Da Mori a Ganzer, da Ultimo a Pollari: gli uomini dello Stato nell'ora del bisogno abbandonati al loro destino
Da Mori a Ganzer, da Ultimo a Pollari: gli uomini dello Stato nell'ora del bisogno abbandonati al loro destino
È
la frontiera più difficile. Perché chi la supera lo fa a suo rischio e
pericolo. In modo clandestino. E però è proprio lì, spesso solo lì, in
quella zona grigia, una terra fangosa per definizione, che lo Stato,
anche il nostro sgangherato Stato, tenta di tenere a bada i suoi nemici
più pericolosi: la mafia, anzi le mafie, perché in Italia c'è anche il
federalismo criminale, il terrorismo.
Anzi, pure qui, a grappolo, i terroristi: una volta le Brigate rosse, oggi i tagliagole nati dal big bang di al Qaida.
Chi
si avventura in quel paese finisce inevitabilmente con lo sporcarsi le
mani. Anzi, il rischio è quello di sprofondare letteralmente nella
palta. Accordi indicibili. Informazioni ottenute a caro, carissimo
prezzo. Violazione delle norme. Il catalogo degli strumenti utilizzati
per sconfiggere o almeno rallentare quelle trame assassine è lungo e
poco elegante. Ma si sa, la guerra si fa come si può, specialmente se
hai davanti boss o kamikaze che non controllano Stati, non sventolano
bandiere ma drogano l'economia, sciolgono i corpi nell'acido, tagliano
le teste, minacciano la nostra civiltà.
Chi oltrepassa quella linea invisibile si ritrova ricoperto di guano, ma al ritorno a casa, magari dopo aver centrato l'obiettivo, deve poi giustificare quello che giustificare si può, ma fino a un certo punto. Siamo un Paese strano. In bilico fra eroismo e tradimento, fra orgoglio e vergogna. Anzi, diciamola tutta: i nostri agenti segreti, i nostri poliziotti, i nostri militari partiti per quelle lande oblique rientrano spesso fra polemiche, processi, avvisi di garanzia. Con risultati paradossali: la magistratura che indaga sui servizi che indagano sugli estremisti della jihad ; i carabinieri che hanno catturato Totò Riina inquisiti per non averlo catturato prima. E poi tutto un saliscendi di sospetti, misteri, dietrologie. Sembra una filastrocca maligna. Un gioco del domino sfasciatutto. Gli italiani in prima linea, anzi oltre la prima linea, non ricevono medaglie e se cadono sul campo non vengono sepolti in un cimitero degli eroi che da noi, del resto, non c'è. Chi va, chi va oltre non viene coperto, non viene tutelato, al momento del bisogno viene abbandonato come un furfante al suo destino. Deve districarsi da solo fra avvocati, carte bollate, interrogatori umilianti.
Non vogliamo difendere dietro uno scudo paratutto tutto quello che è accaduto nella storia patria, ci mancherebbe. C'è stata una stagione, per fortuna superata, quella delle bombe, delle complicità o delle connivenze fra Stato e antistato che richiama dolorosamente una memoria di sangue. Piazza Fontana. Piazza della Loggia. La mattanza della stazione di Bologna.
E non vogliamo neanche semplificare e cancellare con un tratto di penna partite complicate, multistrato, con tanti attori in campo, come la trattativa, ma sarebbe più corretto dire le trattative fra Stato e Cosa nostra.
Ma uno Stato, anche il nostro, dovrebbe fissare principi chiari e semplici e dovrebbe difendere i servitori che l'hanno servito, per finalità Superiori, con la S maiuscola, oltre le leggi, oltre i codici, oltre le nostre certezze quotidiane. C'è una terra, quella terra, in cui il galateo è un libro sconosciuto. Laggiù, lontano ma a volte molto più vicino di quanto possiamo pensare, si tratta solo alzando la voce, riempiendo zaini di banconote, a volte mostrando le armi. Non c'è niente, o quasi, mettiamola così, che non si possa fare se lo Stato abbia pesato i pro e i contro. E stabilito che quella è l'unica via per scongiurare rischi tremendi, pericoli immani, scenari apocalittici. Inutile nascondersi come lo struzzo sotto la sabbia dell'ipocrisia. L'importante è non procedere in modo cialtrone, all'italiana, con una mano che finge di non conoscere l'altra. Decisivo è che chi riceve un mandato lo esegua anteponendo il bene comune, quello della collettività, al tornaconto personale, o peggio al salto dall'altra parte della barricata. È, dovrebbe essere, questo il criterio, la bussola, la stella polare pur nella notte e nelle tenebre della realtà contemporanea. Poi si possono fare scelte di un tipo o dell'altro. L'America, per intenderci, non paga un dollaro bucato ai fanatici dell'Isis e lascia morire, fra indicibili orrori, gli ostaggi; ma poi il presidente Obama in persona autorizza il lancio di droni che fanno a pezzi i soldati del califfo e lo stesso Obama ha seguito in diretta dalla situation room l'eliminazione di Bin Laden. Da noi probabilmente l'avrebbero indagato. Così mandiamo i nostri alfieri negli avamposti più lontani, poi magari li condanniamo in Corte d'assise. Per salvare la faccia, la perdiamo definitivamente.
