Scompare la base del Partito democratico: meno quattrocentomila iscritti in un anno. Allarmante avvisaglia.
In principio i metereologi
della politica italiana si sfiancavano a trovare le colonne d’Ercole
della Seconda Repubblica e consegnare all’anticamera della storia
l’avvenire di una terza. La predizione si mostrava, con il passare di
legislature, cosa faticosa, tanto che anche gli scanziani più incalliti
si piegavano alle Boldrini imposte. Così il turning point si sbiadiva in
prospetti grigi, il Cav. si ringaluzziva al Nazareno, la diaspora delle
Destre si ricuciva nelle istituzioni- vedi Alfano Angelino delfino di
sè stesso- e il centro si affondava nella tecno-comodità di un partitino
materasso. Mai più dipietristi, bertinottiani, sinistre giacobine o
scudi crociati dicevano. Verranno i giorni delle trincee contro i
populismi, grillini e non, dicevano. Tutto cambiava per rimanere uguale.
Perchè noi democristiani lo siamo nel sangue. E quindi dall’altra
parte, nella rive gauche, sconfitti gli scismi d’Oriente di vendoliani e
franchi tiratori, si stringevano le sù citate allegrie nazarene- quel
giorno in cui Silvio Berlusconi chiese chi fosse quel bell’uomo in foto,
quello con il sorriso timido e gli occhi sinceri e gli risposero che
era Enrico Berlinguer- e veniva Renzi, e siccome è venuto con il cavallo
di Troia democratico, ce lo sorbiremo a lungo. E allora dov’era questa
fottutissima Terza Repubblica? Da nessuna parte. Il progetto, perchè di
questo si tratta, era assai più ambizioso. Ieri quando all’obitorio
democratico sono giunti i dati sulle tessere hanno storto il naso quei
parrucconi della ditta e i puzzoni del Novecento ma non certo le belle
veneri di Boschi e Picierno. Esse ridono perchè così si vince. Ma
abbandonando il faceto si può giungere a conclusioni fantasiose quanto
verosimili.
Omnia sunt peccatores: il dato del
crollo degli iscritti, che recita un crudo -400 mila dal 2013, ha chiavi
di lettura più profonde se lo si analizza su base regionale, dove in
Sicilia, Puglia, Campania, Molise e Sardegna gli iscritti al partito
democratico sono nell’ordine delle centinaia o in Emilia, cascina rossa,
dove alle primarie per il governatore hanno votato in 57 mila. Cadute
vorticose anche in Umbria, altro feudo dem. Vent’anni fa era un dato
inimmaginabile anche per i Radicali. Come detto però di reazioni, al
netto dei ciwati, ve ne sono state poche. Perchè la pianificazione parte
da lontano. I più superficiali potrebbero optare per una via retorica
leggera focalizzando la questione sulla disistima dei cittadini nei
confronti dei partiti tradizionali, al superamento ideologico della
militanza, alle diversità contestuali del “farsi” partito,
l’impossibilità materiale a fare vita da circolo, proselitismo o
collettaggio. I più, superficiali, potrebbero anche credere, questa la
opzione gravida di malizia, che chissenefrega degli iscritti se poi
prendiamo il 40. Con quella disciplina di partito tutta epicurea che
Renzi ha innovato. Quindi i più potrebbero ancora pensare che i
carrozzoni hanno fatto il tempo e si va verso il futuro con il televoto
dei politici più belli. Un partito di elettori e non di iscritti.
