Per nostri marò nessuna pena di morte e nessuna accusa di pirateria o terrorismo. Ma la polizia federale indiana, nata proprio per contrastare i reati più gravi, non ci sta e, con un «controricorso» alla Corte suprema indiana, dopo il ricorso fatto dalle autorità italiane, vuole essere considerata «indispensabile» per continuare a occuparsi dei due fucilieri di marina, bloccati da due anni in India senza nemmeno un preciso capo di accusa.
La National Investigation Agency indiana, una sorta di Fbi del paese
orientale, è stata accusata di ritardi e imprecisioni nelle delicate e
complesseindagini sulla vicenda dei due marò italiani. Dopo la
dichiarazione di non-applicabilità della legge antiterrorismo, il Sua
Act, nel caso dei due militari italiani, in molti ritengono che questo
speciale reparto federale non possa avere neppure la giurisdizione sulle
indagini. Ma la Nia, diretta da Sharad Kumar, a questo punto vuole
chiarezza. Ha chiesto così di poter difendere la sua posizione dinanzi
alla Corte suprema.
Dopo la decisione del governo indiano, che ha rinunciato al Sua Act, la
difesa di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha presentato nei
giorni scorsi un’istanza per chiedere che la polizia antiterrorismo non
si occupi più del loro caso. Ma adesso, ha scritto l’Indian Express,
l’agenzia ha chiesto al giudice di di essere ascoltata sulla sua
versione della vicenda. la Nia vuole dire la sua, in particolare sulla
sua giurisdizione, per portare avanti determinate indagini su
indicazione del governo centrale o dei tribunali, in virtù dell’articolo
5 della sezione 6 del Nia Act, la legge in base alla quale è stata
creata l’agenzia nel 2009. In particolare l’agenzia chiede di essere
considerata «parte necessaria» nel caso. Anche perché l’esclusione da
queste indagini potrebbe, secondo l’agenzia, avere conseguenze anche su
altre inchieste.
Immediata una replica da parte italiana. Secondo Vito Alò, delegato del
Cocer Marina Militare, non può essere la polizia federale indiana ad
occuparsi del caso. I capi d’accusa scritti dalla Nia anche senza
l’applicazione del Sua Act, premono su un omicidio volontario - ha
spiegato Alò - e per tali accuse, potrebbe essere applicato il codice
penale indiano che prevede la pena capitale e l’ergastolo».
«L’impressione - ha aggiunto - è che l’India si arrampichi sugli
specchi per trovare un capo d'accusa inesistente a carico dei nostri
colleghi. Tra l’altro - conclude - senza avere nessuna competenza
giuridica sul caso. Perciò non ci stancheremo mai di dire a gran voce
che devono tornare in Italia innocenti e con onore, perchè sono
innocenti».
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