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Oggidì
il fascismo (ammesso che l’onorevole Giorgia Meloni sia fascista o
fascistottarda piuttosto che cripto o tarda finiana) non è un serio,
incombente pericolo.
Qualificati politologi sostengono, concordemente, che non è
necessario rammentare che al presente sono sconosciute e per la
maggioranza degli italiani perfino incomprensibili le circostanze
storiche, le idee e gli stati d’animo, che, nel primo dopoguerra, hanno
suscitato e in qualche modo incoraggiato e giustificato la vincente
azione del partito di Benito Mussolini.
A cauti passi – tuttavia – gli storici, che hanno considerato e
meditato seriamente i fatti propriamente detti, avviano una puntuale
revisione della storia del Novecento italiano, proponendo un
abbassamento delle unidirezionali sentenze sulla guerra civile.
Il fascismo appartiene interamente al passato dunque l’antifascismo
oggidì ha tanta attualità quanta ne potrebbe vantare l’azione di un
partito ghibellino, governato (regnante in Vaticano un improbabile
guelfo) dalla germanica cancelliera Angela Merkel.
Robustissima e mutante (trans politica) la domina teutonica
(ex comunista), che (pur avendone i requisiti fisici e mentali) non fa
ridere l’ammansito e addomesticato popolo tedesco.
E’ pertanto lecito sostenere che sarebbe utile considerare i
cambiamenti avvenuti nella scena filosofica postmoderna, dunque
preservare la politologia dalle ottenebranti e depistanti suggestioni
dell’anacronismo, ossia dalla tentazione di usare, quali parametri
dell’attualità spensante intorno alle salme delle ideologie, pensieri e
fatti inattuali, in ultima analisi appartenenti a un passato, che è –
per obbligante e categorica definizione – irrevocabile.
La ventennale storia del fascismo infine appartiene all’irripetibile passato e come tale andrebbe letta sine ira et studio. Di qui l’esigenza di uscire da una lettura polemica e irosa di fatti storici, che la scolastica, generata dal progressismo retroattivo,consegna e affida al partito dei passatisti militanti (a sinistra e al centro liberale).
La storia del ventennio fascista deve pertanto incominciare
dall’espulsione della pretesa – strutturalmente irrazionale – di
trascinare nel presente idee e fatti appartenenti al passato. Si pensi
alla polemica antifascista che, sotto l’impulso dell’irrealtà, ha
proiettato nel passato – facendone quasi il temibile e agguerrito erede
del duce di Predappio – una foglia al vento quale è stato il
politicamente (auto)emarginato Gianfranco Fini.
Dopo le indispensabili messe a punto è forse possibile
proporre una lettura storica e non più politica del ventennio di
Mussolini, delle sue felici imprese, dei suoi gravi errori e della sua
tragica fine.
Non si può negare seriamente che Mussolini riuscì nell’impresa di
trasformare l’Italietta dei liberali in una nazione capace di condurre
splendide imprese: la pacificazione nazionale, il concordato con la
Chiesa cattolica (non è certo per un caso che la giovane classe
dirigente democristiana – Moro e Fanfani, ad esempio – ebbe un passato
in camicia nera), la gigantesca impresa della bonifica pontina,
l’attivazione di un sistema sociale (che il regime degli antifascisti
non ha osato debilitare, prima che su di esso precipitasse, dall’estero,
la sciagura del neoliberalismo), il rinnovamento della scuola e la sua
apertura alle c.d. classi subalterne, l’attivazione di una grandiosa
campagna contro le malattie sociali, la civilizzazione della Libia
(sulla cui memoria i libici – se potessero conoscere la storia –
dovrebbero manifestare le ragioni del loro rimpianto), l’avveniristica
progettazione e costruzione di autostrade, e infine la proiezione del
mondo di una splendida immagine dell’Italia.
Errori capitali e imperdonabili furono la promulgazione delle leggi
razziali, l’abolizione del sistema elettorale (da cui il fascismo
avrebbe ottenuto strepitosi consensi) e l’alleanza con i parenti serpenti di Germania, una decisione contraria per diametrum, ai
giudizi beffardi e devastanti, che Mussolini aveva espresso su Adolf
Hitler, sul suo partito e sul suo popolo (lo ha rammentato, sviluppando
un tema di Renzo De Felice, Fabio Andriola autore di un fondamentale
saggio su Mussolini nemico di Hitler (Piemme, Milano 1997) puntualmente censurato dai severi vigilanti progressisti.
Mussolini era perfettamente consapevole dell’oscurità incombente sul
partito nazionalsocialista, cui si avvicinò spinto dalla cieca
avversione delle cancellerie di Francia e Germania e dalla impellente
necessità di importare le materie prime indispensabili all’industria
italiana.
Ad attenuazione del fatale, imperdonabile errore commesso da Mussolini alleato della Germania di Hitler, è doveroso rammentare l’ostilità delle democrazie massoniche e anti italiane, che nell’inseguimento corsaro dell’odio (antifascista e anti italiano) superarono (in larga misura) l’Unione Sovietica.
Al seguito dello storico (antifascista ma onesto e veridico) Renzo De
Felice, è ora necessario uscire dalla sentenza settaria che, nel
fascismo, contempla esclusivamente una malattia morale. Il futuro della
storiografia proporrà il ristabilimento della verità che – nel
concordato con la Santa Sede – manifesta la dura negazione fascista
della mefitica cultura dei lumi e l’implacabile avversione alla sozza e
criminosa cialtroneria degli iniziati ai misteri dei muratori.
Negazioni che – in un futuro disintossicato dagli ambidestri pregiudizi
settari – dovranno bilanciare gli errori del regime fascista ed essere
iscritte nella colonna dei meriti di Benito Mussolini.
di di Piero Vassallo - 4 ottobre 2017
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