NON SOLO I MARÒ
India, arriva la sentenza definitiva per Tomaso e Elisabetta
I due ragazzi sono nel carcere di Varanasi da quattro anni, accusati di aver ucciso il loro compagno di viaggio. Rischiano l’ergastolo. Un documentario racconterà la loro storia
di Francesca Gambarini
Reclusi
da quattro anni nel carcere di Varanasi, accusati di omicidio,
rischiano l’ergastolo i due giovani italiani Tomaso Bruno ed Elisabetta
Boncompagni. Una tremenda storia, la loro, assai confusa a livello
processuale e che ha sempre avuto un risvolto mediatico inferiore
rispetto a quello dei due marò.
Ma
che, a differenza della vicenda di Latorre e Girone, sta per arrivare a
un epilogo: è infatti attesa per martedì 9 settembre la sentenza
definitiva dell’alta corte indiana che dovrebbe decidere se confermare o
meno la pena.
In questi giorni di attesa Tomaso ha ricevuto la visita dei genitori e di una troupe cinematografica guidata da Adriano Sforzi, regista bolognese che ha deciso di girare un film sulla vicenda. Sforzi è amico di vecchia data di Tomaso: «Ci siamo conosciuti all’oratorio di Albenga quando eravamo piccoli: ero il suo allenatore. Ci siamo ritrovati a Bologna, qualche anno dopo. Io andavo all’università, lui lavorava. Era un ragazzo normale, la sua famiglia è benestante, il suo futuro era tracciato: un piccolo borghese che faceva l’alternativo, con gli orecchini e tutto il resto. Ribelle e in fuga, continuamente. Piazza Maggiore non gli bastava. Fece i bagagli e andò a Londra, ma non trovò se stesso. Così decise di cercarsi nell’Uttar Pradesh, in India settentrionale».
In questi giorni di attesa Tomaso ha ricevuto la visita dei genitori e di una troupe cinematografica guidata da Adriano Sforzi, regista bolognese che ha deciso di girare un film sulla vicenda. Sforzi è amico di vecchia data di Tomaso: «Ci siamo conosciuti all’oratorio di Albenga quando eravamo piccoli: ero il suo allenatore. Ci siamo ritrovati a Bologna, qualche anno dopo. Io andavo all’università, lui lavorava. Era un ragazzo normale, la sua famiglia è benestante, il suo futuro era tracciato: un piccolo borghese che faceva l’alternativo, con gli orecchini e tutto il resto. Ribelle e in fuga, continuamente. Piazza Maggiore non gli bastava. Fece i bagagli e andò a Londra, ma non trovò se stesso. Così decise di cercarsi nell’Uttar Pradesh, in India settentrionale».
Pinotti si «dimentica» dei ragazzi
A
riaccendere i riflettori sulla vicenda di Tomaso e Elisabetta, sempre
negli scorsi giorni, la mancata visita del Ministro della Difesa,
Roberta Pinotti, volata in India per sincerarsi di persona delle
condizioni dei marò, senza però fare visita ai ragazzi detenuti a
Varanasi. I genitori di Tomaso hanno comunque incontrato più volte
l’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, che segue da vicino
la vicenda: ai ragazzi è stato affidato lo stesso studio legale indiano
di Latorre e Girone.
Ma cosa succederà martedì? Nel caso la Corte Suprema di Delhi decida per l’assoluzione i ragazzi potranno tornare a casa. Se sarà confermerà la condanna, verrà chiesta l’applicazione dell’accordo siglato nel 2012 tra Italia e India sul trasferimento delle persone condannate: i due potranno quindi scontare la pena in Italia.
Ma cosa succederà martedì? Nel caso la Corte Suprema di Delhi decida per l’assoluzione i ragazzi potranno tornare a casa. Se sarà confermerà la condanna, verrà chiesta l’applicazione dell’accordo siglato nel 2012 tra Italia e India sul trasferimento delle persone condannate: i due potranno quindi scontare la pena in Italia.
