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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.
(Bertrand Russell)
31/10/14
La minaccia – interna e regionale – del terrorismo in Egitto
Anche dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi a Presidente della Repubblica nel maggio 2014, la transizione egiziana non può definirsi totalmente conclusa poiché a seguito delle destituzioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011 e di Mohamed Morsi nel luglio 2013 permane nel paese una rilevante serie di problemi. La sicurezza e il pericolo del terrorismo rappresentano sicuramente alcune delle maggiori criticità del periodo post-Primavere arabe.
I cambiamenti al vertice del 2011 e del 2013 hanno acuito in Egitto una recrudescenza terroristica che si pensava parzialmente risolta dopo gli innumerevoli arresti – oltre 3.000 – di militanti e sospetti jihadisti a seguito degli attentati di Luxor del 1997 e quelli nel Sinai meridionale (Sharm al-Shaik, Dahab, Taba, Ras al-Shaitan e Nuweiba) del triennio 2004-06. Attualmente la minaccia è localizzata su più fronti: coinvolge la penisola del Sinai nella sua interezza, il mainland egiziano (Il Cairo, il distretto della capitale e il delta del Nilo) e le province occidentali vicino al confine libico. Secondo le autorità egiziane, Ansar Bayt al-Maqdis (ABM) è al momento la principale minaccia alla sicurezza nazionale, nonché il gruppo responsabile della maggior parte degli attacchi lanciati negli ultimi mesi in tutto il paese.
ABM è un’organizzazione islamista radicale di matrice salafita che si richiama all’ideologia qaedista ma che ufficialmente non risulta legata ad Al-Qaeda attraverso un’affiliazione diretta come nel caso di AQAP (Al-Qaeda in the Arabian Peninsula) o AQIM (Al-Qaeda in the Islamic Maghreb). Il gruppo presenta, comunque, collegamenti rilevanti con le sezioni siriane più o meno direttamente affiliate al nucleo duro di Al-Qaeda (come Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham) e ai movimenti islamisti attivi in Libia (in particolare con il Mohammed Jamal Network e Ansar al-Sharia Libya). Negli ultimi mesi, tuttavia, si è assistito all’emergere di nuove sigle jihadiste affiliate allo Stato Islamico/ISIS (come Jund al-Khilafah Kinana) e a un fenomeno di emulazione con alcune decapitazioni nel Sinai – è il caso dei quattro egiziani accusati di essere spie del Mossad il 28 agosto scorso: tutto ciò farebbe propendere per un avvicinamento di Ansar Bayt al-Maqdis all’organizzazione del califfo Abu Bakr al-Baghdadi.
ABM è operativo nei territori centro-settentrionali del Sinai vicino al confine israeliano tra Rafah, Al-Arish e Sheikh Zuweid. Prima del 2013 le sue azioni erano fondate soprattutto sui rapimenti di soldati, sul lancio di razzi verso Israele e sugli attentati alle infrastrutture economiche – tra tutte l’Arab Gas Pipeline, il gasdotto sinaitico che rifornisce di gas naturale liquido la Giordania e che ha coperto fino all’aprile 2012 il 40% dei consumi domestici israeliani (1,7 miliardi di m³). Il golpe del luglio 2013 ha rappresentato uno spartiacque fondamentale nel modus operandi della cellula jihadista segnando un innalzamento del livello qualitativo degli attacchi: lo dimostrano gli attentati al quartier generale della Direzione sicurezza del sud Sinai ad At-Tur nell’ottobre 2013, l’abbattimento di un elicottero dell’esercito egiziano tramite sistema missilistico antiaereo MANPADS nel gennaio 2014 o l’attacco al bus di turisti coreani a Taba nel febbraio 2014. Nonostante siano in corso nuove campagne di counterterrorism – ben tre dal 2011 al 2013 – contro i miliziani di ABM e delle altre sigle jihadiste, i risultati sono ancora contenuti e le operazioni non hanno condotto a una reale messa in sicurezza della penisola.
A fronte degli sforzi profusi dal governo egiziano, il numero di cellule radicali continua a crescere, in particolare nel Sinai: un fenomeno sospinto soprattutto dal dissenso islamista nei confronti dell’establishment civile-militare. A ciò bisogna aggiungere che nonostante gli arresti e le uccisioni di miliziani e leader jihadisti – recentissima la notizia dell’uccisione da parte delle forze di sicurezza di Abu Osama al-Masry, leader di ABM – non migliora neanche la percezione della sicurezza complessiva nel paese. Un paradosso che si è manifestato in tutta la sua evidenza con la non-partecipazione attiva dell’Egitto nella coalizione arabo-occidentale contro l’ISIS, nel timore che una sua iniziativa militare possa incentivare una ritorsione da parte dei gruppi radicali e, allo stesso tempo, favorire un nuovo bacino di reclutamento dal quale attingere nella battaglia jihadista contro il governo centrale.
Se gli Stati Uniti spingono per un maggiore coinvolgimento dell’Egitto nel fronte anti-IS, come dimostra la visita dell’8 ottobre di una delegazione americana al Cairo, di converso al-Sisi si limita a una forma di “appoggio esterno” consapevole dei rischi di instabilità crescente che abbracciano tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. Il timore principale è che il paese diventi un hub di primo livello per operazioni terroristiche da e verso i maggiori teatri di crisi regionali, ponendo dunque un serio problema alla sicurezza interna egiziana contestualmente a quella dell’area mediorientale.
di Giuseppe Dentice*
* Questo articolo è apparso originariamente su Aspenia online, Rivista dell’Aspen Institute Italia il 16.10.2014.
Photo credits: AFP
fonte:http://www.bloglobal.net/
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