Guardia di Finanza: ecco il testo integrale della grave “denuncia” di un maresciallo.
By donnemanagerdinapoliit on 27 aprile 2014 *
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Non è il caso di aggiungere altre parole. Come già detto ieri ci si sente male a leggere quanto riportiamo. Noi ribadiamo la nostra fiducia ed ammirazione per tutti gli uomini e le donne non solo della Guardia di Finanza ma di tutte le Forze di Polizia e militari che credendo in valori come la legalità, la giustizia, il rispetto, l’etica e la morale, ecc… tutti i giorni indossano l’uniforme per servire lo Stato con onore.
Ciò non toglie che l’informazione deve
essere fatta anche quando fa male. Abbiamo già trattato l’argomento
negli articoli “Guardia di Finanza, agghiacciante dichiarazione di un
maresciallo” ed “Italia, Stato di Polizia? E’ caccia al Maresciallo
della Guardia di Finanza che ieri…” ed oggi come ne siamo venuti a
conoscenza abbiamo riportato il testo integrale dello “sfogo” del
Maresciallo della Guardia di Finanza. (Fonte: FICIESSE.IT)
NOI
FINANZIERI, AL LAVORO PER ROVINARVI. UN MARESCIALLO DELLA GDF RIVELA:
DOBBIAMO RAGGIUNGERE I TARGET PREFISSATI. SOLO COSI’ SI LEGITTIMANO GLI
STIPENDI DEI NOSTRI GENERALI, CHE SONO DECINE. I NOSTRI VERTICI SONO
LONTANI DALLA REALTÀ. FORMAZIONE ASSENTE, RISORSE ALL’OSSO, OSSESSIONE
NUMERI (Libero)
Libero, 26 aprile 2014
Memorie di un finanziere della polizia tributaria. Si potrebbe intitolare così il sorprendente documento esclusivo che state per leggere. Si tratta della trascrizione, fedele alla lettera, del disarmante sfogo di un disincantato, onesto e preparato maresciallo della Guardia di Finanza, impegnato da diversi lustri nei temutissimi controlli alle imprese. L’uomo, di cui evitiamo di indicare dati anagrafici e curriculum per non renderlo riconoscibile, ha apparecchiato per Libero uno zibaldone di pensieri, suddiviso in capitoletti, sul suo lavoro di tutti i giorni. Che per lui è diventato un tran tran asfissiante, capace di condurlo quasi al rigetto. Il risultato è questa spietata radiografia che stupisce e, in un certo senso, preoccupa di un mestiere che tanto trambusto porta nelle vite degli italiani.
Infatti
in questo sfogo il militare dipinge le ispezioni delle Fiamme gialle
come un ineluttabile meccanismo stritola-imprenditori il cui obiettivo
non sarebbe una vera e sana lotta alle frodi fiscali, ma una fantasiosa e famelica caccia al tesoro indispensabile a lanciare le carriere di molti professionisti dell’Antievasione.
«Nel nostro lavoro ci sono forzature evidenti, a volte imbarazzanti»,
ammette con Libero il maresciallo. Che qui di seguito svela retroscena e
segreti dei controlli che intralciano ogni giorno il lavoro di
centinaia di imprenditori. Una lettura che potrebbe agitare qualcuno e
far alzare il sopracciglio ad altri. Ma a tutti deve essere chiaro che
non di fiction si tratta e che domani il nostro maresciallo e la sua
pattuglia potrebbero bussare alla vostra porta. Preparatevi a leggere il
testo di questo finanziere raccolto in esclusiva da Libero.
Ossessione numeri
– Dietro alle verifiche ci sono enormi interessi economici: il dato del
recupero dell’imposta serve a molti. Sia ai politici che ai finanzieri.
Nella Guardia di Finanza il raggiungimento degli obiettivi legittima
l’ottenimento dei premi incentivanti e gli stipendi stellari dei
generali, che sono decine: uno per provincia, più uno per regione. Nel
nostro Corpo esistono vere e proprie task-force che si occupano di fare
previsioni di recupero d’imposta e a fine anno queste devono essere
raggiunte, come se l’evasione fiscale si basasse su dei budget. Gli
operatori sul territorio sono meno di chi elabora questa realtà
virtuale, su 64 mila finanzieri siamo circa 4 mila a fare i controlli.
