Lo si sapeva da tempo ma adesso se ne è avuta la conferma. Il tradizionale asse tra Parigi e Berlino che ha permesso all’Unione europea di raggiungere traguardi storici si è spezzato. Il motivo è sotto gli occhi di tutti da alcuni anni almeno: l’asse era troppo sbilanciato e pendeva pericolosamente verso la Germania, fino a spezzarsi appunto. Subito dopo lo scoppio della crisi, l’ex presidente Sarkozy nascondeva questo sbilanciamento e le debolezze del proprio paese con comunicati e apparizioni televisive con la cancelliera Merkel dagli esiti non proprio felici. Dall’ormai famosa passeggiata di Deauville del 2010 scaturì la posizione congiunta sulla necessità di un ‘haircut’ sul debito pubblico greco (di “soli” 350 miliardi di euro!), con l’argomentazione che chi aveva ‘speculato’ mirando agli alti tassi di interesse offerti da Atene, doveva render conto dell’alto rischio assunto. Poco importava che fossero principalmente proprio le banche francesi e tedesche ad aver abbondantemente foraggiato le casse greche, perché agli occhi dell’opinione pubblica ‘vendeva’ molto di più la linea del rigore verso i non meglio specificati speculatori. Il risultato lo conosciamo purtroppo molto bene: una fuga di capitali non solo dalla Grecia ma anche dagli altri paesi altamente indebitati, Italia ovviamente compresa.
Da un vero asse portante dell’intera Unione europea, commenta Antonio Villafranca, ISPI Senior Research Fellow, ci si aspettava invece qualcosa di molto diverso: per esempio una dichiarazione ‘urbi et orbi’ in cui rassicurare i mercati internazionali sul fatto che non un solo centesimo del debito pubblico dell’Eurozona sarebbe rimasto scoperto. La folle corsa degli spread probabilmente non sarebbe iniziata e l’interesse europeo avrebbe prevalso. Si è preferito invece scegliere l’interesse nazionale, con la Germania che diventava il porto sicuro dei capitali in fuga dal sud dell’Europa e la Francia che viveva di luce riflessa, quella di Berlino, con uno spread non in linea con il reale stato della sua economia.
Una questione di punti di vista, contina Villafranca, ma che oggi a ben vedere mostra tutta la sua miopia. Con l’arrivo di Hollande alla Presidenza francese la situazione è cambiata. Non tanto perché rispetto alla Merkel appartiene a una diversa famiglia politica - quella socialista - ma perché nel frattempo la ricetta dell’austerità, condivisa (almeno all’apparenza) da Parigi, aveva finito per diradare la cortina fumogena alzata da Sarkozy. Nei duri anni della crisi l’asse franco-tedesco si è dunque inesorabilmente flesso e solo oggi ha risuonato l’inevitabile crac. L’anno scorso la Francia aveva già ottenuto due anni in più per rientrare nel 3% del rapporto deficit/Pil, ma ha adesso fatto sapere che non rispetterà l’impegno preso almeno fino al 2017 (nel Dossier di fine anno dell’Ispi la Francia era stata indicata come una dei “country to watch”). Ad una Merkel (anche comprensibilmente) furiosa non resta che vestire i panni della maestra dell’indisciplinata Eurozona e ricordare che i compiti a casa devono essere fatti.
Non mancheranno ora in Italia e in altri paesi prese di posizione che chiederanno a gran voce di seguire l’esempio francese. In un certo senso ormai il dado è tratto: la tentazione del “liberi tutti” appare obiettivamente molto attraente. Eppure le cose non possono stare così. Secondo Villafranca basterebbe, ancora una volta, spostare il punto di vista. Sia nel caso francese che in quello tedesco la prospettiva è la stessa, ovvero quella dell’interesse nazionale di breve periodo, il più urgente per chi riveste cariche politiche. Nel caso di Hollande questo è addirittura clamoroso. Dopo il trionfo alle elezioni europee, Marine Le Pen è anche riuscita per la prima volta a far entrare il Front National al Senato nelle elezioni della scorsa domenica; il suo successo è tale da rendere non impossibile una vittoria alle prossime elezioni presidenziali, malgrado il doppio turno e l’inevitabile accoppiata socialisti-popolari. Dopo il tracollo dei consensi, scossoni di varia natura e rimpasti di governo, il socialista Hollande sposa le vincenti - almeno elettoralmente - posizioni della Le Pen e divorzia ufficialmente dalla Germania. D’altra parte la Merkel non cambia punto di vista e continua a somministrare a tutti la sua ricetta con un solo ingrediente: l’austerità. Un ingrediente però molto apprezzato dai cittadini tedeschi, soprattutto da quelli baveresi che, con la CSU, rappresentano una componente molto influente all’interno dell’alleanza cristiano-democratica. Tutto ciò nel silenzio dei socialdemocratici della SPD che - in Grosse Koalition con la Merkel - sono più intenti a riacquisire consenso popolare spingendo per l’allentamento delle riforme del lavoro Hartz IV, realizzate proprio dal socialista Schroeder, piuttosto che ad aggiungere l’ingrediente europeo all’insipido piatto della Merkel.
Non sembra quindi esserci molta differenza tra il punto di vista francese e quello tedesco, conclude Villafranca: entrambi perseguono il proprio interesse nazionale e guardano con apprensione al consenso dei propri cittadini. Ma, come ricordato sopra, non dovrebbe essere questo il punto di vista da adottare. Sarebbe infatti opportuno guardare all’intero interesse europeo. Le ultime stime di crescita per il 2014 nell’Eurozona sono scoraggianti (+0,8%). Al suo interno l’Italia è tornata in recessione (-0,4%), la Francia è prossima allo stallo (0,4%) e la stessa Germania non brilla (1,5%, ma in calo rispetto alla previsione del 2,1%). Non ci vuole molto per capire che non si sta facendo abbastanza per rilanciare la crescita in Europa. E brucia constatare che la Gran Bretagna - che da tempo segue politiche economiche diverse, se non opposte a quelle dell’Eurozona - registrerà quest’anno un 3,1%. Peraltro non proprio un buon viatico in vista dell’eventuale vittoria dei conservatori alle elezioni del prossimo anno e del promesso referendum sull’uscita dall’Ue.
Adottando quindi il punto di vista europeo e allontanandolo da un orizzonte elettorale di breve periodo, la decisione di Hollande non può essere letta positivamente. Il rigore di bilancio e il rispetto dei patti, anche quando indigesti e impopolari, sono un bene da salvaguardare per la Francia stessa, ma anche per l’Italia, la Germania e l’Eurozona in generale. Sempre l’ottica europea impone tuttavia di coniugare questo rigore con la crescita. Hollande avrebbe potuto, nell’interesse europeo, non disattendere gli impegni presi ma pretendere a gran voce - fino anche a rompere l’asse franco-tedesco - di dar seguito, ad esempio, alla proposta della Commissione (e prima ancora dei “4 presidenti”) di realizzare “contratti” tra l’Unione e i singoli stati membri per scambiare riforme con nuovi investimenti produttivi e politiche occupazionali, anche al costo di sforare, ma solo a tal fine, i vincoli di Maastricht o di creare un indebitamente europeo (i cosiddetti “project bonds”). Una visione quindi europea di cui col tempo avrebbe inevitabilmente beneficiato la stessa Germania, dove peraltro gli investimenti languono. La rottura dell’asse franco-tedesco è stata un’occasione sprecata da parte di Hollande. Il punto di vista adottato è troppo limitato sia nello spazio (la Francia) che nel tempo (il breve periodo).
fonte: http://www.ispionline.it - 2 ottobre 2014
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