Gentile Ministro Alfano,
mi permetto di scriverle dopo avere letto della sua riunione
con i rappresentanti delle varie Comunità e Associazioni islamiche
presenti in Italia lo scorso 23 febbraio. Nel comunicato pubblicato dal
Ministero si legge che i «presenti hanno accolto con interesse e
convinzione le parole del ministro Alfano, concordando sull’importanza
di collaborare contro le manifestazioni della violenza estremista e
condannando con fermezza i recenti episodi che li colpiscono ‘sia come
persone che come religiosi’». Condivido le preoccupazioni sul momento
attuale e sulla necessità di arginare e prevenire la radicalizzazione,
così come condivido l’importanza di avviare un progetto di
anti-radicalizzazione. Ma qui mi fermo.
In quanto membro del defunto Comitato per l’islam italiano,
istituito dal suo predecessore Roberto Maroni e magistralmente
coordinato dal sottosegretario Alfredo Mantovano, in quanto ricercatrice
e traduttrice che da più di trent’anni si occupa di mondo islamico, ma
soprattutto in quanto persona che quotidianamente si interfaccia con
giovani musulmani nelle scuole italiane, le chiedo di fermarsi un
istante a riflettere.
Lei parla di un progetto di «anti-radicalizzazione sul web,
che si articoli in una sorta di contro-retorica attraverso la
testimonianza di leaders rappresentanti del mondo islamico italiano».
Due prime osservazioni. Prima osservazione: è vero
che l’ISIS vive di web, è vero che siamo nell’era digitale, ma è
altrettanto vero che se vogliamo essere sicuri di incontrare i giovani
musulmani l’unico luogo valido e sicuro è la scuola, se vogliamo essere
sicuri di coinvolgerli dobbiamo guardarli negli occhi, dialogare e
trascorrere tempo con loro. Affidarsi al web significa disumanizzare il
progetto, proprio come l’ISIS disumanizza i propri lettori.
I giovani musulmani – che in primo luogo sono cittadini di pari livello e dignità – navigano nella rete, sono su Facebook, che a tutti i ragazzi tende trappole dalle più banali a quelle più tragiche che ben conosciamo. Tuttavia se l’Italia vuole davvero impegnarsi per garantire a tutti i nostri giovani – musulmani e non – un futuro migliore non può limitarsi al web. Convincere un adolescente non è facile e non sarà certo la testimonianza calata dall’alto di un “leader” islamico a fargli cambiare idea.
E qui veniamo alla seconda osservazione: chi sono i «leaders rappresentanti del mondo islamico italiano»? Forse le persone che lei ha invitato al Ministero ovvero l’italianissima Coreis, l’UCOII – la cui presenza è stata definita nel comunicato della Coreis “ridondante” – , la Moschea di Roma e donne rigorosamente velate? Siamo sicuri che i musulmani che vivono in Italia si sentano rappresentati da questi “leaders”, siamo sicuri che i giovani musulmani che frequentano le nostre scuole siano pronti a ricevere lezioni da queste persone attraverso il web?
Qualche giorno fa una giovane musulmana – velata – mi ha detto: «Io sono una musulmana e non ho bisogno di qualcuno che mi rappresenti e non rappresento nessuno, perché chi vive in pace con se stesso e pratica la propria religione in pace non va a cercare mezzi pubblicitari o video per farsi notare».
