Pronto e crollato. Aveva fatto scalpore, nel periodo delle vacanze natalizie, la vicenda di un’opera stradale inaugurata il 23 dicembre e chiusa per crollo il giorno 30 dello stesso mese. Era accaduto in Sicilia sull’asfalto dei viadotti Scorciavacche (che in siciliano significa «scuoia-vacche») sulla Palermo-Agrigento. La procura di Termini Imerese aprì subito un’inchiesta, mentre l’ANAS fece sapere che avrebbe avviato un’indagine interna e fatto ricorso ad azioni legali nei confronti dell’impresa costruttrice.
Ma il tempo non è stato galantuomo. A
poco più di un mese di distanza, l’opera ha concesso un per nulla
richiesto bis. Come ha fatto sapere l’ANAS: «Nel tratto di strada chiuso
al traffico il 30 dicembre negli ultimi giorni si è sviluppato un nuovo
fenomeno progressivo di deformazione del rilevato d’accesso al viadotto
Scorciavacche 2, sulla variante alla SS 121 Catanese, nell’area
sottoposta a sequestro probatorio dalla Procura di Termini Imerese».
Sempre l’ANAS ha spiegato che «il fenomeno, che ha provocato il
cedimento del piano viabile a una distanza di circa 150 metri dal
viadotto Scorciavacche, in direzione Palermo, è da attribuire alle
stesse cause che hanno determinato il precedente dissesto, che ha a sua
volta contribuito a ingenerare il nuovo evento».
L’accaduto si fa beffe di molti personaggi illustri. A partire dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che lo scorso dicembre aveva commentato la notizia (rigorosamente sui social network)
assicurando che fosse «finito il tempo degli errori che non hanno mai
un padre». A quanto pare, mentre si cercano i padri, le madri degli
errori continuano a farsi ingravidare e a partorire. Ma il nuovo crollo
si prende gioco anche del presidente dell’ANAS Pietro Ciucci,
che il giorno dell’inaugurazione dell’opera aveva sottolineato con
orgoglio l’apertura in anticipo di tre mesi del tratto, aggiungendo che
quello aperto era «uno dei più impegnativi dal punto di vista della
realizzazione». Anche con lui il tempo non è stato galantuomo.
L’ANAS ha fatto sapere che, non appena
l’area sarà dissequestrata, «il contraente generale dovrà ripristinare
l’intero rilevato, con costi dell’intervento interamente a suo carico», e
che «sulla base delle responsabilità, così come saranno accertate anche
dalle commissioni d’esperti nominate da ANAS e Ministero delle
Infrastrutture, saranno avviate le azioni legali per il recupero del
danno subito, compreso quello d’immagine». Ironia a parte, non possiamo
che augurarci che a queste parole seguano i fatti, poiché il costo del
tratto interessato al duplice crollo ammonterebbe a circa 13 milioni
d’euro. Ma soprattutto perché rientra in un piano d’opere più ampio
iniziato a giugno 2013 e che dovrebbe concludersi entro il 2016, per un
costo totale di quasi 300 milioni d’euro.
Sarebbe facile ergere il viadotto
Scorciavacche a simbolo di un’Italia che crolla sotto il peso dei propri
paradossi e delle proprie inefficienze. Sarebbe scontato, banale e
forse anche inutile. Di fronte a vicende come queste, è facile che
l’opinione pubblica si scandalizzi e faccia sentire la propria voce. È
più difficile che avvenga per situazioni altrettanto scandalose ma meno
appariscenti di un viadotto consegnato e crollato due volte in poco più
di un mese.
Poche settimane addietro, è stato presentato il ventisettesimo Rapporto Italia dell’Eurispes,
che ha dipinto uno Stivale decisamente a tinte fosche, zavorrato dalla
mancanza di crescita economica e dal peso della disoccupazione (in
particolar modo giovanile). E mentre la crisi continua a mordere — ha
spiegato il presidente d’Eurispes Gian Maria Fara nel corso della presentazione del Rapporto — «lo Stato
sopravvive nutrendosi dei propri cittadini e delle proprie imprese,
cioè della società che lo esprime. Con evidente miopia: che cosa accadrà
quando non ci sarà più nulla di cui nutrirsi?». Di fronte a questa
situazione, ad esempio, è molto più difficile che l’opinione pubblica si
scandalizzi, perché dietro al «nutrimento dello Stato» c’è la retorica
delle buone intenzioni e un groviglio d’interessi particolari difficile
da sciogliere.
«Mentre l’economia va a rotoli e la
società vive un pericoloso processo di disarticolazione», ha aggiunto il
presidente d’Eurispes, «assistiamo al trionfo di un apparato
burocratico onnipotente e pervasivo, in grado di controllare ogni
momento e ogni passaggio della nostra vita. Con l’incredibile incremento
della produzione legislativa necessaria a regolare la nuova complessità
sociale ed economica, la burocrazia da esecutore si è
trasformata prima in attore, poi in protagonista, poi ancora in casta e,
infine, in vero e proprio potere al pari, se non al di sopra, di quello
politico, economico, giudiziario, legislativo, esecutivo,
dell’informazione».
La vera battaglia è spiegare che il grande scandalo dell’Italia è l’organizzazione inefficiente della vita socioeconomica attuata dalla burocrazia e dalla politica.
Una battaglia tutt’altro che semplice da vincere, perché, sebbene un
po’ tutti a parole si lamentino dell’invadenza e insensatezza degli
apparati pubblici, poi è difficile passare dalle parole ai fatti. Vuoi
perché si ha la compagna, il fratello, lo zio o l’amico che lavorano
all’interno di quei totem che andrebbero abbattuti. Vuoi perché una
certa retorica populista impedisce d’intervenire con decisione su alcuni
settori (pubblica istruzione, sistema pensionistico) che hanno
dimostrato di non riuscire a raggiungere gli obiettivi che ne stanno
alla base, e che scaricano il peso del loro fallimento sui più deboli
(perlopiù i giovani).
La sfida è portare l’opinione pubblica a
scandalizzarsi di fronte al continuo e costoso cedimento della macchina
politico-burocratica. Una volta vinta quella sfida, avremo molte meno
Scorciavacche di cui parlare e indignarci. Perché, e sarebbe bene farlo
sapere a Renzi, i «padri» del tempo degli errori si trovano quasi tutti
tra i politici e tra i burocrati. O al più tra i loro amici.
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