La verità, forse faziosa e forse
schizzata, sta da un’altra parte. Questo processo di ristrutturazione
dei metodi concertativi, a onor del vero principiato dall’avvento di
Forza Italia nel ’94, sottende ambizioni più acute. Il primo a
ipotizzare una declinazione effettiva del sistema americano fu Walter
Veltroni al Lingotto nel 2007. Delineò il profilo di un partito liquido,
cantierabile nei periodi elettorali, unitario, “a struttura aperta”,
con la possibilità di avocare più settori sociali al comodo. L’idea,
distruttiva di ogni forma storica ascrivibile al PC, non si era compiuta
nel naufragio del 2008. Ma si era seminato il più: lobbismo poco
celato, tessera n.1 all’ingegner Debenedetti, rating ultra positivi
dagli analisti Goldman, estetica obamiana, assunzione semi- permanente
di endorser d’autore, snellimento degli statuti, della burocrazia,
dibattito interno ridotto al minimo. I tempi però erano ancora poco
maturi e Veltroni, l’uomo del “lei non sa chi sarei stato io”, era
ancora ineludibilmente legato a novecentismi e vecchie maniere. Le
fondamenta però erano ben salde.
Con Renzi dunque, la metamorfosi può
compiersi. Alla Leopolda- o nel suo omologo sudista “Fonderia delle
idee”- si celebrano le messe laiche per lo scatenamento dai dogmi di
prima repubblica. Mai più partiti, mai più sdentati che organizzano
servizi d’ordine, mai più panini con la frittata il giorno delle
manifestazioni, mai più piazze, cineforum nelle sedi, mai più comizi in
provincia di Enna. De-strutturare qualsivoglia forma di raccordo sociale
legato ai partiti, il fenomeno perdurante dal dopoguerra è sinonimo di
formazione politica e della coscienza civile, onere non accollabile
dall’odierna classe dirigente politica, un ceto parassitario che può
nutrirsi solo di masse informi acritiche. Quindi largo spazio alle cene
di fundraising, all’accomodatetivi a imprenditori e finanzieri- quasi a
sottolineare la smania di recuperare il tempo perduto- spazio ancora al
turnover generazionale, alla rottamazione, al sovvertimento dei punti
cardine di un partito. Non c’è più un quotidiano, le festa nazionale è
stata rebranded dal segretario/premier perchè troppo
maleodorante di vecchio. Un partito- non partito cui seguiterà una
politica- non politica sotto tutti i fronti. Una politica smart che
parli alla pancia e la chiuda lì.
Testimonianza inconfutabile di questo
processo è la storia legislativa degli ultimi anni. Parlamenti
centripeti, discussioni trasversali su temi di riforma ad ampio spettro
di discussione, incredibile coincidenza e sovrapposizione di vedute su
questioni preminenti, due camere- ma presto una sola- che
interloquiscono più rapidamente che mai per approvare a velocità
americane testi di legge che negli anni settanta avrebbero visto la
Gazzetta ufficiale solo dopo mesi. Quello che abbiamo continuato a
definire “inciucio” altro non è che lo scheletro del sistema partitico
statunitense. Ancora una volta le questioni intestine, che permangono
per palesare una fittizia dialettica interna, altro non sono che
l’alternarsi congressuale del toe the line/ cross the aisle
tipico di un sistema di diritto pubblico, come quello
presidenzialista-americano, che nell’elezioni di mid-term- prossime al
Senato- vede sconvolgersi i numeri tra partito esecutivo e leader nelle
camere. Un sistema quindi che non riconosce la assoluta diversità,
propizia di democrazia, tra le forze politiche attrici, ma che
incoraggia una politica unilaterale, nel verso che ben conoscete. E che
quindi smentisce in toto l’essenza stessa delle odierne democrazie.
L’immedesimazione- convergenza tra il segretario del partito e il
presidente del consiglio smaschera gli obiettivi senza mezzi termini. Il
premier incontra il gotha della City londinese con la faccia di un topo
che ha scovato il formaggio. Mediocre, inadeguato e piccolo borghese.
Questo è solo uno schizzo di un disegno
più grande che prevede il progressivo smantellamento degli assetti
costituzionali, la Endösung degli Stati di diritto, la fine dello stato
sociale come lo abbiamo conosciuto. Il paradosso, tutto europeo, di aver
costruito, nel dopoguerra, architetture costituzionali onnicomprensive e
corpose, garanti di diritti e delineatrici del sistema politico, è
inaccettabile, per loro s’intende, in una Europa coattivamente resa
matrigna.
di Niccolò Maria de Vincenti
- 4 ottobre 2014
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it
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