Indietro non si torna
– A fine anno i generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata
e lo confrontano con quello dell’anno prima. Il risultato non può
essere inferiore a quello di 12 mesi prima. Se il dato scende bisogna
dar conto al reparto centrale di Roma del perché si siano recuperati
meno soldi e il comandante del reparto periferico rischia di vedersi
bloccare la carriera. Per questo le nostre verifiche proseguono anche di
fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali parlano solo di numeri
e quando hanno sentore di un risultato, magari per una previsione
affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando che
da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto
non si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una
statistica, una voce acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato.
Quando si prospetta un ventaglio di possibilità per risolvere una
contestazione si concentrano le energie sempre su quella che porta il
risultato più alto. Che sarebbe poco grave se fosse la strada giusta. Ma
spesso non lo è. Per la Finanza quello che conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.
Per riuscirci c’è un nuovo strumento infernale, la cosiddetta “mediana”,
che va di gran moda tra gli ufficiali. La si pronuncia con rispetto e
deferenza, anche perché da essa dipende la carriera di chi la evoca. Si
tratta di uno studio fatto a tavolino, che stabilisce il valore medio
della verifica necessario a raggiungere gli obiettivi, il tetto al di
sotto del quale non si può andare. Se capiamo che in un’azienda il
verbale sarà di entità inferiore alla mediana, derubrichiamo la verifica
a controllo in modo che non entri nelle statistiche ufficiali.
Alla Guardia di Finanza abbiamo uffici informatici che elaborano dati in continuazione. Ma si tratta di numeri “drogati”, come lo sono quelli dei sequestri. Nei magazzini dei cinesi ho visto colleghi registrare alla voce “giocattoli” ogni singolo pallino delle pistole per bambini. Spesso questi servizi si fanno in occasione delle feste natalizie, così passa l’informazione che sul territorio c’è sicurezza.
Con questi numeri i generali si riempiono la bocca il 21 giugno, giorno della festa del Corpo. Lo speaker spara cifre in presenza di tutte le autorità, dei presidenti dei tribunali, dei politici, ecc. ecc. Quel giorno è un tripudio di dati pronunciato con voce stentorea: recuperata tot Iva, scovati tot milioni di redditi non dichiarati, arrestati x emittenti fatture false. Una festa!
Con questi numeri i generali si riempiono la bocca il 21 giugno, giorno della festa del Corpo. Lo speaker spara cifre in presenza di tutte le autorità, dei presidenti dei tribunali, dei politici, ecc. ecc. Quel giorno è un tripudio di dati pronunciato con voce stentorea: recuperata tot Iva, scovati tot milioni di redditi non dichiarati, arrestati x emittenti fatture false. Una festa!
Normativa astrusa
– La normativa tributaria italiana è talmente ingarbugliata che si
presta alla nostra logica del risultato a ogni costo. Per noi è
piuttosto semplice fare un rilievo visto che siamo aiutati da questa
legislazione astrusa e abnorme, spesso contradditoria e conflittuale.
Nel nostro Paese è quasi impossibile essere in regola e per chi lo
sembra ci prendiamo più tempo per spulciare ogni carta. Infatti se una
norma può apparire favorevole all’imprenditore, c’è sicuramente un’altra
interpretabile in maniera opposta. E in questo ci aiuta l’oceanica
produzione di sentenze, frutto di un eccessivo contenzioso. Un
contratto, un’operazione possono essere interpretati in mille modi e
alla fine trovi sempre una sentenza della Cassazione che ti permette di
poter fondare un rilievo su basi giuridiche certe. Questo è il Paese delle sentenze.
Analizzando un bilancio, un’imperfezione si trova sempre.
Magari per colpa dello stesso controllore che prima dice
all’imprenditore di comportarsi in un modo e poi in un altro,
inducendolo in errore. Per esempio, su nostro suggerimento, un’azienda
non contabilizza più certe spese come pubblicità (deducibili), ma come
spese di rappresentanza (deducibili solo in parte). Quindi arriva
l’Agenzia delle Entrate e spiega che quelle non sono né l’una né
l’altra. A volte succede che qualcuno abbia già subito un controllo,
abbia aderito a un condono e, zac, arriviamo noi e contestiamo lo stesso
aspetto, ma in modo diverso. Dopo i primi anni nel Corpo non ho più
sentito di controlli chiusi con un nulla di fatto e in cui si torna a
casa senza aver contestato qualcosa. Alla fine chi lavora impazzisce.