Le semplici parole di una studentessa di una scuola italiana corrispondono appieno a quanto espresso, in modo più elaborato, nel 2006 dal filosofo francese di origine algerina Abdennour Bidar: «Dobbiamo infine comprendere che l’idea di ‘comunità islamica europea’ è un concetto sociologicamente vuoto: se i politici cercano degli interlocutori musulmani, se i sociologi e i giornalisti vogliono condurre un’inchiesta sul terreno, che la smettano di volere trovare una pseudocomunità, raggruppata in disparte e che vive seguendo strani costumi, una tribù con a capo dei ‘califfi-rappresentanti’… Niente, oggi in Europa, assomiglia meno a un musulmano che un altro musulmano… costoro non tengono all’islam non tanto per la fede e la preghiera quanto per un’etica, per le usanze… Non esiste più un musulmano tipo; siamo tutti diventati atipici». Bidar aggiungeva: «Nell’islam d’Europa così come nella società moderna nella sua totalità, l’esistenza precede l’essenza, in altre parole è l’uomo che fa l’islam e non l’islam che fa l’uomo. Non esiste un islam prestabilito che detta a tutti come devono vivere e pensare, ma degli individui – ciascuno con la sua anima e coscienza – che cercano di trovare il rapporto con l’islam che loro si confà, e fanno sbocciare “degli islam”, dei “modi di essere musulmano”, “dei modi molteplici di attaccamento alla cultura islamica”».
I giovani musulmani – che in primo luogo sono cittadini di pari livello e dignità – navigano nella rete, sono su Facebook, che a tutti i ragazzi tende trappole dalle più banali a quelle più tragiche che ben conosciamo. Tuttavia se l’Italia vuole davvero impegnarsi per garantire a tutti i nostri giovani – musulmani e non – un futuro migliore non può limitarsi al web. Convincere un adolescente non è facile e non sarà certo la testimonianza calata dall’alto di un “leader” islamico a fargli cambiare idea.
E qui veniamo alla seconda osservazione: chi sono i «leaders rappresentanti del mondo islamico italiano»? Forse le persone che lei ha invitato al Ministero ovvero l’italianissima Coreis, l’UCOII – la cui presenza è stata definita nel comunicato della Coreis “ridondante” – , la Moschea di Roma e donne rigorosamente velate? Siamo sicuri che i musulmani che vivono in Italia si sentano rappresentati da questi “leaders”, siamo sicuri che i giovani musulmani che frequentano le nostre scuole siano pronti a ricevere lezioni da queste persone attraverso il web?
Qualche giorno fa una giovane musulmana – velata – mi ha detto: «Io sono una musulmana e non ho bisogno di qualcuno che mi rappresenti e non rappresento nessuno, perché chi vive in pace con se stesso e pratica la propria religione in pace non va a cercare mezzi pubblicitari o video per farsi notare».
Le semplici parole di una studentessa di una scuola italiana corrispondono appieno a quanto espresso, in modo più elaborato, nel 2006 dal filosofo francese di origine algerina Abdennour Bidar: «Dobbiamo infine comprendere che l’idea di ‘comunità islamica europea’ è un concetto sociologicamente vuoto: se i politici cercano degli interlocutori musulmani, se i sociologi e i giornalisti vogliono condurre un’inchiesta sul terreno, che la smettano di volere trovare una pseudocomunità, raggruppata in disparte e che vive seguendo strani costumi, una tribù con a capo dei ‘califfi-rappresentanti’… Niente, oggi in Europa, assomiglia meno a un musulmano che un altro musulmano… costoro non tengono all’islam non tanto per la fede e la preghiera quanto per un’etica, per le usanze… Non esiste più un musulmano tipo; siamo tutti diventati atipici». Bidar aggiungeva: «Nell’islam d’Europa così come nella società moderna nella sua totalità, l’esistenza precede l’essenza, in altre parole è l’uomo che fa l’islam e non l’islam che fa l’uomo. Non esiste un islam prestabilito che detta a tutti come devono vivere e pensare, ma degli individui – ciascuno con la sua anima e coscienza – che cercano di trovare il rapporto con l’islam che loro si confà, e fanno sbocciare “degli islam”, dei “modi di essere musulmano”, “dei modi molteplici di attaccamento alla cultura islamica”».
Gentile Ministro,
i musulmani non sono un’entità astratta, sono delle
persone che vivono accanto a noi, a scuola e più in generale nella vita.