Anzi, pure qui, a grappolo, i terroristi: una volta le Brigate rosse, oggi i tagliagole nati dal big bang di al Qaida.
Chi oltrepassa quella linea invisibile si ritrova ricoperto di guano, ma al ritorno a casa, magari dopo aver centrato l'obiettivo, deve poi giustificare quello che giustificare si può, ma fino a un certo punto. Siamo un Paese strano. In bilico fra eroismo e tradimento, fra orgoglio e vergogna. Anzi, diciamola tutta: i nostri agenti segreti, i nostri poliziotti, i nostri militari partiti per quelle lande oblique rientrano spesso fra polemiche, processi, avvisi di garanzia. Con risultati paradossali: la magistratura che indaga sui servizi che indagano sugli estremisti della jihad ; i carabinieri che hanno catturato Totò Riina inquisiti per non averlo catturato prima. E poi tutto un saliscendi di sospetti, misteri, dietrologie. Sembra una filastrocca maligna. Un gioco del domino sfasciatutto. Gli italiani in prima linea, anzi oltre la prima linea, non ricevono medaglie e se cadono sul campo non vengono sepolti in un cimitero degli eroi che da noi, del resto, non c'è. Chi va, chi va oltre non viene coperto, non viene tutelato, al momento del bisogno viene abbandonato come un furfante al suo destino. Deve districarsi da solo fra avvocati, carte bollate, interrogatori umilianti.
Non vogliamo difendere dietro uno scudo paratutto tutto quello che è accaduto nella storia patria, ci mancherebbe. C'è stata una stagione, per fortuna superata, quella delle bombe, delle complicità o delle connivenze fra Stato e antistato che richiama dolorosamente una memoria di sangue. Piazza Fontana. Piazza della Loggia. La mattanza della stazione di Bologna.
E non vogliamo neanche semplificare e cancellare con un tratto di penna partite complicate, multistrato, con tanti attori in campo, come la trattativa, ma sarebbe più corretto dire le trattative fra Stato e Cosa nostra.
Ma uno Stato, anche il nostro, dovrebbe fissare principi chiari e semplici e dovrebbe difendere i servitori che l'hanno servito, per finalità Superiori, con la S maiuscola, oltre le leggi, oltre i codici, oltre le nostre certezze quotidiane. C'è una terra, quella terra, in cui il galateo è un libro sconosciuto. Laggiù, lontano ma a volte molto più vicino di quanto possiamo pensare, si tratta solo alzando la voce, riempiendo zaini di banconote, a volte mostrando le armi. Non c'è niente, o quasi, mettiamola così, che non si possa fare se lo Stato abbia pesato i pro e i contro. E stabilito che quella è l'unica via per scongiurare rischi tremendi, pericoli immani, scenari apocalittici. Inutile nascondersi come lo struzzo sotto la sabbia dell'ipocrisia. L'importante è non procedere in modo cialtrone, all'italiana, con una mano che finge di non conoscere l'altra. Decisivo è che chi riceve un mandato lo esegua anteponendo il bene comune, quello della collettività, al tornaconto personale, o peggio al salto dall'altra parte della barricata. È, dovrebbe essere, questo il criterio, la bussola, la stella polare pur nella notte e nelle tenebre della realtà contemporanea. Poi si possono fare scelte di un tipo o dell'altro. L'America, per intenderci, non paga un dollaro bucato ai fanatici dell'Isis e lascia morire, fra indicibili orrori, gli ostaggi; ma poi il presidente Obama in persona autorizza il lancio di droni che fanno a pezzi i soldati del califfo e lo stesso Obama ha seguito in diretta dalla situation room l'eliminazione di Bin Laden. Da noi probabilmente l'avrebbero indagato. Così mandiamo i nostri alfieri negli avamposti più lontani, poi magari li condanniamo in Corte d'assise. Per salvare la faccia, la perdiamo definitivamente.
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fonte: http://www.ilgiornale.it
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fonte: http://www.ilgiornale.it
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