Non basta cambiare il nome alle cose per cambiarne la natura.
I bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, anche se l’ideologia vuole convincerci del contrario
Nella
politica prevale l’ideologia sul buon senso e sull’evidenza della
realtà. Vorrei allora proporre una riflessione sull’importanza della
presenza di un padre e di una madre per la crescita di una persona.
In
queste settimane (ma sarebbe più corretto dire anni) nella politica
prevale l’ideologia sul buon senso e sull’evidenza della realtà. Vorrei
allora proporre una riflessione sull’importanza della presenza di un
padre e di una madre per la crescita di una persona. «Serve un padre per
differenziarsi dalla madre, per accettare le ferite e riconoscere il
senso ed esprimere il proprio Sé, entrando così personalmente nel tempo e
nella storia» scrive Claudio Risé in Il padre. Libertà dono.
Nel
mito Edipo uccide il padre Laio senza saperlo e sposa la madre
Giocasta. La vicenda raccontata dal tragediografo greco Sofocle (496 a.
C.-406 a. C.) profeticamente si è avverata nell’epoca contemporanea.
Oggi l’uomo risente di una cultura plurisecolare (discendente
dall’Illuminismo) che ha distrutto i padri tentando di conservare solo i
valori di cui essi erano stati detentori fino ad allora. Il Settecento
illuministico francese ha cercato di eliminare Cristo e la Chiesa
conservando i valori di uguaglianza, fraternità, libertà che
millesettecento anni di storia cristiana avevano portato in Europa. Il
tentativo dell’eliminazione della figura del re e della monarchia in
Francia e l’abolizione dell’Ancient régime con la Rivoluzione
francese rappresentano simbolicamente la cancellazione dell’antico per
l’instaurazione del nuovo, la decollazione del padre per
l’intronizzazione del figlio.
La
storia ha, poi, insegnato che non era possibile realizzare
repentinamente questo passaggio brusco e rivoluzionario, perché i
gradini si salgono con sacrificio e pazienza, non si possono saltare. I
salti bruschi comportano di solito spargimento di sangue e involuzioni
dal punto di vista della società e dei valori. Nietzche fa piazza pulita
di tutti i padri del passato (Socrate, Cristo, s. Paolo, tradizione, i
valori, …) per lasciare il bimbo superuomo solo con se stesso, senza
padre né madre. Nel Novecento i segnali di questa ribellione al
padre/tradizione/autorità sono moltissimi. Tra questi senz’altro la
ribellione sessantottina è uno dei più clamorosi.
Negli
ultimi quarant’anni, e oggi in maniera sempre più accentuata, la
cultura e il diritto occidentali hanno reso superflua o facoltativa la
figura del padre. Abbiamo sentito in questi giorni che in Francia si
vuole sostituire la festa del papà e della mamma con la festa dei
genitori in modo da non discriminare nessuno. Oggi si pretende,
cambiando il nome agli arbitri personali, alle nefandezze, agli omicidi,
inserendole nell’ambito del diritto e della legalità, di nobilitare ciò
che non è nobile, di far passare come conquista ciò che è, invece, una
sopraffazione dei più deboli, di chi non parla, di chi non può ancora
dire ad alta voce che vorrebbe avere un padre e una madre.
Nella loro nascita i nomi nascondono sempre la verità delle cose. Il matrimonio deriva da munus matris,
ovvero «il dovere o compito della madre». Chi vuole chiamare
«matrimonio» l’unione tra due persone dello stesso sesso dovrebbe
spiegare perché non possa o non voglia chiamarlo con un nome diverso.
Non basta cambiare il nome alle cose per cambiarne la natura. Un cane
rimane sempre un cane anche se decidessimo di chiamarlo «gatto». Se due
persone dello stesso sesso adotteranno un bimbo, lo priveranno della
diversità di un papà e di una mamma. La coppia che cresce un figlio ha
la sua ricchezza proprio nella diversità e, in un certo senso,
complementarietà della figura dell’uomo e della donna, del padre e della
madre. Così è sempre stato nella storia dell’umanità, da quando gli
esseri umani si sono distinti dalle fiere, per dirla col Foscolo dei Sepolcri (si vada a leggere la cosiddetta parte vichiana del carme «Dal dì che nozze e tribunali ed are»).
