Foto copertina. Osama bin Laden, 1989, Afghanistan con i combattenti anti-sovietici sostenuti dagli Usa
E’ davvero tutto e solo ‘Califfato’ l’eversione jihadista oggi?
Torniamo ad Al Qaeda: dall’uccisione del fondatore Osama bin Laden la
rete qaedista ha mutato strategie, ha nominato nuovi leader e stretto
nuove alleanze. Cos’è oggi l’organizzazione terroristica che era la più
pericolosa al mondo
Tutti ricordano l’11 settembre 2001, la data della sfida
vincente di Bin Laden alla superpotenza planetaria. Pochi ricordano il
primo maggio 2011, quando gli Stati Uniti saldarono il conto personale
con Osama bin Laden. Ebbene, da allora nel mondo paranoico
dell’integralismo jihadista, molto è cambiato. Interessanti alcuni
dettagli rilevati da LookOut, ad esempio il salto generazionale
avvenuto. Con un primo distinguo di strategie netto: dal “Far Enemy”, il
nemico lontano combattuto da Bin Laden, il “Near Enemy”, il nemico
interno contro cui si rivolge invece al-Zawahiri.
C’è uno studio molto interessante di Murad Batal al-Shishani, esperto di terrorismo e movimenti islamisti, in cui osserva che il 70% dei discorsi di Bin Laden era incentrato su ‘crociati ed ebrei’, mentre solo il 10% era diretto a rovesciare i regimi arabo-musulmani considerati ‘apostati’. Al contrario, al-Zawahiri e le molte altre filiazioni regionali di Al Qaeda, si mostrano molto più concentrati sul “nemico vicino”. Il medico egiziano erede di Bin Laden affronta in almeno il 50% dei suoi discorsi i temi di jihadista nazionale prima di unirsi agli appelli generici alla jihad globale.
Anche il terrorismo, nel tempo si adatta e muta. Quello qaedista del dopo Bin Laden, è sempre più invischiato nelle dinamiche specifiche dei singoli teatri nazionali di guerre e insurrezioni. Diventa facile e storico l’esempio Afghanistan e la sua ‘formula magica’. La somma di ‘Islam radicale + petrodollari + CIA + missili Stinger’, che aveva allora fatto miracoli contro l’Urss. Oggi un tentativo decisamente mal riuscito di mix simile è evidente in Siria, divenuta ormai arena di scontro di logiche tribali, settarie, religiose oltre che di dinamiche egemoniche e di supremazia regionale.
Proprio in Siria emerge evidente l’evoluzione della rete qaedista. Un vero e proprio mutamento generazionale. La prima generazione qaedista, quella degli attentati di Nairobi e Dar al-Salam degli anni Novanta, quella del nemico esterno e di un centro di comando stabile nelle basi afghane. La seconda generazione entra in campo dopo l’11 settembre, con l’invasione Usa in Afghanistan e Iraq, che scuote la struttura e costringe alla dispersione dei bersagli dai nemici con un fiorire di reti locali decentralizzate e indipendenti tipo AQAP, AQIM e AQI e altre filiazioni di Al Qaeda prima di IS.
La ‘terza generazione’ -analisi LookOut- è quella delle Primavere Arabe che scuotono il fondamento ideologico delle violenza necessaria, alla base della filosofia di Al Qaeda. Dopo di che l’uccisione di Bin Laden assesta il colpo di grazia alla rete globale e al comando centrale. Ma è il progetto di Al Qaeda in Siria a segnare l’avvio della “quarta generazione”, il futuro stesso dell’Organizzazione e la sua momentanea sconfitta rispetto a Isis. Tutto reso possibile dall’implicito consenso occidentale che, come CIA in Afghanistan, ha pensato di poter sfruttare i qaedisti come soci nella lotta ad Assad
L’Al Qaeda che conoscevamo non esiste più. Oggi l’espressione più efficace di jihad è praticata in forme diverse da Isis. E come osserva lo studioso di terrorismo J. M. Berger, la nuova Al Qaeda è sempre radicale, estremista e violenta e fa terrorismo ma ha la sua prima strategia sul campo di battaglia, sempre più simile a un esercito di combattenti in prima linea. Resta ancora traccia dell’ impronta originaria di Al Qaeda cui in qualche modo al-Zawahiri cerca di richiamarsi, ma nel mondo della rivolta jihadista assoluta oggi vince il Califfo. Col rischio di dover rimpiangere il passato.
