Michele Marsonet si pone il quesito geo politico: ‘Fine
dell’idillio tra Cina e Nord Corea?’. Problema reale che non farà però
perdere il sonno al mondo. Perché il quesito non è quanto sia cretino e
paranoico Kim Jong-un, quanto piuttosto cosa ancora potrebbe combinare
il bamboccione atomico
La Repubblica Popolare di Corea sta seriamente rischiando di
perdere l’unico alleato rimastole, vale a dire la Cina. E’ quanto si
deduce dalla notizia, diffusa da diverse agenzie di stampa
internazionali, che i cinesi hanno tracciato una sorta di “linea rossa”
oltre la quale i nordcoreani non possono spingersi.
Il ministro degli esteri di Pechino Wang Yi ha infatti affermato che la penisola coreana è troppo vicina al suo Paese per consentire che in essa si svolgano “giochi di guerra”, aggiungendo che nessun tipo di instabilità nell’area sarà tollerato da quella che è ormai a tutti gli effetti la seconda potenza mondiale.
Si noti, innanzitutto, il tono aspro e ultimativo della dichiarazione. A differenza di quanto accadeva in tempi non molto lontani la Cina, che sembra sempre più cosciente della propria forza tanto economica quanto militare, non usa più toni soft e si comporta da nazione dominante.
La nuova leadership, insomma, non nasconde le proprie ambizioni globali e, in Estremo Oriente, pare aver adottato una sorta di “dottrina Monroe” adattata alla realtà asiatica.
Come gli USA considerano il Sud America una sorta di “cortile di casa”, così la Repubblica Popolare fa capire chiaramente che tutto ciò che avviene nei dintorni dei suoi immensi confini rientra nella propria sfera d’interessi. Il caso della crescente tensione con il Giappone per le isole Senkaku/Diaoyu è, da questo punto di vista, emblematico.
Si rammenterà che quando Kim Jong-un fece eliminare lo zio Jang Song-thaek, ex numero due della gerarchia nordcoreana, si notò subito che lo scomparso era per l’appunto ritenuto l’uomo di Pechino a Pyongyang.
E, non a caso, la colpa principale addotta per giustificare la sua esecuzione è quella di aver reso grandi favori economici alla Cina e cospirato con Pechino per indebolire, o addirittura rovesciare, il giovane nipote. Poi uscì la notizia raccapricciante -ma mai confermata- che Jang Song-thaek venne dato in pasto a una muta di cani affamati.
E pure in questo caso si rimarcò che la notizia era filtrata in Occidente grazie a fonti cinesi, in particolare un quotidiano di Hong Kong vicinissimo al governo di Pechino. Se ne dedusse che la Cina era ormai stanca di un alleato piuttosto scomodo, al punto di “ripensare” i rapporti con la Corea del Nord prendendone le distanze.
L’ultima uscita di Wang Yi sembra suffragare in modo assai chiaro l’ipotesi di cui sopra. Il 7 marzo i cinesi hanno deplorato con toni duri il fatto che un missile nordcoreano ha rischiato di colpire un loro aereo civile, e ora aggiungono che una pace stabile e durevole nella confinante penisola è possibile solo grazie alla completa denuclearizzazione. Il che significa un invito esplicito a smantellare l’arsenale nucleare di Pyongyang.
Non solo. Da parte cinese giunge pure un “forte” invito a riprendere i colloqui di pace tra le due Coree, e l’indizio che Pechino non si opporrebbe più alla richiesta di mettere sotto accusa i comportamenti del regime nordcoreano in sede ONU.
Quali saranno le reazioni di Kim Jong-un? E’ un quesito cui nessuno può rispondere con certezza considerata la sua imprevedibilità. Tuttavia l’irritazione del loro ministro degli esteri lascia capire che i cinesi non sono più disposti a proteggere a ogni costo lo scomodo alleato. E che forse sanno di avere a Pyongyang forze “amiche” sulle quali contare.
Il ministro degli esteri di Pechino Wang Yi ha infatti affermato che la penisola coreana è troppo vicina al suo Paese per consentire che in essa si svolgano “giochi di guerra”, aggiungendo che nessun tipo di instabilità nell’area sarà tollerato da quella che è ormai a tutti gli effetti la seconda potenza mondiale.
Si noti, innanzitutto, il tono aspro e ultimativo della dichiarazione. A differenza di quanto accadeva in tempi non molto lontani la Cina, che sembra sempre più cosciente della propria forza tanto economica quanto militare, non usa più toni soft e si comporta da nazione dominante.
La nuova leadership, insomma, non nasconde le proprie ambizioni globali e, in Estremo Oriente, pare aver adottato una sorta di “dottrina Monroe” adattata alla realtà asiatica.
Come gli USA considerano il Sud America una sorta di “cortile di casa”, così la Repubblica Popolare fa capire chiaramente che tutto ciò che avviene nei dintorni dei suoi immensi confini rientra nella propria sfera d’interessi. Il caso della crescente tensione con il Giappone per le isole Senkaku/Diaoyu è, da questo punto di vista, emblematico.
Si rammenterà che quando Kim Jong-un fece eliminare lo zio Jang Song-thaek, ex numero due della gerarchia nordcoreana, si notò subito che lo scomparso era per l’appunto ritenuto l’uomo di Pechino a Pyongyang.
E, non a caso, la colpa principale addotta per giustificare la sua esecuzione è quella di aver reso grandi favori economici alla Cina e cospirato con Pechino per indebolire, o addirittura rovesciare, il giovane nipote. Poi uscì la notizia raccapricciante -ma mai confermata- che Jang Song-thaek venne dato in pasto a una muta di cani affamati.
E pure in questo caso si rimarcò che la notizia era filtrata in Occidente grazie a fonti cinesi, in particolare un quotidiano di Hong Kong vicinissimo al governo di Pechino. Se ne dedusse che la Cina era ormai stanca di un alleato piuttosto scomodo, al punto di “ripensare” i rapporti con la Corea del Nord prendendone le distanze.
L’ultima uscita di Wang Yi sembra suffragare in modo assai chiaro l’ipotesi di cui sopra. Il 7 marzo i cinesi hanno deplorato con toni duri il fatto che un missile nordcoreano ha rischiato di colpire un loro aereo civile, e ora aggiungono che una pace stabile e durevole nella confinante penisola è possibile solo grazie alla completa denuclearizzazione. Il che significa un invito esplicito a smantellare l’arsenale nucleare di Pyongyang.
Non solo. Da parte cinese giunge pure un “forte” invito a riprendere i colloqui di pace tra le due Coree, e l’indizio che Pechino non si opporrebbe più alla richiesta di mettere sotto accusa i comportamenti del regime nordcoreano in sede ONU.
Quali saranno le reazioni di Kim Jong-un? E’ un quesito cui nessuno può rispondere con certezza considerata la sua imprevedibilità. Tuttavia l’irritazione del loro ministro degli esteri lascia capire che i cinesi non sono più disposti a proteggere a ogni costo lo scomodo alleato. E che forse sanno di avere a Pyongyang forze “amiche” sulle quali contare.
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