Nonostante la ripresa americana, il debito mondiale cresce ed è sempre meno sostenibile
Partiamo
dall’inizio, che è più semplice. Che il 2008 sia stato l’anno della
peggior crisi finanziaria degli ultimi cento anni almeno, è cosa nota.
Forse, tuttavia, è utile ricordare cosa causò quella crisi: successe, in
estrema sintesi, che per tutta la prima metà degli anni 2000, sotto la
spinta del mercato finanziario e di quello immobiliare, gli Stati Uniti
d’America conobbero una fase di grande crescita economica; che in quella
fase, le banche concessero mutui ipotecari – i cosiddetti subprime, che
in italiano vuol dire «di seconda scelta» - a numerose
famiglie (partendo dal presupposto che i prezzi delle case sarebbero
continuati a crescere) nonostante vi fossero concrete possibilità che
queste non sarebbero riuscite a ripagarlo, se qualcosa fosse andato
storto; che qualcosa effettivamente andò storto e, più precisamente,
nella seconda metà del 2006 la bolla immobiliare cominciò a sgonfiarsi
come un palloncino bucato, che i tassi d’interesse si alzarono e che
molti di quei debitori potenzialmente insolventi lo diventarono per
davvero; questo, a fette molto spesse, rese «tossici» diversi titoli, i
fondi d’investimento che se li erano comprati, le banche che vi avevano
investito, le borse di tutto il mondo i cui indici dipendono in larga
parte da come vanno le banche. Una partita a domino, per farla breve,
che è costata alle banche di tutto il mondo qualcosa come 4.100 miliardi
di dollari e che, nel 2009, ha fatto scendere il Pil in tre quarti dei
paesi di tutto il mondo, facendone finire la metà in una recessione che
si è protratta anche negli anni successivi, innescando peraltro nuove
crisi, come quella dei debiti pubblici europei.
Se dobbiamo raccontarla in due righe, potremmo dire che la crisi del
2008 è stata innescata da un cocktail letale tra un’inaspettata frenata
dell’economia e un indebitamento – in quel caso più privato che pubblico
- che aveva raggiunto livelli mostruosi. Ecco: secondo gli analisti del
Geneva Report,
commissionato dal centro internazionale per gli studi economici e
bancari, la mano invisibile ci ha già servito sul bancone un cocktail
simile e chi ci governa sta facendo poco o nulle per evitare che
l’economia globale se lo beva di nuovo, con tutte le conseguenze del
caso. Provo a essere ancora più brutale: che lo scenario attuale è molto
simile a quello che ha generato la crisi del 2008.
Il primo ingrediente: il debito
Da
cosa traggono queste fosche previsioni gli economisti che hanno scritto
il Geneva Report del Centro Internazionale per gli Studi Monetari e
Bancari, tra i quali figurano anche gli italiani Luigi Buttiglione e
Lucrezia Reichlin? In primo luogo dall’ammontare complessivo del debito
globale – settore finanziario escluso - che nel 2013 ha raggiunto il suo
massimo storico: più precisamente, se nel 2008 era pari al 181% del Pil
globale, oggi siamo arrivati al 212%.
Crescita del debito non finanziario globale (2001-2013)
Il motivo alla base di questo record è altrettanto interessante:
nelle economie sviluppate il debito è sì cresciuto, ma a ritmi piuttosto
contenuti, trainato soprattutto dalla crescita dei debiti pubblici,
quello americano in primis. Al contrario è cresciuto, e molto, in paesi
emergenti – se così si possono ancora definire – in cui sono aumentati
notevolmente i prestiti ai privati. Su tutti la Cina, in cui negli
ultimi cinque anni il debito non finanziario – pubblico e privato – è
cresciuto del 72%. O, ancora, la Turchia, in cui è cresciuto del 33%.
Crescita e composizione degli asset finanziari nei paesi sviluppati e in quelli emergenti
Il secondo ingrediente: la (non) crescita
Il debito cresce, quindi, ma lo stesso non si può dire del valore aggiunto e dell’economia nel suo complesso. Anzi, non solo le previsioni sulla crescita si stanno progressivamente riducendo, ma sono anche costantemente riviste al ribasso. Ciò, soprattutto, in relazione ai paesi sviluppati, e all’Europa, soprattutto. Gli autori del Geneva Report prendono in esame i dati del Fondo Monetario Internazionale: fatta 100 la ricchezza dei paesi emergenti nel 2006, stando alle previsioni del 2010, nel 2015 avrebbero dovuto avere una ricchezza complessiva di 40 punti superiori, mentre nel 2012 la previsione era stata rivista al ribasso di 25 punti percentuali.
Il debito cresce, quindi, ma lo stesso non si può dire del valore aggiunto e dell’economia nel suo complesso. Anzi, non solo le previsioni sulla crescita si stanno progressivamente riducendo, ma sono anche costantemente riviste al ribasso. Ciò, soprattutto, in relazione ai paesi sviluppati, e all’Europa, soprattutto. Gli autori del Geneva Report prendono in esame i dati del Fondo Monetario Internazionale: fatta 100 la ricchezza dei paesi emergenti nel 2006, stando alle previsioni del 2010, nel 2015 avrebbero dovuto avere una ricchezza complessiva di 40 punti superiori, mentre nel 2012 la previsione era stata rivista al ribasso di 25 punti percentuali.
Revisione delle previsioni di crescita (mondo, mercati sviluppati, mercati emergenti)
Probabilmente, anche quest’ultima profezia si rivelerà fin troppo
ottimista. Soprattutto in relazione al fatto che, a partire dal 2011, ci
si è messa pure la discesa globale dei prezzi – per gli amici,
deflazione - a complicare le cose. Come osservano gli autori – e come
noi europei sappiamo bene - «in queste condizioni di inaspettata
deflazione e di calo complessivo della crescita economica, i bassi tassi
d’interesse sono di ben poco aiuto per la sostenibilità del debito
pubblico».
Andamento dei prezzi (2001-2013)
La bomba è innescata, in altre parole. Un mix letale di bassa
crescita e alto debito che potrebbe esplodere in Asia, se l’economia
rallentasse o in occidente, se ci fosse un ulteriore e improvvisa
accelerazione nella crescita del debito. Se la diagnosi è chiara, altro è
chiedersi quale sia la cura. Secondo gli economisti del Geneva Report,
le strade sono due: la prima è una cura da cavallo per la crescita in
Europa, con robuste iniezioni di liquidità della Bce nel sistema
economico per far salire la produzione, la domanda e i prezzi; la
seconda, è una politica di aumento dei tassi d’interesse nei paesi che
crescono di più, come la Cina per ridurre la quantità di prestiti
rischiosi.
Una strategia, questa, che come ogni medicina ha due
controindicazioni. La prima: se la Cina, poniamo, alza i tassi
d’interessi, c’è il rischio che la sua economia rallenti, con effetti
negativi anche sugli stessi paesi europei che, invece, ci si aspetta
debbano crescere. La seconda: un rallentamento complessivo dell’economia
globale potrebbe incoraggiare gli investitori a prendersi rischi
maggiori per mantenere inalterati i loro guadagni, con la possibilità
che i prestiti (e i debiti rischiosi) tornino a crescere. Situazione
piuttosto spinosa, insomma. Ed è di ben poca consolazione sapere che i
guai non sono solo nostri.
di Francesco Cancellatp - 3 ottobre 2014
fonte: http://www.linkiesta.it
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