Chi sbaglia non paga
– Come è possibile tutto questo? Semplice: perché chi sbaglia non paga,
ma anche perché chi sbaglia non saprà mai di averlo fatto. Il motivo è
semplice: noi non comunichiamo con l’Agenzia delle Entrate e non
sappiamo mai che fine facciano i nostri verbali. Per questo se ho
commesso un errore non lo verrò mai a sapere: il nostro è solo un
verbale di constatazione, a renderlo esecutivo è l’Agenzia delle Entrate
che lo trasforma in verbale di accertamento. Però raramente i nostri
colleghi civili bocciano il nostro lavoro, anzi questo non succede nel
99,9 per cento delle situazioni. Si fidano di noi e, anche se sono molto
più preparati, nella maggior parte dei casi prendono il nostro verbale e
lo notificano, tale e quale, al contribuente. Quello che sappiamo per
certo è che i nostri verbali, giusti o sbagliati che siano, diventano
numeri e quindi non ci interessa che vengano annullati, tanto non ne
verremo mai a conoscenza né saremo chiamati a risponderne. Per noi resta
un grosso risultato. E visto che nessuno paga per i propri errori, il
povero imprenditore continuerà a trovarsi ignaro in un castello kafkiano
fatto di norme e risultati da ottenere.
Imprese sacrificali
– Gli imprenditori con noi sono sempre gentili, ci accolgono con il
caffè, sopportano di averci tra i piedi per settimane, ma si capisce che
vorrebbero dirci: scusateci, ma avremmo pure da lavorare. A noi però
questo non interessa: dobbiamo contestargli un verbale a qualsiasi costo
e quando bussiamo alla loro porta sappiamo che non hanno praticamente
speranza di salvezza. Per contrastare e contestare questa trappola
infernale l’imprenditore è costretto a pagare consulenti costosissimi,
ma noi rimaniamo sempre sulle nostre posizioni. A volte capita che per
provare a difendersi il presunto evasore chiami in soccorso come
consulenti ex finanzieri, ma spesso questo non gli evita la sanzione.
Anzi.
Negli ultimi anni ho notato una certa arrendevolezza da parte degli imprenditori: dopo un po’ si stancano. Capiscono, e ce lo dicono, che tanto dovranno fare ricorso perché noi non cambieremo idea. Per tutti questi motivi molti di loro costituiscono a inizio anno un fondo in previsione della visita della Finanza. Sono coscienti che qualcosa dovranno comunque pagare.
Negli ultimi anni ho notato una certa arrendevolezza da parte degli imprenditori: dopo un po’ si stancano. Capiscono, e ce lo dicono, che tanto dovranno fare ricorso perché noi non cambieremo idea. Per tutti questi motivi molti di loro costituiscono a inizio anno un fondo in previsione della visita della Finanza. Sono coscienti che qualcosa dovranno comunque pagare.
Chi fa
veramente le grandi porcate, chi apre e chiude partite Iva, emette false
fatture o costituisce società di comodo magari alle Cayman è molto più
veloce di noi e per questo non lo incastriamo, mentre azzanniamo quelli
che operano sul territorio e che sono regolarmente censiti nelle banche
dati. Alla fine lo Stato colpisce sempre i soliti noti. Non è una nostra
volontà, ma dipende dal fatto che non abbiamo risorse per fare la vera
lotta all’evasione e in ogni caso dobbiamo fornire dei numeri al
ministero per poter legittimare la nostra esistenza come istituzione.
Anche in Europa.
Tangente di Stato
– L’imprenditore, se accetta la proposta di adesione al verbale entro
60 giorni, paga solo un terzo di quanto gli viene contestato e spesso
salda anche se non lo ritiene giusto, per togliersi il dente ed evitare
ricorsi costosi (a volte più dei verbali) e sine die. In pratica accetta
di pagare una tangente allo Stato. Agli imprenditori i ricorsi costano
molto e se la commissione provinciale, il primo grado della giustizia
tributaria, dà ragione allo Stato, l’imprenditore prima di ricorrere
alla commissione regionale, il secondo grado, deve pagare metà del
dovuto. Per questo chi lavora spesso preferisce chiudere la partita
all’inizio, pagando un terzo.
