Il mio discorso di ieri alla Sala del Cenacolo della *Camera dei Deputati*:
"Siamo entrati nel terzo anno
della questione Marò. Una vicenda vergognosa e incredibile; un'ombra
nera sulla politica estera del nostro Paese; un vulnus alla capacità
dell'Italia di affermare la propria Sovranità nazionale e di rispettare e
tutelare le proprie Forze Armate tenendo sempre alto - bene al di sopra
di interessi e profitti commerciali - il valore
della sicurezza e della vita dei nostri concittadini. I più elementari
principi di dignità nazionale sono stati sfregiati dall'incapacità
manifesta, o meglio dalla volontà, di non voler gestire e risolvere una
crisi che si è prodotta essenzialmente perché alcuni poteri forti
dell'economia e dell'informazione del nostro Paese hanno stabilito che
la libertà di due uomini con le stellette non valesse alcun rischio -
neppure il più piccolo - di tensione con un Paese come l'India dove si
possono fare "ottimi affari", e dove certi interessi si dovrebbero
coltivare meglio se ci mostriamo remissivi e accondiscendenti. Una falsa
chimera che ha incantato orecchie interessate o ingenue da ben prima
che si aprisse la questione Maro'. Sin dal 2006 c'è stato chi ha
sostenuto - persino *alla Farnesina* - che le opportunità di fare
business con l'India si sarebbero accresciute se l'Italia avesse
abbandonato due fondamentali impostazioni della nostra politica estera
multilaterale: la prima, quella di una riforma del Consiglio di
Sicurezza dell'ONU veramente democratica, dove ulteriori seggi
permanenti - che invece l'India pretende - sarebbero "dalla parte
sbagliata della storia" e danneggerebbero ancor più le prospettive di
una presenza europea in Consiglio di Sicurezza. La seconda avrebbe
dovuto essere il nostro riconoscimento incondizionato che l'India ha
tutte le carte in regola per entrare nel club ristretto delle potenze
nucleari anche incrementando ulteriormente il proprio arsenale, passo
che solleva molte riserve tra paesi come il nostro che hanno
sottoscritto il Trattato di non proliferazione delle Armi Nucleari. Sul
"tavolo degli affari" vi era quindi - ben sei anni prima che Latorre e
Girone venissero rimandati in India per considerazioni sostanzialmente
analoghe - "voci interessate" che avrebbero voluto imprimere una
rotazione di 180 gradi ad assi portanti della politica estera italiana
in tema di sicurezza internazionale e perfino di non proliferazione
nucleare. Ciò detto, Latorre e Girone, e con loro tutte le nostre Forze
Armate, sono stati traditi tre volte, e sappiamo tutti perfettamente da
chi, permettendo alle autorità indiane di agire incontrastate con la
loro assurda pretesa di esercitare sul caso una giurisdizione esclusiva
incompatibile con l'UNCLOS e con le più elementari regole del Diritto
Internazionale. Traditi una prima volta dalla decisione di far entrare
la Lexie a Kochi, di far prima interrogare a bordo i Marò dagli indiani e
poi di farli sbarcare e consegnare, in condizioni di alto pericolo
personale, alla polizia indiana. Traditi una seconda volta quando,
nonostante le mie richieste scritte, l'allora Presidente del Consiglio
Monti nulla fece per sensibilizzare la Procura di Roma nell'attivare
misure cautelative che impedissero loro - comunque indagati per un
presunto omicidio colposo - il ritorno in India dopo Natale. Traditi
clamorosamente la terza volta, rovesciando ancora una volta tutti gli
argomenti politici e giuridici sulla base dei quali il Governo aveva
deciso di deferire la questione a un Arbitrato Obbligatorio previsto
dall'All. VII dell'Unclos, rimandandoli in India per la seconda volta a
marzo 2013, e a nulla valsero le mie proteste e poi le mie dimissioni
per far cambiare orientamento al Governo. L'informazione filogovernativa
di ieri e di oggi ha cercato e cerca ancora di accreditare presso
l'opinione pubblica la tesi della "catena di errori" che avrebbe causato
una mancata tempestiva soluzione della questione Marò. NON E' COSI'. I
tre tradimenti dei nostri Marò sono stati meditati, voluti,
accuratamente perpetrati. Latorre e Girone in balia dell'India
rappresentano il pieno successo di un ben precisa strategia
manifestatasi in modo persino virulento nelle dichiarazioni anche
recenti di chi più di ogni altro ha insistito per rimandare Latorre e
Girone in India. Considerazioni e interessi economici hanno accompagnato
sin dall'inizio questa crisi. Non è stato forse lo stesso per il caso
Salabayeva in Kazakhistan e per quello di Cesare Battisti a Rio de
Janeiro? Potevamo però pensare che per due soldati in missione
antipirateria questi "interessi" avrebbero rappresentato una priorità
attenuata, come avviene sempre per tutti gli altri paesi del Mondo
quando si tratta di uomini con le stellette che sono all'estero in
rappresentanza dello Stato... Io e molti altri lo pensavamo, ma -
purtroppo - abbiamo avuto e continuiamo ad avere torto su questo punto.
