Sarebbero oltre 12 mila i 'foreign fighters' arruolati dal Califfato. Buona parte di loro vengono dall’Europa
‘Rehab’, ‘ da ‘rehabilitation’. Come l’Europa -ad esempio-
prova a rieducare i jihadisti che le sono cresciuti in casa. In
Germania, Olanda, Inghilterra. L’Italia e i suoi 48 ‘Foreing fighters’,
combattenti stranieri arruolati da predicatori balcanici che avevamo in
casa o attraverso internet
L’inizio della storia. «’Mamma, io parto’. Tre parole e di
Ahmed non si sono più avute notizie. 19 anni, nato e cresciuto in
Germania, genitori di origini egiziane, padre operaio e madre casalinga,
entrambi musulmani. Ma non integralisti. Prima Ahmed si è fatto
crescere la barba, si è sposato con una ragazza musulmana. Poi ha smesso
di bere alcool, non ha più voluto festeggiare il Natale e ha iniziato a
insultare la sorella per le gonne troppo corte e il trucco pesante.
Fino a un momento prima giocava alla Playstation e chattava su Facebook.
Il giorno dopo era in Siria in un battaglione Isis».Il racconto efficace di Marta Serafini sul Corriere della Sera. Come Ahmed, in Germania sarebbero 300 i giovani che sono partiti. Ma anche dall’Italia, Francia, Danimarca, Olanda. E nessuno si salva. Secondo il New York Times sono oltre 12 mila i ‘foreign fighters’ arruolati all’ombra della bandiera nera del Califfato. Buona parte vengono dall’Europa. Giovanissimi, ormai occidentalizzati, nella maggior parte dei casi non parlano nemmeno l’arabo. «Il diavolo non conosce frontiere», ha tuonato il segretario di Stato Usa poche ore dopo che Obama aveva dichiarato guerra a Isis, «ovunque sia».
Guerra anche in casa. Attività di intelligence e di polizia, oltre a ‘prevenzione e deradicalizzazione’. Rehab, riabilitazione. Cercare di impedire che i giovani cadano nella rete dei reclutatori. E, se sono già partiti, che tornino a casa e riprendano a condurre una vita normale. Spinta decisiva dalle figure femminili della famiglia. Spesso con giovani che già sono partiti per la guerra santa. Quindi solo conversazioni via mail e via Skype con i familiari. Primi contatti molto difficili: chi è casa viene accusato di essere un traditore, non capire, avere le mani sporche del sangue dei fratelli musulmani.
Alla periferia di Berlino lavora Daniel Köhler. Dopo aver studiato i movimenti estremisti, aveva un contratto da consulente per combattere il neonazismo. Poi, nel 2011 è passato ad occuparsi di gruppi radicali islamici. Tre le tipologie di casi affrontati: chi vuole partire, chi è già partito e chi è tornato. Ancora Marta Serafini: «Negli ultimi quattro anni, Daniel Köhler, grazie a una squadra di 20 persone, ha trattato più di 100 casi, di cui 60 sono andati a buon fine. Ma nessuna ragazza è tornata indietro, solo maschi. Certo è difficile parlare di casi di successo soprattutto con chi è partito».
In Germania sono oltre 4 milioni i musulmani. Secondo le stime dell’intelligence sono oltre 300 i cittadini tedeschi che sono andati a combattere tra le file di Isis in Siria. È dopo gli attentati di Londra e l’omicidio di Theo Van Gogh in Olanda che nel Vecchio Continente si comprende definitivamente come il jihadismo sia una minaccia interna. A mettere le bombe e a uccidere sono i terroristi ‘homegrown’, nati e cresciuti in casa, che non sono arrivati a bordo di un gommone. Così in Olanda e Gran Bretagna verso il 2004 prendono piede i primi programmi di prevenzione.
«L’Italia e Roma sono nel mirino di Isis», ha dichiarato Alfano la settimana scorsa alla Camera. E ogni giorno storie di giovani, anche italiani, che hanno deciso di arruolarsi nella guerra santa. 48 i casi denunciati di cittadini del nostro Paese che hanno varcato i confini di Siria e Iraq per andare a combattere. Tra questi c’era il 24enne ligure Giuliano Del Nevo ucciso in Siria. La jihad è arrivata alle porte di Roma con i reclutatori bosniaci che agivano nel Nord Est e non lontano dai nostri confini. Nonostante ciò, di programmi di “deradicalizzazione” in Italia non esiste traccia o solo idea.
15 settembre 2014
fonte: http://www.remocontro.it
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