La vicenda non fu mai chiarita e la versione italiana non coincise mai con quella statunitense
Un’altra triste
pagina della storia italiana più recente. Un altro uomo di Stato, di
quelli che per lo Stato si prodigano e si sacrificano, che ha perso la
vita mentre svolgeva il proprio lavoro e mentre si trovava in missione
in Iraq per riportare a casa la giornalista de Il manifesto, Giuliana Sgrena, appena liberata dai suoi rapitori. Lui era Nicola Calipari, agente segreto italiano, nato a Reggio Calabria il 23 giugno 1953. Un altro figlio dell’Italia, del Sud in questo caso, che è andato a morire a Baghdad il 4
marzo 2005, per mano di soldati statunitensi. “Fuoco amico”, dunque. Un
errore che a Calipari è costato caro, e che ancora oggi non è stato
chiarito.
Ma
andiamo con ordine. Nicola Calipari aveva avuto una lunga e meritevole
carriera: era entrato a far parte degli scout nel reparto «Aspromonte»
del gruppo Reggio Calabria 1 dell’Associazione Scouts Cattolici Italiani
(ASCI). Dal 1965 intraprese il percorso educativo fino a diventare, nel
1973, capo scout nei gruppi Reggio Calabria 1 e Reggio Calabria 3
AGESCI. Laureatosi in giurisprudenza, nel 1979, si arruolò in Polizia,
ottenendo molti riconoscimenti in particolare relativamente ad operazioni antidroga e di contrasto al traffico internazionale di armi.
Entra quindi nel Sismi nel 2002 e tra i suoi incarichi è
anche responsabile, nei territori iracheni, per le trattative volte alla
liberazione delle operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta e dei tre addetti alla sicurezza Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. Non si riesce invece a riportare a casa Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni, che
saranno giustiziati dai loro rapitori. È inoltre mediatore per la
liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005
dall’Organizzazione della Jihad islamica mentre si trovava a Baghdad per realizzare una serie di reportage per il suo giornale.
Dopo
l’esito positivo del sequestro e la liberazione della Sgrena, grazie
alla trattativa portata a termine proprio da Calipari, la sera del 4
marzo gli uomini dei servizi segreti cercano di riportarla a casa.
L’auto con a bordo la giornalista, l’autista Andrea Carpani e Nicola Calipari, si sta recando all’aeroporto di Baghdad, dove un aereo li attende per riportarli in patria. Si trovano sulla Route Irish quando
si avvicinano a un presunto posto di blocco statunitense. Appena il
veicolo si avvicina agli americani, questi iniziano a scagliarli contro una serie di colpi d’arma da fuoco;
Calipari, per istinto, per esperienza e per senso del dovere, si
protende per fare scudo col suo corpo a Giuliana Sgrena. Ed è proprio in
questo momento che viene ucciso da una pallottola che gli si conficca propria in testa, senza lasciargli scampo. Ma i colpi d’arma da fuoco sono tanti e anche la giornalista e l’autista del mezzo vengono feriti.
L’addetto americano alla mitragliatrice è Mario Lozano, newyorkese nato nel Bronx nel 1969, appartenente alla 42ª divisione della New York Army National Guard.
Ma forse, anche altri soldati hanno partecipato alla sparatoria,
scagliando le loro munizioni sull’auto italiana. Sul caso è ovviamente
stata aperta un’inchiesta, ma la versione statunitense e quella italiana
non hanno mai coinciso. L’accaduto creò forti attriti diplomatici fra
Italia e USA, proprio come accadde durante la strage del Cermis. Secondo
il governo statunitense l’auto con a bordo Calipari e la Sgrena
viaggiava ad una velocità vicina ai 100 km/h e i militari del
check-point 541 avrebbero seguito la cosiddetta procedura delle quattro S, prevista nelle regole di ingaggio, ovvero: Shout (grida): i soldati, a 150 metri di distanza segnalano al conducente di fermars; Show
(mostra): a 100 metri dal posto di blocco il conducente del veicolo
viene colpito da un laser verde, per costringerlo a rallentare; Shove (allontana): nel caso l’auto non avesse ancora rallentato, i soldati sparano alcuni colpi in aria; Shoot (spara): quando il veicolo giunge alla pericolosa distanza di 50 metri, i soldati si ritengono autorizzati a sparare.
La versione italiana, basata sulla
testimonianza di Giuliana Sgrena fu diversa: sostenne di aver visto,
dopo una curva che li avrebbe fatti rallentare fino ad una velocità
massima di circa 50 km/h, una luce accecante e poi di aver udito
l’esplosione di numerosi colpi d’arma da fuoco. Inoltre, secondo, la
giornalista non si trattava di un posto di blocco e la
pattuglia dei soldati americani non aveva fatto alcun segnale per
identificarsi o per intimare l'”alt”. La giornalista dichiarò inoltre
che i suoi sequestratori le avevano riferito che gli statunitensi non volevano tornasse viva in patria. La magistratura
italiana, che aveva aperto un’inchiesta sulla vicenda, incriminò il
Mario Lozano per l’omicidio di Calipari e il tentato omicidio di Sgrena e
Carpani, maggiore dei Carabinieri in forza al SISMI.
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