la maestra dell'Europa: «Qualcosa non va in Europa, io ho le mie idee sul 3 per cento, del resto la Germania di Schroeder 10 anni fa superò il 3 per cento. Ma l'Italia ha un problema di credibilità e quindi non sforeremo». Il messaggio però è chiaro: riforme in cambio di flessibilità. Uno scambio che vale un bel gruzzolo.
DI REDAZIONE - 9 OTOBRE 2014
fonte: http://www.ilgiornale.it
Attenzione: la giornata milanese non è un meeting istituzionale, ma una conferenza informale con 15 capi di Stato e di governo. Un palco voluto e stravoluto da Renzi, per dare un po' di visibilità ala presidenza italiana della Ue. Dunque, si ragiona con una certa disinvoltura, anche perché non è questa la sede adatta per varare misure storiche. La discussione, fra i leader, preceduta da quella fra i ministri del Lavoro, occupa tuto il pomeriggio. Dicono che questa volta l'indisciplinata di turno sia proprio lei, la Cancelliera: si alza e va a parlottare qua e là, senza ascoltare il relatore del momento. Schermaglie. La sostanza è che l'Europa studia, o almeno ci prova e cerca faticosamente una strada in bilico fra rigore e crescita, fra le croci del bilancio e i tentativi di stimolare la domanda interna che langue. I numeri della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, sono drammatici. E allora il dibattito per cercare una via d'uscita riprende anche davanti ai cronisti. I giornali italiani avevano scritto che forse la Merkel avrebbe disertato l'appuntamento finale e se ne sarebbe andata prima. Quasi a marcare la freddezza verso Roma. Falso. La Merkel prende la parola e si complimenta con Renzi: «Con il Jobs Act, in discussione al Senato, l'Italia ha adottato un'iniziativa molto importante». Che cosa ci sia dentro il Jobs Act non importa. Almeno oggi. Quel che conta, qui a Milano, in un incontro senza conclusioni, è il titolo: a Roma si mette mano al mercato del lavoro. Anche se poi si vedrà solo alla fine se si tratta di un pasto completo o di un brodino riscaldato. Un Fornero bis. «La disoccupazione - prosegue lei - rimane un grosso problema ancora in Europa, ma abbiamo gettato le basi per costruire qualcosa, per cambiare le cose. Le riforme strutturali ci sono in alcuni Paesi, in Italia c'è il Jobs Act in discussione al Senato e con questo l'Italia ha adottato un'iniziativa molto importante» Concetti importanti, un'apertura di credito, o questa è l'impressione. Parole che vengono fotocopiate da Hollande e dagli altri big, a cominciare dal presidente della Commissione Manuel Barroso. Riflessioni che spingono Renzi a schiaffeggiare la minoranza ostile, asserragliata a Palazzo Madama: «Del Jobs Act si sta parlando al Senato, parlando si fa per dire visto che le reazioni di una parte delle opposizioni sono più sceneggiate che politica. Se ogni volta che presentiamo delle riforme in Senato dobbiamo assistere a queste sceneggiate non è elemento di preoccupazione, a me preoccupa la disoccupazione non l'opposizione». Ecco, Renzi voleva un palcoscenico europeo per sventolare la riforma delle riforme. L'hanno accontentato, anche se nessuno è ancora andato a curiosare dentro il gigantesco uovo di Pasqua, piazzato in Senato.
Poi sui paletti, in particolare su quello del 3 per cento, si procede faticosamente, millimetro dopo millimetro, verso un obiettivo comune. Hollande si barcamena: «Cercheremo di rispettare gli impegni con l'Europa». La Merkel immediatamente lo impicca a quelle parole: «La Francia ha appena detto che rispetterà le regole». Ma poi allenta il nodo: «Dentro in patti ci sono già margini di flessibilità». Incoraggiante. Ancora di più su un tema specifico, quello dei progetti cofinanziati dall'Europa: «Siamo disposti a cambiare le procedure». «Quello che appena detto Angela è molto importante», coglie la palla al volo il premer italiano. Che vede passarsi davanti i miliardi che stanno sulle dita di una mano o poco più. E diventa euforico. Fino a bacchettare la maestra dell'Europa: «Qualcosa non va in Europa, io ho le mie idee sul 3 per cento, del resto la Germania di Schroeder 10 anni fa superò il 3 per cento. Ma l'Italia ha un problema di credibilità e quindi non sforeremo». Il messaggio però è chiaro: riforme in cambio di flessibilità. Uno scambio che vale un bel gruzzolo.
DI REDAZIONE - 9 OTOBRE 2014
fonte: http://www.ilgiornale.it
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