Il senatore Di Maggio denuncia: «La mia richiesta presentata e dimenticata». Accuse a Monti e La Russa. E l’arbitrato rischia di durare dieci anni
«È insopportabile che un Paese come il nostro abbia ancora aperta la
questione dei marò»: parola del senatore Tito Di Maggio, dei Popolari
per l’Italia, che da mesi chiede una commissione d’inchiesta che faccia
chiarezza sulle responsabilità delle istituzioni. Ai più alti livelli.
Sì, perché, spiega il senatore, le responsabilità ci sono e una
commissione d’inchiesta (monocamerale, perché ha tempi di istituzione
più brevi) serve per impedire che quello che sta accadendo a
Massimiliano e Salvatore possa accadere ad altri. Lui la domanda di
istituzione l’ha fatta e ha anche indicato il possibile presidente: il
senatore Mario Mauro, ex ministro della Difesa, da sempre in prima linea
per il ritorno dei marò in patria. Ma, per il momento, la richiesta
dorme in qualche cassetto del Senato da molto, troppo tempo.
Senatore Tito Di Maggio, come nasce il suo impegno per i marò?
«Per la mia vicinanza politica con Mario Mauro. Ho condiviso con lui,
mentre era ministro della Difesa, l’accorata partecipazione a questa
vicenda, della quale si è ampiamente interessato. E poi per tutta una
serie di verifiche che ho voluto fare a livello parlamentare e dalle
quali mi sono reso conto che i conti non tornano».
Quali conti?
«Ci sono una serie di negligenze istituzionali sulle quali è doveroso
alzare il velo. Non credo che tutti quelli che oggi si agitano, volendo
occuparsi e ragionare sulla questione dei marò, ne abbiano i titoli, da
questa storia emergono responsabilità politiche importanti. Per questo
ho chiesto che venga istituita una commissione d’inchiesta».
Responsabilità politiche?
«Ce ne sono di tutti i tipi, andiamo da quelle politiche a quelle
diplomatiche se non, addirittura, a quelle penali. Responsabilità
notevoli, ai più alti livelli istituzionali, ci sono leggi dello Stato
che non sono state rispettate e non posso immaginare che chi esercita
funzioni così importanti non conosca i codici e, a voler guardare,
alcune leggi sono state dimenticate. Sono stati commessi degli errori
che oggi ci fanno vivere questa situazione di trepidante attesa per
questioni che avremmo potuto risolvere tranquillamente a casa, senza
dover negoziare la posizione dei due fucilieri con un Paese che ha
leggi, usi e costumi completamente diversi dai nostri».
E per chiarificare queste responsabilità lei chiede la commissione.
«Sì, e rilevo che, evidentemente, certe mie preoccupazioni hanno
fondamento, perché mi appare strano che la mia richiesta di istituzione
di commissione d’inchiesta sia più antica di altre commissioni, che
invece hanno già visto la luce».
Si tratta di una commissione monocamerale, in che data è stata fatta la richiesta?
«Sì, sapendo perfettamente che i tempi di una bicamerale sarebbero
stati molto lunghi, ho chiesto semplicemente alla Presidenza del Senato
una commissione monocamerale, domanda presentata il 28 gennaio scorso. E
recentemente ho anche fatto un intervento in aula chiedendo perché non
ve ne sia ancora traccia».
Che fine ha fatto la sua richiesta?
«Non lo so, io ne ho chiesto conto, ho chiesto spiegazioni alla
Presidenza del Senato, ma non ho avuto risposta. È una questione
politica: credo che le responsabilità in questa vicenda siano molto
gravi, ai più alti livelli istituzionali: presidente del Consiglio e
ministro della Difesa».
Dell’epoca o successivi?
«Uno dell’epoca e l’altro successivo, anche perché questa vicenda dura
da due anni mezzo. È iniziata con un governo è proseguita con un altro. E
siamo arrivati a quello di oggi, che segnala tutta la sua incapacità a
gestire la situazione».
Una commissione ora potrebbe aiutare?
«Riguarda fatti e attività nostre. L’ex presidente del consiglio Monti
non può non sapere che un articolo del nostro codice ci impedisce di
consegnare persone ad un Paese che prevede e applica sanzioni di morte. È
stata inapplicata una norma di legge e per questo io inorridisco. Se
qualcuno avesse avuto contezza di quali erano i provvedimenti da
prendere noi, oggi, avremmo i nostri militari qui».
Perché questa commissione non si fa?
«Perché si fa sempre confusione, si pensa che dimostrare di essere un
Paese serio potrebbe indebolire la trattativa. Se l’allora ministro
della Difesa La Russa avesse proceduto a dare le direttive giuste,
quelle che si danno quando dei militari sono su una nave commerciale,
noi avremmo evitato che la nave entrasse in porto in India. Sono cose
che, se ben studiate, fanno capire con quanto pressapochismo vengono
affrontati problemi importanti».
Ci sono parti politiche che sostengono che la commissione d’inchiesta sarà meglio farla quando i marò saranno tornati.
«Ma nel frattempo chi ha commesso delle superficialità le può
reiterare, così ci esponiamo a ulteriori rischi di situazioni di questo
tipo. E mi sembra palese il tentativo di non disturbare manovre che noi
non vediamo. Se la Mogherini oggi dice che si può ragionare
sull’internazionalizzazione, alla luce delle risposte che i nostri
provvedimenti hanno all’estero, ho poca fiducia delle capacità non
diplomatiche, ma contrattuali del nostro governo.
Cosa spera per il futuro?
«Questa vicenda deve finire con il ritorno, insieme, dei marò. Io sono
poco propenso ad accettare il rientro a casa di Latorre da solo. La
differenziazione delle due posizioni indebolirebbe la posizione
dell’altro fuciliere. E la drammaticità dell’internazionalizzazione è
che non avremmo più certezze sui tempi. Può durare dieci anni ed è
offensivo, per l’istituzione-Paese, accettare una condizione di questo
tipo».
La nomina di una Commissione d'inchiesta è ovvia, ma non deve avere struttura, finalità e sfumature politiche e, altresì, nessun membro di provenienza partitica. Dovrebbe essere composta da un Giudice (Presidente), appartenente alla Alta Corte della Magistratura Militare e da altri Membri della stessa provenienza, con rappresentanti s
RispondiEliminacelti tra il personale militare in servizio attivo e della riserva........altrimenti si sa già come andrebbe a finire!