Giustizia da farsa
– Il contradditorio tra Guardia di Finanza e imprenditori durante le
verifiche è una farsa, perché ognuno rimane sulla propria posizione, ma
va fatto per legge. Nel contradditorio gli imprenditori non hanno
scampo: quel numero, quell’ipotesi di evasione, ormai è stato venduto e
non può più essere ridimensionato. È entrato nel sistema e nelle nostre
statistiche. A noi non interessa se magari dopo anni quel verbale verrà
annullato e non avrà prodotto alcun introito per lo Stato.
Le cose non vanno meglio con la giustizia tributaria, gestita da commissioni composte da avvocati, commercialisti, ufficiali della Finanza in pensione che fanno i giudici tributari gratuitamente giusto per fare qualcosa o per sentirsi importanti. È incredibile, ma in Italia il sistema economico-finanziario viene affidato a un servizio di “volontariato”.
La verità è che un tale esercito di volontari senza gratificazioni economiche non se la sente di cassare completamente il lavoro di finanzieri e Agenzia delle Entrate e l’imprenditore qualcosa deve sempre pagare. Difficilmente questi giudici per hobby danno torto allo Stato.
L’assurdità è che vengono pagati 30-40 euro per motivare sentenze complesse che hanno come oggetto verbali da milioni di euro, scritti da marescialli aizzati dal sistema.
Le cose non vanno meglio con la giustizia tributaria, gestita da commissioni composte da avvocati, commercialisti, ufficiali della Finanza in pensione che fanno i giudici tributari gratuitamente giusto per fare qualcosa o per sentirsi importanti. È incredibile, ma in Italia il sistema economico-finanziario viene affidato a un servizio di “volontariato”.
La verità è che un tale esercito di volontari senza gratificazioni economiche non se la sente di cassare completamente il lavoro di finanzieri e Agenzia delle Entrate e l’imprenditore qualcosa deve sempre pagare. Difficilmente questi giudici per hobby danno torto allo Stato.
L’assurdità è che vengono pagati 30-40 euro per motivare sentenze complesse che hanno come oggetto verbali da milioni di euro, scritti da marescialli aizzati dal sistema.
Formazione assente
– Il nostro vero problema è la mancanza di specializzazione di un Corpo
che cerca di riscattarsi nel modo sbagliato, provando a portare a casa
grandi risultati, sebbene “storti”. A volte l’ignoranza aiuta a far
montare un rilievo che non sta né in cielo né in terra. Sulla nostra
formazione non ho niente da dire, perché non esiste. Eppure dobbiamo
confrontarci con specialisti agguerriti, leggere documenti in lingue
straniere, e la gran parte di noi non sa una parola in inglese. Non ci
forniscono nemmeno i codici tributari aggiornati, mentre spendono
milioni per farci esercitare ai poligoni, visto che siamo
inspiegabilmente ancora una polizia militare, come solo in Equador e
Portogallo. Un commercialista lavora 12 ore al giorno e si forma
continuamente. Dall’altra parte della barricata c’è gente come noi che
non vede l’ora di scappare via dall’ufficio, dove spesso non ha neppure a
disposizione una scrivania o la deve condividere con altri colleghi. In
questo modo il lavoro diventa l’ultimo dei pensieri. I più bravi vanno
in pensione appena possono, per riciclarsi come professionisti al soldo
delle aziende. Ci vuole una fortissima motivazione per studiare una
materia terribile come il diritto tributario. Avvocati e commercialisti
trovano gli stimoli nelle parcelle, da noi un maresciallo con vent’anni
di servizio guadagna 1.700 euro. Gli incentivi li dobbiamo trovare
dentro di noi, magari pensando di sfruttare il sistema per trovare un
altro lavoro. È illogico che un mestiere così delicato, dove si
contestano milioni di euro d’evasione, sia affidato a gente sottopagata e
impreparata. L’unico modo di tenersi aggiornati è quello di studiare a
proprie spese, pagandosi master e corsi. Purtroppo la formazione è
costosissima e spesso ci rinunciamo. È chiaro che un sistema del genere
presti il fianco al rischio della corruzione.