La
madre è accoglienza, è pazienza, è colei che ha tenuto nel grembo per
nove mesi il figlio, lo ha aspettato vivendo la dimensione del
sacrificio e dell’abnegazione. Il femminismo degli ultimi decenni non ha
certo valorizzato la donna, ma ha voluta equipararla all’uomo
destituendola in realtà di quelle virtù che l’uomo deve spesso imparare
da chi ha fatto esperienza dell’ospitalità in modo fisico e direi
viscerale. Questa comunione con il figlio per nove mesi rende il
rapporto tra madre e figlio fortemente biologico, fisiologico, carnale.
Il padre inizia a conoscere il figlio solo dopo averlo visto nascere.
Prima, nei nove mesi in cui il bimbo è nel ventre materno, è
osservatore, non comunica con lui o poco, difficilmente prende
pienamente coscienza della novità, poi diventa nel tempo autorità,
legge, colui che pone le regole. Chiaramente ogni famiglia è a sé, in
ogni nucleo padre e madre imparano a collaborare, a far crescere i
figli, a comunicare loro le proprie esperienze e le proprie capacità.
Qui, intendiamo, però, sottolineare che esiste una differenza di genere
tra uomo e donna, una differenza ontologica e di storia tra papà e
mamma.
Le
conseguenze di questo processo di eliminazione della figura paterna
sono sotto gli occhi di tutti: aggressività o cieca violenza, senso di
sfiducia e di autostima, perdita dell’idea di autorità, incapacità di
diventare papà e di creare una famiglia, assenza del senso del limite e
del senso del sacrificio con conseguente inadeguatezza di fronte alle
sconfitte e alle frustrazioni, atteggiamenti nevrotici o psicotici. Il
giovane o l’adulto cerca di inibire o di sopire questa aggressività
collettiva o individuale, non controllata e regolamentata, non soggetta
al senso dell’autorità e della regola, attraverso assunzione di alcool o
droghe (l’inibizione avviene qui attraverso la trasgressione),
disinibizione dell’erotismo, forme di evasione come eccessivo uso di
televisione e di videogiochi, infinite altre forme di intorpidimento
dell’io. La società in cui viviamo è, in maniera simbolica, una «grande
madre» che stimola i bisogni degli individui al fine di soddisfarli
sempre meglio con beni crescenti, sempre più sofisticati, che tratta i
suoi componenti guardando le sue necessità biologiche e fisiologiche.
L’individuo regredisce ad una situazione infantile, si sente debole,
deprivato di forza e di creatività, svuotato di energia spirituale,
concepito solo per avere e possedere. Il giovane, spesso, regredisce
allo stadio di dipendenza dalla madre rimanendo in casa fino all’età
adulta, lasciandosi cullare da agio e tranquillità domestica.
Al
figlio si deve mostrare un modo realistico e ragionevole di rapportarsi
con la realtà. Mostrare che non è onnipotente, che ci sono dei limiti
da rispettare, dei paletti entro cui camminare è profondamente
educativo, perché introduce alla realtà indicando, nel contempo, che c’è
anche una via da seguire, un sentiero. Il bimbo coglie così un senso,
una finalità, un significato positivo che, nel tempo, imparerà a
verificare per sé.
Invece,
la pretesa violenta di incanalare il figlio in una strada o di
progettarne il futuro non aiutano la sua crescita e la capacità di
scelta. Ci si deve allora guardare dal tranello di voler dirigere la
vita del figlio. Bisogna imparare a guardare il figlio con quel
distacco, che è il contrario dell’indifferenza e della distanza, ma che
potremmo descrivere con un’immagine dello scrittore francese C. Peguy.
Un figlio è nell’acqua di un fiume,
ma non sa ancora nuotare. Il Padre (rappresenta Dio Padre) non vuole
che lui anneghi, allora lo sostiene con le braccia, ogni tanto lo lascia
perché vuole che lui impari a stare a galla, ma non può lasciarlo solo
completamente perché berrebbe l’acqua. Peguy immagina che Dio dica: «Ho
voglia, sono tentato di mettere loro la mano sotto la pancia/ Per
sostenerli nella mia larga mano/ Come un padre che insegna a suo figlio a
nuotare/ Nella corrente del fiume/ E che è diviso fra due sentimenti./
Perché se da un lato se lo sostiene sempre e lo sostiene troppo/ Il
bambino si attaccherà e non imparerà mai a nuotare./ Ma anche se non lo
sostiene al momento giusto/ Questo bambino berrà un sorso cattivo».
donboscoland.it
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