È iniziato lo spin-off che nessun avrebbe voluto vedere. Dalle dune sabbiose delle periferie siriane di al-Raqqa alle sabbie marine delle nostre coste mediterranee, come in un nuovo capitolo in parte autonomo ma dal soggetto immutabile di una serie televisiva, cambia il fondale e lo scenario dei tagliagole.
Il video
con cui due giorni fa i gruppi islamici hanno certificato la loro
scelta di mutare casacca e affiliarsi allo Stato islamico segna il vero cambio di paradigma. Non dimentichiamoci infatti che non
si tratta, come gli uomini in nero vorrebbero tentare di farci credere
con la loro retorica preconfezionata, di una feroce avanzata. Ma di un trasformismo stile franchising
avviato la scorsa primavera e finalizzato in autunno, quando un gruppo
di miliziani libici ha appunto deciso di aderire ai deliranti principi
dell’Isis occupando Derna, tra Tobruk (sede del governo riconosciuto) e Bengasi.
Certo il terreno, specie da quelle parti del territorio libico, era
ed è da sempre fertile per questo genere di ideologie fondamentaliste.
Dall’occupazione italiana ai progetti di Abu Laith al Libi e del suo
Gruppo islamico di combattimento libico, il capoluogo nord-orientale è
sempre stato un epicentro di agitazioni e reclutamento jihadista fino alla nascita del Consiglio della Shura della Gioventù Islamica e alla sua formale adesione all’Isis dello scorso ottobre.
Ma l’attenzione del mondo i gruppi di Derna, da poco entrati anche a Sirte, l’hanno appunto conquistata domenica scorsa sgozzando 21 pescatori egiziani di fede cristiana copta. Ne erano assetati, di quel sangue che hanno riversato fra le onde del Mare Nostrum. Occorreva loro per certificarsi come filiale ufficiale del califfato sullo zerbino dell’Occidente. Da un non ben precisato pezzo di terra lontano migliaia di chilometri il terrore è stato dunque esportato, uguale a sé stesso per metodologie e grammatica, a poche centinaia di miglia marine dai confini italiani, e quindi europei. Un’altra storia.
Fornendo come sempre un messaggio ampiamente superiore ai reali mezzi sul campo – a cosa serve, d’altronde, il marketing, pure quando è progettato col sangue di innocenti? – la cellula libica dell’Isis colloca con una sovrimpressione il luogo dell’eccidio come “Wilayat Traubulus” sulla
costa mediterranea, più o meno governatorato di Tripoli, piazzandosi
oltre tutto ampiamente fuori dalle proprie aree di controllo. Sebbene
pure a Tripoli o nei dintorni possa sfoggiare, secondo gli esperti, una
piccola presenza segnata dall’attentato all’hotel Corinthia del 27
gennaio scorso.
Dall’aridità all’acqua, dalle onde del desolante paesaggio della
Siria del Nord a quelle del mare chiuso che, da quel lato, tanti
eserciti ha visto passare, in un filmato girato e montato con i soliti
standard del gruppo in Siria e Iraq, in cui il capo della situazione
parla quasi immerso nell’agitato e rumoroso specchio che separa i terroristi dalle coste nostrane.
Un cambio di scenario che viene d’altronde sottolineato: “Ci avete visto sulle colline della Siria e ora ci vedete a sud di Roma”.
Messo così, il salto apparirebbe in effetti sconcertante. Non fosse che
si tratta appunto di uno dei tanti tasselli che infuocano da anni la
Libia – non senza, sotto altre sigle, aver creato grossi grattacapi
anche all’allora colonnello Gheddafi – e non certo di una macchia d’olio
paragonabile all’espansione del califfato abbaside fra 750 e 1258 o a
qualsiasi altra fase di grandi conquiste islamiche.
Tuttavia, stando almeno alle reazioni internazionali e dell’opinione pubblica interna, la missione appare compiuta. Il Mare Nostrum avvelenato dal sangue dei cristiani copti insieme al flusso ininterrotto dei migranti, che muovono ogni giorno da quelle stesse spiagge, ha centrato l’obiettivo, alzando la soglia dell’ansia in attesa di risposte chiare dalla politica e dalle organizzazioni internazionali: “In quel video non c’è una minaccia militare credibile ma propaganda pura – racconta Gianmarco Volpe, analista di questioni mediorientali e nordafricane per l’agenzia Nova – funzionale anzitutto all’accreditamento del gruppo come cellula di riferimento in Libia e al reclutamento di nuovi combattenti”. Insomma, l’idea è che si sia alzato il livello della sfida ma non per questo sia aumentata la sua pericolosità.
“In fondo l’Isis è presente anche in Algeria, dove pochi mesi fa è stato decapitato un ostaggio francese – continua Volpe –la
presenza in Nord Africa non è dunque una novità e Derna è oltre tutto
una roccaforte storica, in questo senso. Certo, per il rapporto che
l’Italia ha con la Libia lo scalpore nell’opinione pubblica e perfino
fra i ranghi del governo è stato molto alto ma in fondo la nostra strategia è chiara ed è quella da tempo, non la cambia certo un video pur inquietante e ricchissimo di simbolismi.
Cioè appoggiare la mediazione dell’inviato dell’Onu Bernardino León fra
i governi islamico di Tripoli e laico di Trobruk per prendere poi la
guida di un’iniziativa di peace keeping”.
Più ci vorrà per trovare questo accordo più video come quelli di
domenica scorsa si moltiplicheranno, aumentando le probabilità che
l’Isis possa espandersi saltando dalla propaganda alla realtà: “Saldando
i principi del quaedismo, e cioè la jihad internazionale pura,
all’approccio mutualistico e assistenziale di gruppi come i Fratelli
musulmani, lo Stato islamico esplode laddove non ci sono altre autorità credibili a occupare lo spazio. In questo momento, infatti, la Libia è un non-Stato”.
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