Le cristiane rapite già a 12 anni vengono abusate, costrette a sposare un musulmano e a rinnegare la famiglia. Nadia: «Mi sono convertita con una pistola puntata alla tempia, mi dicevano che avrebbero ucciso i miei genitori»
RAPITE A 12 ANNI. Le donne vengono rapite in un’età compresa tra i 12 e i 25 anni, soprattutto nella provincia del Punjab dove la presenza di movimenti radicali islamici è più forte e numerosa. Il rituale è sempre lo stesso: la famiglia della vittima denuncia il rapimento alla polizia, mentre il rapitore fa una controdenuncia in nome della donna rapita accusando la sua famiglia di voler molestare la donna obbligandola a tornare alla religione di provenienza.
PICCHIATE E ABUSATE. Successivamente, alla donna viene chiesto di testimoniare davanti alla corte o alla polizia se è stata convertita e sposata a forza oppure no. Nella maggior parte dei casi, la rapita viene lasciata in custodia ai rapitori anche attraverso la falsificazione della sua età nel caso sia minorenne.
La donna è sempre costretta a testimoniare il falso, dal momento che i rapitori nel frattempo la violentano, la picchiano, la prostituiscono o la vendono al miglior offerente.
LA STORIA DI NADIA. Ogni anno si verificano almeno mille casi come quello di Nadia Naira, cristiana di Sheikhupura (Punjab) rapita all’età di 15 anni l’11 febbraio 2001, sposata nel giro di due giorni con rito islamico a Sheikh Maqsood, influente musulmano della zona. Portata in un posto segreto è stata picchiata, abusata e convertita con una pistola puntata alla tempia.
La prima denuncia della famiglia non ha prodotto alcun risultato, la seconda ha convinto i giudici ad ascoltare la testimonianza della ragazza, che però ha confermato la versione del rapitore Maqsood contro la famiglia.
«CONVERTITA A FORZA ALL’ISLAM». Scappata dieci anni dopo da suo marito, ha rivelato quanto accaduto: «Maqsood mi ha avvisato che se avessi testimoniato contro di lui avrebbe ucciso la mia famiglia. Per me era difficile capire le cose, avevo solo 15 anni all’epoca e mi preoccupavo per i miei genitori. (…) Al processo ho visto i miei genitori ma mi hanno proibito di parlare con loro. Maqsood mi ha minacciato di nuovo in tribunale e ho testimoniato a suo favore. Ho quindi detto al giudice che non ero mai stata rapita e che mi ero convertita perché volevo così. (…) Ho detto che volevo vivere con mio marito e non volevo avere più niente a che fare con la mia famiglia cristiana. È stato doloroso dire quelle cose mentre i miei genitori erano presenti ma la loro salvezza era nelle mie mani e io non sapevo cosa fare».
LA FUGA DAI RAPITORI. Durante i dieci anni che è rimasta rapita è stata picchiata e abusata sessualmente. Ha dato alla luce cinque figli nel frattempo e quando si è rifiutata di convertire la sua famiglia cristiana ha cominciato a subire un trattamento ancora peggiore. Maqsood aveva già una moglie e Nadia è andata a vivere con i cinque figli, la prima moglie del rapitore e i suoi precedenti cinque figli.
Dopo essere scappata ed essersi riunita alla sua famiglia, l’incubo non è finito perché Nadia ha continuato a ricevere minacce di morte e attacchi violenti. Ha denunciato il suo rapitore chiedendo l’annullamento del matrimonio ma in seguito è stata costretta a chiudere il caso affermando che aveva raggiunto un compromesso con Maqsood e riunendosi al marito.
Leone Grotti - 10 aprile 2014
fonte: http://www.tempi.it
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