Cosa lega l’approvazione della legge sulle Unioni Civili, riscritta dopo l’accordo con i “centrini” di Angelino Alfano, l’esultanza scomposta di Denis Verdini per l’ufficializzazione dell’entrata della sua soldataglia parlamentare nella maggioranza di governo, la visita di un incazzato Jean-Claude Juncker a Roma e il precipitare della crisi in Libia? Risposta: la paura di Matteo Renzi di non farcela a reggere la situazione. Lo spavaldo cialtrone che abbiamo conosciuto in questi due anni di potere usurpato annusa il cambiamento di un clima che prima gli è stato favorevole e ora inizia a perturbarsi minacciosamente.
Non è che tutti i disastri italiani siano opera sua, tuttavia l’aver
voluto nascondere le magagne di un paese alla deriva sotto la coltre di
una narrazione trionfalistica e arrogante di successi mai conseguiti ha
fatto di lui un personaggio inaffidabile. Per descrivere l’uscita del
giovanotto dell’età dell’innocenza si potrebbe mutuare il paradigma di
Alberto Arbasino: Matteo Renzi è passato dalla categoria “brillanti
promesse” a quella, più frequentata, dei “soliti stronzi”. Con tutta
probabilità è ciò che di lui pensano in molti negli ambienti che
contano, a cominciare dalle cancellerie dei paesi partner europei.
Nessuno gli crede quando parla di risanamento della finanza pubblica e
di spending review, nessuno vuole accordargli un solo euro in più di
flessibilità sui conti e, quel che è peggio, non sono pochi coloro che
lo ritengono, a causa dei comportamenti deliberatamente lassisti
dell’Italia sul fronte dell’accoglienza, il principale responsabile
della crisi migratoria vissuta dall’Europa. C’è poi il conto aperto con
Parigi, per quella porta sbattuta in faccia a François Hollande nel
momento nel quale il presidente francese chiedeva aiuto a Roma per
combattere il terrorismo jihadista in Siria.
Gli alleati, dopo mesi nei quali hanno insistito all’inverosimile
perché fosse l’Italia a gestire la crisi libica, si sono rotti le
scatole e hanno deciso di agire militarmente col bel risultato che,
ancora una volta, sarà il nostro paese a fare la parte del fanalino di
coda. Altro che comando delle operazioni: ce lo possiamo scordare che
francesi, inglesi, americani e tedeschi permettano al nostro governo di
tenere il banco nello Chemin de fer giocato al tavolo libico. Se questo è
il quadro, ha ragione il giovanotto a preoccuparsi per il suo futuro.
Matteo Renzi sa bene che, in politica, la gloria, come la fortuna, ha la
fragilità di una farfalla: svolazza qualche giorno e poi scompare.
Anche dell’affollata schiera degli odierni fans, stipati nelle fila del
Partito Democratico come a un concerto degli U2, non può fidarsi. La
maggior parte di loro sono come certi vecchi soprabiti: buoni per tutte
le stagioni. Un tempo erano veltroniani, poi sono diventati bersaniani,
oggi sostengono di non potere non dirsi renziani, e domani?
Allora, secondo una collaudata pratica di saggezza: piuttosto che
niente, meglio piuttosto. E il “piuttosto” della odierna politica è
quell’accrocco di traditori che, eletti nel centrodestra, pur di restare
al potere si venderebbero anche le mamme. E quale alleato migliore di
questa rustica progenie di morti di fame per blindare il governo nel
momento in cui si avvicina la tempesta perfetta? Con le due fave,
Verdini e Alfano, Matteo Renzi fa strage di piccioni: porta a casa uno
straccio di legge sui diritti degli omosessuali, puntella la maggioranza
contro le voglie di sgambetto coltivate dall’opposizione interna al
partito e, ciliegina sulla torta, si prepara a favorire lo shopping
bancario dei suoi sponsor finanziari mediante l’approvazione di nuove
norme sul credito. Cosa c’è di meglio di un Verdini o di un Alfano per
allungarsi la vita? Perché, come cantava Laura Pausini, è così che sono
fatti certi Strani Amori “…che fanno crescere/e sorridere tra le
lacrime…”.
di Cristofaro Sola - 27 febbraio 2016
fonte: http://www.opinione.it
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