La invito a un’ulteriore riflessione. Certamente lei ha a disposizione
tutti i dati riguardanti la provenienza dei musulmani che vivono o che
arrivano nel nostro paese. Ebbene, le domando: secondo lei al tavolo che
lei ha riunito a sé erano rappresentate tutte le anime nazionali,
linguistiche e culturali dell’islam italiano? Dove erano i pakistani, i
tunisini, gli egiziani, dove erano le donne musulmane che si sentono
tali pur non indossando il velo, dove erano i laici? Sì, i laici perché
non è vero che tutti coloro che provengono da paesi a maggioranza
musulmana sono automaticamente dei musulmani praticanti.
Dialogare solo con le “comunità” è di per sé discriminante
perché esclude chiunque non sia membro delle associazioni che si
definiscono “comunità islamica”. Non solo, dialogare con certe
“comunità” potrebbe corrispondere ad avere come referente chi distingue
tra terrorismo e resistenza, chi propugna un islam politico e non un
islam del cuore e dell’individuo.
Sono perfettamente consapevole del fatto che
relazionarsi con il mondo islamico sia difficile laddove non esiste
un’autorità, laddove non esistono sacerdoti, laddove la rappresentanza è
sempre relativa. Il Comitato per l’islam italiano aveva cercato di
ricostruire la pluralità dell’islam nel nostro paese e aveva elaborato
pareri che purtroppo sono rimasti sulla carta.
Ci troviamo a vivere un momento delicato, molto
delicato e se non vogliamo cadere nelle trappole degli stereotipi
dobbiamo promuovere la pluralità dei musulmani, a partire dalle seconde
generazioni che frequentano le nostre scuole. L’Italia - a differenza
della Francia, della Germania e della Gran Bretagna - è ancora in tempo.
Mi rivolgo a Lei, al Ministro dell’Istruzione Giannini e al Presidente del Consiglio Renzi,
avviate progetti nelle scuole italiane, ascoltate gli insegnanti e i
professori, ascoltate soprattutto i ragazzi e saranno loro a essere i
vostri primi alleati nell’anti-radicalizzazione, saranno loro ad aprirvi
gli occhi, a darvi suggerimenti, a confidarsi con voi. Se riuscirete a
conquistare i giovani musulmani – quelli veri non le associazioni che
dicono di parlare in nome loro – avrete conquistato la loro fiducia e
non vi tradiranno mai.
Vi invito a ricordare le parole di don Luigi Giussani nel suo mirabile saggio Il Rischio educativo:
«Il tema principale, per noi, in tutti i nostri discorsi, è
l’educazione: come educarci, in che cosa consiste e come si svolge
l’educazione, un’educazione che sia vera, cioè corrispondente all’umano,
dell’originale che è in noi, che in ognuno si flette in modo diverso».
Ricordate che il primo insegnamento che viene impartito a chi si
avvicina all’estremismo islamico è il seguente: «Pensare è illecito».
Ebbene i giovani musulmani non devono prendere lezioni da presunti
leaders, devono riscoprire il loro passato fatto di arte e letteratura,
devono diventare protagonisti, devono essere considerati italiani
musulmani e non musulmani italiani.
Il futuro è nelle nostre mani, ma soprattutto nelle mani dei giovani
– musulmani e non – che a scuola possono trovare un mondo che li
accolga e non li escluda e che li sappia aiutare a crescere e a non
essere vittime dell’estremismo islamico, da quello apparentemente
moderato a quello jihadista. Giovani che nelle istituzioni potrebbero e
vorrebbero trovare un alleato vero e non un alleato di chi rappresenta
solo se stesso e non l’islam, tantomeno i musulmani italiani.
CordialmenteValentina Colombo - 1marzo 2015
Ricercatrice di Storia dei paesi islamiciUniversità Europea di Roma
fonte: http://www.lanuovabq.it
Nessun commento:
Posta un commento