Gli
piace scherzare, a Matteuccio. E scherzando scherzando ieri, nella
giornata di chiusura della Festa dem a Bologna, ha battezzato “Patto del
tortellino” il suo incontro con quattro leader della (sedicente)
sinistra europea. Vale a dire, in ordine sparso, l’olandese Diederik Samsom, il tedesco Achim Post, lo spagnolo Pedro Sanchez e il francese Manuel Valls.
Parafrasando il detto latino, “talis nomen, talis look”. Per
l’occasione, infatti, i cinque hanno sfoggiato una tenuta, pressoché
identica, composta da camicia bianca aperta sul collo e pantaloni scuri.
In pratica, lo stesso abbigliamento dei camerieri di un qualsiasi
ristorante di livello medio-basso: dopo la morte delle ideologie, la
soppressione dei colori; e il prossimo programma elettorale, magari,
assumerà la grafica di un menù. «Mangia Dem: cambia dieta, cambia
l’Italia». In effetti la dieta si preannuncia assai magra, nonostante
l’elargizione degli 80-euri-80, ma non è il caso di sottilizzare:
semmai, di assottigliarsi. Che è pure salutare, entro certi limiti.
Sarcasmi a parte, non c’è niente da ridere. Renzi continua ad
atteggiarsi a difensore dei meno abbienti e lancia l’ennesimo
appello-esca – «Insieme dobbiamo
cambiare l'Europa e costruire un'Europa più legata alla crescita e meno
al rigore, più al lavoro, alle famiglie e meno alle banche» – per prendere all’amo i pesciolini (rossi?) che non resistono alla tentazione di sentirsi rappresentati da qualcuno vincente,
fosse pure un democristiano travestito da socialista. A proposito:
questo fatto che ci si ostini a utilizzare/esibire il termine
“socialista”, tanto per il Pse europeo quanto per alcuni dei partiti
nazionali che vi aderiscono, è davvero rivoltante. Un anacronismo che si
risolve in un’usurpazione. Già era smaccato, nella sua assurdità e
capziosità, il caso dei laburisti inglesi alla Blair, ma l’esempio
odierno di personaggi oggi al governo come Hollande in Francia, e come
lo stesso Renzi qui da noi, rende la mistificazione ancora più scoperta,
sguaiata, sbeffeggiante.
Basterebbe pochissimo, per avere sott’occhio tutto ciò che serve a
smascherare l’impostura. Basterebbe andare al di là dei proclami
astratti e concentrarsi sulle scelte di politica estera, costantemente
appiattite su quelle degli USA, e sulle strategie economiche, incentrate
sull’abbattimento del debito pubblico, ovvero del welfare, e sulla
progressiva eliminazione dei vincoli precedentemente imposti alle
imprese, in nome di un ipotetico rilancio del Pil e dei suoi effetti
benefici, ancora più illusori, sulle condizioni di vita della generalità
dei cittadini. Per dirla con Naomi Klein, nel suo fondamentale “Shock
Economy” del 2007, «i principi basilari della Scuola di Chicago - privatizzazione, deregulation e tagli ai servizi governativi».
Con l’aggravante, per Renzi e i suoi sodali europei, di nascondere
l’approccio iperliberista di Milton Friedman dietro una patina, e un
paravento, di richiami a una maggiore equità. Un anelito, risibile, che
si erge addirittura a modello culturale, nel senso più alto e ambizioso
del termine. «Gli 80 euro - ha ribadito ieri il presidente del Consiglio - sono
un'idea di civiltà: l'idea che chi ha sempre pagato si vede restituito
qualcosa. È un atto di giustizia sociale più che una misura economica».
Viene
quasi voglia che passino in un lampo i “mille giorni” richiesti per
realizzare le cosiddette riforme, e magari anche i mille successivi, in
modo tale da mostrare a tutti ciò che avrà determinato questo spaventoso
miscuglio di progetti ingannevoli e di promesse infondate. Solo che
poi, pensando alla rete in cui ci troveremmo imprigionati dopo quasi sei
anni di renzismo spinto, quella voglia svanisce. Non è un
riconoscimento postumo, ciò che ci serve.
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