Parla Alberto Torregiani, vittima del latitante in Brasile
«Il caso dei Marò in India? È speculare e opposto a quello di Battisti
in Brasile. Nel secondo, un terrorista condannato dai tribunali italiani
non viene estradato perché si ritiene che, se ciò avvenisse, sarebbe
"perseguitato". Nel primo, due militari che facevano il loro lavoro a
bordo di una nave battente bandiera tricolore rischiano di essere
condannati in base a una legge sul terrorismo».
Alberto Torregiani, 50 anni, da 35 su una sedia a rotelle dopo
l’agguato dei «Proletari Armati per il Comunismo», che il 16 febbraio
del 1979 a Milano ferirono lui alla spina dorsale e uccisero il padre
Pierluigi, è amareggiato. Ma non più di quanto lo sia stato in questi
lunghi anni da paraplegico. Anche se ieri il premier Renzi ha incontrato
l’ex presidente Lula, che quando era al governo si rifiutò di estradare
il mandante di quell’omicidio, Cesare Battisti, e non si è parlato del
caso.
Signor Torregiani è sorpreso del fatto che il «companheiro» Renzi non abbia nemmeno accennato alla questione Battisti?
«Anche se Lula è un ex presidente, resta un personaggio, diciamo così,
istituzionale. Vorrei sapere proprio di che hanno parlato. Forse era più
importante affrontare il problema dell’imprenditore italo-brasiliano
arrestato a Fiumicino qualche settimana fa perché condannato a 12 anni
in Brasile per una vicenda nella quale sarebbe coinvolto anche lo stesso
Lula. Comunque che non ne abbiano parlato è strano, per usare un
eufemismo...».
Che notizie ha dell’ex capo dei Proletari Armati?
«So che è tecnicamente libero. Che ha una carta d’identità, anche se
non ha il passaporto e, quindi, non può espatriare. Ma lui è il primo a
non volerlo fare».
Che si aspetta nei prossimi mesi, riuscirà ad avere giustizia?
«Non mi aspetto molto. Anche se la speranza rimane. E la mia lotta va
avanti. Il governo italiano, tuttavia, non sembra più interessato a
risolvere il problema».
Quando ha rinunciato?
«Si sono arresi quando Lula, il giorno prima di abbandonare la sua
poltrona da presidente, ha detto che non avrebbe concesso l’estradizione
per Battisti. E la nuova presidente Dilma Roussef lo ha confermato.
Tutto ciò dopo che la Corte suprema brasiliana aveva dato il suo
nullaosta per estradarlo»
Dicono che Battisti in Italia sarebbe perseguitato...
«Non conoscono il nostro Paese. Se tornasse, otterrebbe molti favori da
una certa sinistra, che lo coccolerebbe e lo proteggerebbe. Ricordiamo
il caso di Silvia Baraldini, che abbiamo fatto tornare dagli Usa e
doveva scontare dieci anni. Dopo due è uscita e lavora anche per enti
pubblici...Vuole una battuta? Se Battisti torna e si presenta alle
elezioni, rischia di diventare deputato».
Quest’anno ci sono i mondiali di calcio in Brasile. Chiederebbe agli
azzurri di dare un segnale al governo di quel Paese, magari giocando
con una fascia al braccio per ricordare che le vittime di Battisti non
hanno avuto giustizia?
«È una cosa su cui ragionare. Basta pensare alla questione
dell’omofobia alle Olimpiadi di Sochi, che è diventato un caso mondiale.
Sarebbe un bel segnale».
Che cosa pensa, invece, del caso dei due Marò detenuti in India?
«Ci sono molte similitudini con la vicenda Battisti. Non ci sono state
determinazione, volontà e certezza di stare nel giusto. In entrambi i
casi sappiamo di avere ragione ma non facciamo quello che dovremmo,
probabilmente per difendere interessi economici. Per quanto riguarda
Battisti, il risultato è che stiamo dicendo a chi delinque che può
fregarsene della legge, perché i cittadini onesti pagano, queste
persone, no. Per quanto riguarda, invece, i Marò, stavano facendo il
loro mestiere. Che poi siano colpevoli o meno, è tutt’altra cosa. A
prescindere da ciò, infatti, ci si doveva battere per loro. E non è
stato fatto».
L’India rimanda da due anni una decisione su Latorre e Girone. Come risolverebbe lei questa dolorosa impasse?
«Credo che sarebbe necessario affidare il processo a una corte suprema
internazionale completamente superpartes, escludendo i due Paesi
coinvolti. Se i fucilieri fossero stati portati davanti a un tribunale
europeo o internazionale, il loro percorso sarebbe stato molto diverso,
sebbene né l’Ue, né l’Onu abbiano fatto molto per risolvere il
problema».
Pensa che sia tutta una questione si soldi, di interessi europei e italiani in India?
«Probabilmente è così, ma penso che il premier dovrebbe occuparsi anche
di questo, oltre che di rimettere in sesto l’economia italiana. Anche
perché le due cose sono collegate. Se dimostriamo di essere un Paese
onesto, che considera la giustizia una questione etica e applica questo
principio anche nei casi Battisti e Marò, se dimostriamo che riusciamo a
tutelare i nostri cittadini, allora guadagnamo fiducia. E questo
significa anche un guadagno in termini economici».
Pensa ancora a quel giorno di trentacinque anni fa in cui fu ferito?
«No. Non tutti i giorni. Ma quando vedo che non c’è giustizia, allora ci penso. Ed è come se mi avessero ferito di nuovo
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