23 settembre 2014
fonte:http://www.remocontro.it
C’è uno studio molto interessante di Murad Batal al-Shishani, esperto di terrorismo e movimenti islamisti, in cui osserva che il 70% dei discorsi di Bin Laden era incentrato su ‘crociati ed ebrei’, mentre solo il 10% era diretto a rovesciare i regimi arabo-musulmani considerati ‘apostati’. Al contrario, al-Zawahiri e le molte altre filiazioni regionali di Al Qaeda, si mostrano molto più concentrati sul “nemico vicino”. Il medico egiziano erede di Bin Laden affronta in almeno il 50% dei suoi discorsi i temi di jihadista nazionale prima di unirsi agli appelli generici alla jihad globale.
Anche il terrorismo, nel tempo si adatta e muta. Quello qaedista del dopo Bin Laden, è sempre più invischiato nelle dinamiche specifiche dei singoli teatri nazionali di guerre e insurrezioni. Diventa facile e storico l’esempio Afghanistan e la sua ‘formula magica’. La somma di ‘Islam radicale + petrodollari + CIA + missili Stinger’, che aveva allora fatto miracoli contro l’Urss. Oggi un tentativo decisamente mal riuscito di mix simile è evidente in Siria, divenuta ormai arena di scontro di logiche tribali, settarie, religiose oltre che di dinamiche egemoniche e di supremazia regionale.
Proprio in Siria emerge evidente l’evoluzione della rete qaedista. Un vero e proprio mutamento generazionale. La prima generazione qaedista, quella degli attentati di Nairobi e Dar al-Salam degli anni Novanta, quella del nemico esterno e di un centro di comando stabile nelle basi afghane. La seconda generazione entra in campo dopo l’11 settembre, con l’invasione Usa in Afghanistan e Iraq, che scuote la struttura e costringe alla dispersione dei bersagli dai nemici con un fiorire di reti locali decentralizzate e indipendenti tipo AQAP, AQIM e AQI e altre filiazioni di Al Qaeda prima di IS.
La ‘terza generazione’ -analisi LookOut- è quella delle Primavere Arabe che scuotono il fondamento ideologico delle violenza necessaria, alla base della filosofia di Al Qaeda. Dopo di che l’uccisione di Bin Laden assesta il colpo di grazia alla rete globale e al comando centrale. Ma è il progetto di Al Qaeda in Siria a segnare l’avvio della “quarta generazione”, il futuro stesso dell’Organizzazione e la sua momentanea sconfitta rispetto a Isis. Tutto reso possibile dall’implicito consenso occidentale che, come CIA in Afghanistan, ha pensato di poter sfruttare i qaedisti come soci nella lotta ad Assad
L’Al Qaeda che conoscevamo non esiste più. Oggi l’espressione più efficace di jihad è praticata in forme diverse da Isis. E come osserva lo studioso di terrorismo J. M. Berger, la nuova Al Qaeda è sempre radicale, estremista e violenta e fa terrorismo ma ha la sua prima strategia sul campo di battaglia, sempre più simile a un esercito di combattenti in prima linea. Resta ancora traccia dell’ impronta originaria di Al Qaeda cui in qualche modo al-Zawahiri cerca di richiamarsi, ma nel mondo della rivolta jihadista assoluta oggi vince il Califfo. Col rischio di dover rimpiangere il passato.
23 settembre 2014
fonte:http://www.remocontro.it
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