Le prossime elezioni europee saranno «le piú importanti di sempre». Si possono condividere o no le posizioni euroscettiche dell’eurodeputato inglese Nigel Farage,
ma la sua lettura delle consultazioni del prossimo maggio è
impeccabile. Se le elezioni del 2009 furono contraddistinte dalla smania
trionfalistica dei Popolari e dall’affannata rincorsa dei Socialisti, quelle del 2014 vedono i due grandi partiti — PPE e PSE — fare fronte comune contro l’ondata euroscettica. Un evento quasi unico nella storia del «sogno politico europeo». A capeggiare il dissenso nei confronti dell’operato dell’UE c’è il Gruppo Europa della Libertà e della Democrazia (EFD), che tiene insieme il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), il Partito Politico Riformato (SGP) olandese e la Lega Nord. Proprio il partito fondato da Umberto Bossi può esser usato come termometro della temperatura politica nella quale sta per iniziare la campagna elettorale. Da tangentopoli
in avanti, infatti, la Lega ha dimostrato di saper fiutare in anticipo i
cambiamenti di sensibilità dell’elettorato. Per questo la decisa
battaglia antieuropeista condotta dal segretario Matteo Salvini
fotografa meglio di molti sondaggi il sentimento di scoramento e di
sfiducia presente tra i cittadini nei confronti delle istituzioni
europee.
Tuttavia, alle prossime elezioni il movimento euroscettico si presenterà in maniera piuttosto disaggregata. Il blocco dell’EFD reciterà
un ruolo da protagonista, ma accanto a esso graviteranno altri
movimenti, tutt’altro che trascurabili. Nell’eterogenea conformazione
dell’elettorato europeo, abbiamo assistito già in passato
all’affermazione di gruppi politici indipendenti; probabilmente, una fetta consistente di quel mondo sposerà istanze euroscettiche nella prossima campagna elettorale. Il Movimento 5 Stelle è forse il caso piú emblematico: pur mantenendo la propria indipendenza, il movimento di Grillo sosterrà posizioni non cosí lontane da quelle difese da Marine Le Pen in Francia, da Farage in Inghilterra e da Salvini in Italia.
Il successo popolare dei movimenti
euroscettici non è spiegabile — o almeno non del tutto — attraverso la
lettura dei loro programmi politici. Per capire le ragioni dell’avanzata
euroscettica, è utile riprendere il capolavoro di Frédéric Bastiat intitolato Ciò che si vede e ciò che non si vede.
Il pensatore francese sottolineava, già a metà Ottocento, la tendenza
del dibattito pubblico a soffermarsi sugli aspetti piú superficiali
dell’azione politica, trascurando le conseguenze piú nascoste ma non per questo meno importanti. Il successo dei movimenti euroscettici sta proprio nell’aver portato tra «ciò che si vede» tutti i limiti
dell’attuale struttura europea. Di contro, poco o nulla è stato fatto
dai tradizionali grandi partiti per far uscire dall’angolino buio di «ciò che non si vede» i benefíci che l’UE ha comportato.
L’immagine dell’Europa ch’è
andata costruendosi nel corso degli ultimi anni facilita molto il gioco
dei movimenti euroscettici. Oggi, i cittadini hanno negli occhi l’Europa
degli sprechi — su tutti, quello della doppia sede del Parlamento europeo. Essi sono venuti a conoscenza dell’eccesso di regolamentazione che ha investito alcuni settori dell’economia — per esempio, le folli normative sulle dimensioni dell’ortofrutta. Ma, soprattutto, essi identificano l’Europa coll’eccesso di protagonismo decisionale della Germania. Tutto questo rappresenta «ciò che si vede» dell’Unione Europea, contro il quale si scagliano con puntualità i movimenti euroscettici.
Per quanto riguarda «ciò che non si vede», il discorso è piú complesso. Senza voler tessere le lodi d’un sistema che non le merita, ci sono alcuni fattori che PPE e PSE
avrebbero potuto far pesare nel corso degli anni per convincere
l’opinione pubblica della bontà del progetto europeo. Due su tutti. Che
cosa sarebbe successo agli Stati membri — e in particolar modo a quelli
del Sud — se avessero dovuto affrontare la crisi finanziaria del 2008 con una moneta debole e priva di credibilità sui mercati internazionali? E come sarebbero arrivati, quegli stessi Paesi, alla crisi dei debiti sovrani del 2011, se avessero avuto la possibilità d’operare con disavanzi pubblici a due cifre?
Questa è l’argomentazione che i due grandi partiti avrebbero dovuto
portare avanti e che, in parte, potrebbero usare anche nella prossima
campagna elettorale. Avrebbero dovuto far capire che il sistema ha dei
limiti evidenti, che la situazione è stata e resta drammatica, ma che sarebbe potuta andare molto peggio, qualora le classi politiche dei singoli Paesi avessero risposto alle crisi con azioni solitarie e inadeguate.
PSE e PPE non solo non hanno seguíto
questa strada, ma sono stati in grado di peggiorare una situazione già
abbastanza critica. Lo scenario in cui siamo proiettati oggi, infatti,
non è tanto merito dei movimenti euroscettici, che hanno raggiunto la
grande ribalta solo di recente, quanto una responsabilità diretta di chi
ha guidato i singoli governi nazionali negli ultimi anni. È il
risultato della mancanza di coraggio che i leader europei hanno palesato nella propria azione. Ogniqualvolta si sono resi necessari interventi di riforma, essi ne hanno scaricato il peso sulle spalle delle istituzioni europee, facendo passare l’idea che non si trattasse di riforme doverose, bensí d’antipatici e quasi umilianti atti d’asservimento a diktat provenienti dall’alto. Oggi, raccolgono i frutti di quel triste scaricabarile.
Sarà interessante osservare in che
misura lo spirito euroscettico presente nell’aria si tradurrà in
effettivo peso elettorale. Soprattutto, sarà interessante notare
l’entità dell’avanzata euroscettica nelle diverse aree del Vecchio
Continente, all’interno delle quali la sfiducia verso le istituzioni
europee ha assunto forme anche molte diverse. Tutto passerà, comunque,
dalla capacità dei maggiori partiti di far emergere gli aspetti positivi — ma nascosti — dell’Unione Europea. Se, viceversa, essi tenteranno di rincorrere i movimenti euroscettici, facendosi portatori di critiche «costruttive» verso l’Europa, allora la strada di Salvini, Le Pen, Grillo e Farage sarà abbastanza in discesa. Tutto passa, ancor una volta, dalla distanza che separa ciò che si vede da ciò che non si vede.
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