Non ci siano vittime di serie A o di serie B,
tra i caduti per la nostra nazione e per la Repubblica, ma un unico
status, per tutti i nostri militari che abbiano perso la vita in
servizio, in azioni di guerra, in attentati bellici come in missioni di
pace, o semplicemente durante lo svolgimento del proprio dovere, anche
per incidente. È ciò che chiedono allo Stato i parenti, riuniti
nell’Associazione Onlus “Mario Frasca”, fondata nel 2012 e presieduta
dal padre Antonio; segretario è Vincenzo, fratello del militare
dell’esercito italiano morto in Afghanistan il 23 settembre 2011,
insieme a Riccardo Bucci e Massimo Di Legge. Nei giorni scorsi, una
rappresentanza si è recata dal Presidente della Repubblica Sergio
Mattarella e ha promosso una manifestazione davanti al Parlamento, il 25
febbraio scorso, per chiedere l’unico riconoscimento per le “vittime
del terrorismo nelle missioni di pace all’estero”, con una modifica
della normativa vigente che, nelle leggi n. 206/2004 e n. 246/2006,
distingue tra “vittime del terrorismo” e “vittime del dovere e del
servizio”.
“Sul sito web del Ministero della Difesa, i 177 nostri caduti dal 1950 ad oggi
sono in un unico elenco. La legge, però, fa differenza di categoria e,
quindi di trattamento”, spiega Vincenzo Frasca. Chi è “vittima del
dovere” non ha diritto ai funerali di Stato, né ad onorificenze, come la
Medaglia d’Oro al Valore Militare, né ai risarcimenti per i genitori e i
fratelli, come avviene invece per le “vittime del terrorismo”, ma
soltanto per la moglie e i figli. Uno schiaffo alla parità di trattamento e di riconoscimento del servizio reso alla nazione e alla pace dai soldati italiani.
“Chiediamo che i nostri militari caduti in missioni internazionali all’estero,
in Kosovo, Libano, Iraq, Afghanistan, Albania, siano riconosciuti e
onorati tutti allo stesso modo, senza discriminazioni e differenze”,
dice Vincenzo Frasca. Accanto a lui, discreta e affranta da un dolore
che non passa, c’è Rosa Papagna, la madre di Francesco Saverio Positano,
il caporalmaggiore degli Alpini del 32mo reggimento Genio che ha perso
la vita in Afghanistan il 23 giugno 2010, precisamente a Shindand, nel
corso di un pattugliamento. “Mi avevano detto che era morto per un
malore. Quando è il corpo è tornato in Italia abbiamo chiesto
un’autopsia e il referto del medico ha escluso la morte per cause
naturali. È stato investito da un automezzo blindato in retromarcia”,
presumibilmente durante una manovra. La Procura di Roma ha aperto
un’inchiesta per omicidio colposo. Si è trattato di un incidente. Ma i
genitori di Francesco non ci stanno a considerare la sua morte di meno
valore di quella di chi è stato ucciso in un attentato terroristico. Era
all’estero comunque in missione, in difesa dei valori di pace e di
democrazia, rischiando la vita allo stesso modo di chiunque altro
suo commilitone.
Nel 2014, sono caduti in missione militare all’estero il maresciallo Luigi Sebastianis,
il 12 agosto, in Libano, e il maresciallo aiutante dell’Arma dei
Carabinieri Corrado Oppizio, il 24 febbraio, in Libia. L’8 giugno 2013,
in Afghanistan, Giuseppe La Rosa. Nel 2012, il caporalmaggiore dei
Bersaglieri Michele Padula, il 18 giugno, in Kosovo; in Afghanistan, il
caporale degli Alpini Tiziano Chierotti, il 25 ottobre, l’appuntato dei
Carabinieri Manuele Braj, il 25 giugno, il sergente dei Gustatori
Michele Silvestri, il 24 marzo, il caporalmaggiore della Fanteria
Francesco Currò insieme ai primi caporali maggiori Francesco Paolo
Messineo e Luca Valente, il 20 febbraio, il tenente colonnello della
Fanteria Giovanni Gallo, il 13 gennaio.
Nel 2011, sempre in Afghanistan, con Frasca, Bucci e Di Legge,
sono morti: il maggiore dell’Arma dei Carabinieri Matteo De Marco, il
16 settembre, il primo caporalmaggiore dei Paracadutisti David Tobini,
il 25 luglio, il primo caporalmaggiore dei Gustatori paracadutisti
Roberto Marchini, il 12 luglio, il caporalmaggiore scelto Gaetano
Tuccillo, il 2 luglio, il tenente colonnello dell’Arma dei Carabinieri
Cristiano Congiu, il 4 giugno, il tenente degli Alpini Massimo Ranzani,
il 28 febbraio, il caporalmaggiore degli Alpini Luca Sanna, il 18
gennaio. Nel 2010, sempre in Afghanistan: il caporalmaggiore degli
Alpini Matteo Miotto, il 31 dicembre, nello stesso attentato del 9
ottobre: i primi caporali maggiori degli Alpini Gianmarco Manca,
Francesco Vannozzi e Sebastiano Ville, con il caporalmaggiore Marco
Pedone, il tenente d’assalto Paracadutisti Alessandro Romani il 17
settembre, il primo maresciallo dei Guastatori alpini Mario Gigli con il
caporalmaggiore capo Pierdavide De Cillis, il 28 luglio, il capitano di
Artiglieria Marco Callegaro, il 25 luglio, il caporalmaggiore dei
Guastatori alpini Luigi Pascazio insieme al sergente Massimiliano
Ramadù, il 17 maggio, l’agente dei Servizi di Sicurezza Pietro Antonio
Colazzo, il 26 febbraio.
Un elenco di nomi che parla di vite offerte per i valori di Patria e di civiltà.
In un andare a ritroso negli anni fino alla nascita della Repubblica.
La maggior parte di loro si trova nell’anonimato pubblico.
Ingiustamente. Ecco, allora, il nome degli altri nostri eroi e martiri
della democrazia: nel 2009, in Kosovo, il primo maresciallo Concetto
Gaetano Battaglia, in Afghanistan, i caporali maggiori Alessandro Di
Lisio e Rosario Ponziano, i primi caporali maggiori Matteo Mureddu,
Giandomenico Pistonami, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, il
sergente maggiore Roberto Valente, il tenente Antonio Fortunato, il
maresciallo Arnaldo Forcucci. Nel 2008, in Afghanistan, il maresciallo
Giovanni Pezzulo e il caporalmaggiore Alessandro Caroppo. Nel 2007,
sempre in Afghanistan, il maresciallo capo Daniele Paladini e il
sottoufficiale del Sismi Lorenzo D’Auria.
Sono i nostri caduti negli ultimi dieci anni. Ce ne
sono tanti altre, di morti silenziose sui media, i cui nomi non hanno
meritato neppure il ricordo nelle pagine di cronaca. L’elenco completo
di un appello tragico si trova sul sito del Ministero della Difesa. Sono
i nostri militari impegnati in operazioni di pace in Iraq, in Kosovo,
in Albania, in Bosnia-Erzegovina, in Croazia, in Somalia, in Burundi, in
Ruanda, in Mozambico, in Libano, nella Guerra del Golfo, in Egitto, in
Eritrea, nel Congo Belga. Se l’Italia manterrà la sua vocazione
repubblicana, di ambasciatrice di pace, e se saprà onorarli tutti
egualmente, come meritano, non saranno morti invano.
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