Per i giudici è omicidio passionale
La
storia di Bruno, ligure di Albenga, e Boncompagni, torinese, è un
susseguirsi di sentenze raffazzonate e poco chiare. Ricapitoliamo i
fatti: accusati di omicidio per la morte di Francesco Montis (i tre
amici erano insieme in India), dal 7 febbraio 2010 i ragazzi sono
detenuti in carcere a Varanasi a scontare l’ergastolo. Sono accusati di
un delitto passionale: Francesco era il fidanzato di Elisabetta; i due
lo avrebbero ucciso per potere stare insieme.
In
hotel a Varanasi, dove erano di passaggio, i tre ragazzi fanno uso di
droga, come verrà successivamente ammesso anche da Tomaso in una puntata
della trasmissione tv Le iene. Francesco si sente male, i due
lo portano in ospedale, qui viene dichiarata la morte e i ragazzi sono
arrestati per omicidio. Inizialmente Tomaso e Elisabetta dovevano essere
impiccati, poi la pena, confermata in appello, è stata commutata in
ergastolo.
Nel passaggio chiave della sentenza di primo grado che li condanna per lo strangolamento volontario dell’amico, il giudice riporta: «Il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Francesco Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita». L’esame dell’accusa si basa su un’autopsia condotta da un oculista; in più, il corpo di Francesco è stato rapidamente cremato perché l’ospedale dove era conservato era invaso dai topi e questo non ha reso possibile una seconda perizia. A nulla è valsa una lettera della madre di Francesco, che scagionava i due ragazzi: il figlio avrebbe avuto problemi di salute.
Gli avvocati difensori hanno sempre sostenuto che mancano le prove e il movente, ma per i giudici indiani il fatto che una ragazza dormisse con due uomini è sufficiente ad avvallare l’ipotesi di una relazione illecita e il conseguente delitto.
I ragazzi sono detenuti in carcere dal momento dell’arresto, non hanno mai avuto un permesso e hanno potuto ricevere solo poche visite. Non possono telefonare ma solo scrivere lettere.
Nel passaggio chiave della sentenza di primo grado che li condanna per lo strangolamento volontario dell’amico, il giudice riporta: «Il movente che ha spinto i due accusati ad uccidere Francesco Montis non si può dimostrare per insufficienza di prove, tuttavia si può comunque ipotizzare che Tomaso ed Elisabetta avessero una relazione intima illecita». L’esame dell’accusa si basa su un’autopsia condotta da un oculista; in più, il corpo di Francesco è stato rapidamente cremato perché l’ospedale dove era conservato era invaso dai topi e questo non ha reso possibile una seconda perizia. A nulla è valsa una lettera della madre di Francesco, che scagionava i due ragazzi: il figlio avrebbe avuto problemi di salute.
Gli avvocati difensori hanno sempre sostenuto che mancano le prove e il movente, ma per i giudici indiani il fatto che una ragazza dormisse con due uomini è sufficiente ad avvallare l’ipotesi di una relazione illecita e il conseguente delitto.
I ragazzi sono detenuti in carcere dal momento dell’arresto, non hanno mai avuto un permesso e hanno potuto ricevere solo poche visite. Non possono telefonare ma solo scrivere lettere.
Un film per testimoniare
Si chiama Più libero di prima (www.piuliberodiprima.it)
il progetto di Sforzi per raccontare la vicenda di Elisabetta e Tomaso,
che avrà però un’attenzione maggiore per le sorti del ragazzo. Il
documentario segue da vicino anche i genitori di Tomaso che ora sono in
India, in attesa della sentenza definitiva. «Ma il vero protagonista è
lui. Il punto di vista sarà quello di Tomaso, anche se sarà il grande
assente: mi servirò dell’animazione per ricostruire la sua vita senza
telefono, senza computer, in una baracca con altre 150 persone. Useremo
il materiale d’archivio, le fotografie, le riprese anche amatoriali»,
spiega il regista, che lavora al progetto da un anno. Già vincitore di
un David di Donatello per il miglior cortometraggio nel 2011 e aiuto
regista di Ermanno Olmi per Cento chiodi, Sforzi lavora alla
Cineteca di Bologna. Il progetto si è autofinanziato grazie a una
campagna di crowdfunding
(www.indiegogo.com/projects/piu-libero-di-prima--3).
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