Abbandonando i nostri Maro' in India, l'Italia ha mostrato un'infinita
debolezza che si sta pesantemente riflettendo proprio su quegli
interessi ritenuti prioritari da alcuni poteri forti forse nella loro
capacità di lucrare profitti con la politica, ma non certo di contare e
competere all'estero come il nostro Paese meriterebbe. C'è un partito
filoindiano anche nelle stanze più alte del potere: guardiamo
all'associazione di amicizia parlamentare Italia/India, cosa sta
facendo, e cosa dichiara…? Si continua a insistere sull'attenuazione,
rimozione e tacitazione di qualsiasi iniziativa che possa anche solo
infastidire New Delhi. Leggiamo di ex diplomatici vicini all'India che
sostengono questa tesi, lo sentiamo da alcuni nostri parlamentari, ne è
piena la stampa, portavoce delle istanze di chi quei tradimenti li ha
pensati e realizzati. Vanno sempre bene i rinvii, un mese, poi di colpo
altri quattro… vanno bene nuove indagini ogni sei mesi… vanno bene i
rifiuti all'Arbitrato internazionale… Queste sono le prove attuali e
persistenti di una strategia precisa, puntuale, coordinata e sprezzante
della più elementare forma di dignità nazionale. E la politica indiana?
L'Economist della scorsa settimana pubblicava in copertina quanto segue:
"Qualcuno può fermare Narendra Modi?" Il leader del Bharatya Janata
Party, governatore del Gujarat e l'uomo forte del nazionalismo Indu,
personalità che ha già anticipato la sua personale condanna contro
Latorre e Girone. Un elementare buon senso, se non vi fossero stati
altri motivi per restare immobili, avrebbe imposto e tuttora imporrebbe
la massima azione e visibilità del caso a livello internazionale prima
che si chiudano sull'Italia questi pericolosissimi giochi della politica
interna indiana. Invece no: lasciamo fare agli indiani, non
interferiamo, sostengono le interessate voci alle quali mi sono già
riferito. Ancora l'Economist sottolinea la "venalità" dei politici
indiani: la crescita in India si è dimezzata, troppo debole per
assicurare lavoro a milioni di giovani che entrano ogni anno nel mercato
del lavoro, le riforme languono, strade e elettricità restano
indisponibili, i bambini sono senza scuole degne di questo nome...
Contemporaneamente, si stima che politici e funzionari abbiano preso
tangenti negli anni di governo del Partito del Congresso tra i 4 e i 12
miliardi di dollari. Il "business della politica", secondo gli stessi
indiani, è la corruzione, questa è la conclusione dell'Economist. Ho
citato questa breve parte di una più a ampia analisi perché essa dà il
senso della particolare e pericolosissima commistione di elementi che
caratterizza la situazione in India in una fase così cruciale per
risolvere la vicenda dei nostri Marò. Ci vorrebbe ben altra
determinazione, chiarezza, onestà, senso della Diplomazia e conoscenza
del Diritto internazionale per uscirne. Anche a rischio di far storcere
la bocca a chi scommette *sempre* sulla *svendita* della nostra
sovranità nazionale. Quindi ora - per favore - RIPORTIAMOLI A CASA.
Giulio Terzi - 11 aprile 2014
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