Se la giustizia dorme l'economia corre. La crescita indiana ormai minaccia addirittura il primato cinese
L’India non è solo l’assurdo dei due Marò in attesa di capo di
imputazione da tre anni. Marsonet, da studioso, ci ricorda che l’India è
la seconda nazione più popolosa al mondo dopo la Cina, è potenza
nucleare, terzo Paese al mondo per popolazione musulmana pervasa assieme
da nazionalismo indù.
Quando nel nostro Paese si parla di India a tutti vengono in
mente i due marò del San Marco, prigionieri nella grande nazione
asiatica da più di tre anni (anche se Massimiliano Latorre è rientrato
per curarsi dall’ischemia che lo aveva colto). Il caso ha suscitato
scalpore pure a livello internazionale, ma l’intervento dell’Unione
Europea è stato – almeno finora – del tutto inefficace.
Le autorità governative di New Delhi hanno sempre rifiutato di
attribuire alla vicenda una colorazione, per così dire, “politica”,
ribadendo più volte che se ne sta occupando la magistratura locale senza
alcuna interferenza esterna.
Il problema è che i tempi dei giudici indiani paiono essere biblici,
al punto che i nostri – non certo noti per la loro rapidità nello
sbrigare le cause – al confronto paiono dei fulmini di guerra. Tuttavia
alleggia da tempo il sospetto (per molti una certezza) che quello
giuridico sia soltanto un paravento, dietro il quale si celano ben altre
motivazioni.
Quali siano – o possano essere – è presto detto. L’India, un vero e
proprio subcontinente e seconda nazione più popolosa al mondo dopo la
Cina, è diventata a tutti gli effetti una grande potenza. Fa parte del
gruppo dei Brics dove ha un ruolo di rilievo, e la sua crescita
economica ha conosciuto ritmi prima inimmaginabili, tanto che l’aumento
costante del PIL minaccia ormai il primato cinese.
E’ pure una potenza atomica che spende somme rilevanti per le forze
armate, e viene corteggiata da più parti per attirarla in questa o
quella sfera d’influenza. Regge ancora il rapporto privilegiato con la
Russia in funzione anti-cinese, ma negli ultimi tempi Pechino e New
Delhi parlano sempre più spesso, coscienti che a entrambi giova
migliorare le relazioni bilaterali.
L’ascesa al governo di Narendra Modi, capo di un Partito del Popolo
assai nazionalista, ha incrementato ancor più gli atteggiamenti da
grande potenza e, soprattutto, l’esaltazione dell’identità culturale
indù, che il Partito del Congresso di Sonia Gandhi cercava invece di
frenare. Non si dimentichi, tra l’altro, che l’Unione Indiana è il terzo
Paese al mondo per consistenza della popolazione musulmana, dopo
Indonesia e Pakistan.
Recentemente il celebre economista e filosofo indiano Amartya Sen,
premio Nobel per l’economia nel 1998, ha denunciato il crescente
nazionalismo nel suo Paese dimettendosi dalla carica di “chancellor”
della Nalanda University. Sen ha fatto capire chiaramente che l’attuale
governo di New Delhi non vede di buon occhio l’influenza di culture
“straniere” in ambito accademico (e non solo).
La suddetta esaltazione del fattore identitario è destinata a pesare
parecchio sul futuro indiano. E mette pure conto notare che, spesso in
contrapposizione evidente con la diffusione del fondamentalismo
islamico, non è neppure un caso isolato. I cinesi stanno tornando alle
radici della loro cultura rivalutando in particolare, e in grande stile,
la filosofia confuciana. Nelle nazioni in cui prevale il buddhismo,
cultura e filosofia che dovrebbero per definizione essere pacifiche, il
rafforzamento dell’identità locale ha condotto a campagne costellate da
episodi di violenza, per esempio in Birmania (o Myanmar che dir si
voglia) e in Thailandia.
Nel contesto indiano alcuni settori del partito nazionalista di Modi
non si son fatti scrupolo di tessere le lodi del fanatico indù che nel
1948 assassinò il Mahatma Gandhi colpevole, secondo la fazione radicale
cui apparteneva il killer, di favorire troppo il dialogo con i
musulmani.
I marò si sono quindi trovati in due situazioni diverse. In un primo
tempo la leadership dell’italiana Sonia Gandhi, vedova di Rajiv, destava
il sospetto di favoritismi nei confronti dei nostri militari. Il
successivo avvento di Modi ha fatto sì che il vento del nazionalismo
soffiasse sempre più forte, con l’evidente intento di dimostrare al
mondo che l’India non si fa intimidire da nessuno. Latorre e Girone
scontano ancora la leggerezza con cui il governo italiano di allora
gestì il caso.
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