Matteo Salvini ha scritto, a Napoli, una pagina di storia. Lo
ha fatto anche grazie all’aiuto del sindaco Lugi De Magistris, la cui
rozzezza istituzionale ha fatto da cassa di risonanza all’iniziativa del
leader leghista. Non v’è dubbio che la sfida della Mostra d’Oltremare
avesse, nelle intenzioni del proponente, molte valenze. Esterne e
interne al suo partito.
A Napoli è stata segnata una tappa decisiva del riposizionamento
strategico avviato da Salvini già all’indomani della sua elezione a
segretario della Lega. Il processo di riconversione dell’orizzonte
politico leghista da movimento di rivendicazione localista a partito
sovranista di respiro nazionale costituisce la fase propedeutica a una
possibile candidatura alla premiership. Salvini sa bene che non si può
ambire alla guida del Paese se non si è in grado di rappresentarne tutte
le aree geografiche, non solo alcune. Non è impresa facile giacché vi è
un vissuto ultradecennale di ostilità della Lega verso il Meridione. È
pur vero che Salvini, in questi anni, ha lavorato di cesello cercando di
tracciare intese sul piano pragmatico della difesa degli interessi
comuni tra comunità del Nord e del Sud, bypassando le classi dirigenti
locali e parlando direttamente ai cittadini. Pescatori, agricoltori,
artigiani vessati dall’Unione europea, piccoli imprenditori massacrati
dagli studi di settore, pensionati e pensionandi vittime della
“Fornero”, persone comuni da tutelare dagli abusi del potere, senza
differenze a tutte le latitudini.
Mancava però, al suo racconto, il tassello centrale, la chiave di
volta della costruzione: l’incontro con Napoli. La città di Partenope
non è, per l’immaginario collettivo, una metropoli qualsiasi: è la
capitale storica e morale di un mondo, di una cultura, che incarna, nel
bene e nel male, l’essenza della civiltà mediterranea. Napoli non è a
sud: è il Sud. Venire a proporsi da protagonista sulla scena napoletana è
stato infrangere un tabù. Ha fatto un certo effetto sentirlo
pronunciare un molto kennediano: “Napoli è casa mia”. Nondimeno, ha
sorpreso la sintonia con la platea di gente accorsa ad ascoltarlo. Una
curiosità da applausometro: dopo l’ovazione riservata al leader,
l’esplosione di entusiasmo più fragorosa si è avuta quando sullo schermo
del palco è apparsa la foto di Marine Le Pen: è venuta giù la sala. Non
v’è dubbio che via sia anche calcolo opportunistico nella scommessa
salviniana. Lo sfaldamento dei partiti tradizionali, a destra e a
sinistra, ha aperto praterie di consenso nell’elettorato napoletano che
non possono essere pascolo del populismo prevaricatore di De Magistris e
dei suoi pretoriani dei centri sociali e men che meno dei grillini.
Di là dalla propaganda i numeri delle elezioni ultime comunali
restituiscono la fotografia di una città delusa che si tiene lontana
dalla politica. Su quella massa di scontenti, sensibile alle tematiche
securitarie, dell’immigrazione incontrollata, delle politiche per la
lotta alla crisi economica e alla povertà, sabato scorso Salvini è
venuto a iscrivere la sua ipoteca. Ma la sfida napoletana guardava anche
ai difficili equilibri in casa leghista. Non tutti nella Lega la
pensano come il “capitano”. C’è Umberto Bossi che è tornato a farsi
vedere per tentare di segare il ramo dal quale Salvini prova a cogliere i
frutti della sua semina. I dissidenti del Carroccio speravano in un
passo falso a Napoli per scatenare una rapida resa dei conti
congressuale. È andata male ai “gufi in verde” perché il “capitano” l’ha
sfangata e ora può guardare con maggiore tranquillità al suo progetto
di allargamento al Sud.
Intanto, oltre l’osso delle solite parole d’ordine, non è mancata la
ciccia politica, concentrata nelle battute finali del suo intervento.
C’è stata un’apertura importante, sebbene criptata nel messaggio, a
Silvio Berlusconi. Il “capitano” prima della standing ovation finale si è
lasciato scappare due cosette non da poco. La prima: fatemi fare il
ministro dell’Interno e vedrete se in sei mesi non rimetto a posto la
situazione. E poi: mi interessa che qualsiasi coalizione di centrodestra
si faccia metta avanti l’impegno a sostenere prima gli italiani, poi di
primarie, secondarie o altro non m’interessa. Tradotto: se non sarà lui
il candidato premier non ne farà un dramma e sulle primarie non intende
rompersi la testa. Se non è apertura di dialogo questa?
di Cristofaro Sola - 14 marzo 2017
fonte: http://www.opinione.it
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