In più bisogna considerare che per noi le verifiche sono particolarmente rischiose. In base alla mia esperienza non le facciamo con la giusta professionalità, possiamo commettere errori in buona fede, essere invischiati in fatti che neanche capiamo. Per esempio alcuni di noi sono stati accusati di aver ammorbidito un verbale per un tornaconto, in realtà lo avevano fatto per ignoranza e per questo ora quasi nessuno vuole più fare questo tipo di lavoro.
In più bisogna considerare che per noi le verifiche sono particolarmente rischiose. In base alla mia esperienza non le facciamo con la giusta professionalità, possiamo commettere errori in buona fede, essere invischiati in fatti che neanche capiamo. Per esempio alcuni di noi sono stati accusati di aver ammorbidito un verbale per un tornaconto, in realtà lo avevano fatto per ignoranza e per questo ora quasi nessuno vuole più fare questo tipo di lavoro.
Risorse all’osso
– I nostri capi hanno budget di spesa sempre più ristretti. Nonostante
ciò ogni ufficiale deve portare a casa i risultati con i soldi e le
pattuglie che ha. Risultati almeno uguali a quelli dell’anno precedente.
A causa di questa mancanza di mezzi siamo costretti a portare via dalle
aziende penne, risme di carta, spillatrici. E secondo me gli
imprenditori se ne accorgono, ma non dicono nulla per compassione.
Onestamente gli ufficiali non sono responsabili di questa penuria di risorse, visto che i fondi destinati alla lotta all’evasione vengono decisi dai politici. Ma la frustrazione dei nostri superiori viene compensata da ottimi stipendi personali che lievitano grazie ai risultati conseguiti. Cosa che ovviamente non succede a noi.
Nel nostro lavoro, la mattina, ammesso che trovi una macchina libera, devi prima fare car-sharing e accompagnare diversi colleghi ai reparti, quindi ti restano due o tre ore per fare visita a un’azienda. Quando rientriamo da una verifica il nostro principale problema è segnare sul registro quanti chilometri abbiamo fatto e quanta benzina abbiamo consumato. Arriveremo al paradosso di fare le verifiche in ufficio a contribuenti trovati su Google.
Onestamente gli ufficiali non sono responsabili di questa penuria di risorse, visto che i fondi destinati alla lotta all’evasione vengono decisi dai politici. Ma la frustrazione dei nostri superiori viene compensata da ottimi stipendi personali che lievitano grazie ai risultati conseguiti. Cosa che ovviamente non succede a noi.
Nel nostro lavoro, la mattina, ammesso che trovi una macchina libera, devi prima fare car-sharing e accompagnare diversi colleghi ai reparti, quindi ti restano due o tre ore per fare visita a un’azienda. Quando rientriamo da una verifica il nostro principale problema è segnare sul registro quanti chilometri abbiamo fatto e quanta benzina abbiamo consumato. Arriveremo al paradosso di fare le verifiche in ufficio a contribuenti trovati su Google.
Lontani dalla realtà
– I nostri vertici sono lontani dalla realtà, sono convinti che noi
facciamo “lotta all’evasione”. C’è una distanza siderale tra chi sta in
trincea, come me, e chi vive nei salotti. Un maresciallo può parlare
solo con il tenente e non con i gradi superiori. Il nostro messaggio
viene filtrato e arriva al vertice completamente distorto. Nel nostro
sistema militare non conta quello che pensi del tuo lavoro, ma il grado
che hai sulle spalle. L’ufficiale non va a riferire al superiore se
l’ispettore gli ha detto che un controllo potrebbe non portare a niente.
Al contrario insinua nei vertici la speranza che un risultato arriverà.
E così chi va in giro per aziende deve ingegnarsi per trovare il
cavillo che porti al risultato, solo per sentirsi dire bravo o per una
pacca sulla spalla. L’animo umano si accontenta di poco. In questa
catena di comando in cui tutti devono fare carriera non sono ammessi
dubbi od obiezioni, l’informazione reale resta a valle, al generale
arriva quella virtuale, il famoso “numero”. In nome del quale vengono
immolati molti evasori virtuali.
tramite: http://www.lanuovaitalia.eu
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