L'ex
direttore Sismi ricostruisce i fatti e replica alla vedova del
dirigente ucciso durante la liberazione della Sgrena in Irak: "Fu lei a
rifiutare il sostegno Usa"
L'ex
direttore Sismi ricostruisce i fatti e replica alla vedova del
dirigente ucciso durante la liberazione della Sgrena in Irak: "Fu lei a
rifiutare il sostegno Usa"
Roma
- «Siamo in tre, siamo in macchina e stiamo rientrando», sono le ultime
parole pronunciate da Nicola Calipari. All'altro capo del telefono c'è
il direttore del Sismi Nicolò Pollari. Giuliana Sgrena è libera.
Ma quel 4 marzo 2005, esattamente dieci anni fa, qualcosa va
storto: la Toyota Corolla che dovrebbe condurre all'aeroporto Calipari,
l'agente Carpani e la giornalista del Manifesto finisce nel mirino del
fuoco alleato. Fuoco americano.
Generale Pollari, la morte di Calipari è rimasta senza colpevole.
«Calipari
è stato un fedele servitore dello Stato che ha sacrificato la propria
vita per il Paese. Quella sera a Bagdad, in un posto di blocco americano
non segnalato, un soldato Usa sparò e Calipari fu colpito a morte. Il
processo ha riconosciuto l'immunità funzionale in capo al militare e
l'assenza di giurisdizione italiana. È la supremazia della legge».
La
commissione d'inchiesta Italia-Usa ha prodotto due relazioni. Secondo
quella italiana l'auto si muoveva a velocità moderata, con i fari accesi
e la luce di cortesia accesa.
«Ho voluto con tutte le
mie forze quella commissione. Esiste un'articolata e documentata
inchiesta guidata dal generale Campregher e dal diplomatico Ragaglini.
In essa sono riportati fatti mai smentiti. Nella relazione americana si
parla di regole d'ingaggio non violate dai soldati americani ma i block
point non hanno regole d'ingaggio. Ciò detto, non convengo su alcuna
tesi complottistica».
Nel libro Il mese più lungo
(Marsilio, 2015) dell'ex direttore del Manifesto Gabriele Polo, la
vedova Rosa Calipari, oggi deputata Pd, parla di una direzione del Sismi
«ambigua che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e
alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola».
«Ho rispetto per lei e per il suo dolore».
Le
due linee sarebbero quella del poliziotto Calipari e del carabiniere
Marco Mancini: il primo a favore della trattativa invisa agli americani;
il secondo favorevole al blitz.
«Il libro tradisce una
scarsissima conoscenza dei fatti. Entrambi erano titolati a occuparsi di
quel dossier essendo Mancini direttore della divisione che si occupa di
controterrorismo, controspionaggio e criminalità organizzata
transnazionale; e Calipari direttore della Ricerca».
A leggere il libro sembra che Calipari fosse l'unico, o il principale, referente del Sismi in Irak.
«In
Irak agivano almeno tre articolazioni del servizio. Ciascuna seguiva
uno o più percorsi operativi. Nel caso della Sgrena vi erano una ventina
di percorsi paralleli. La nostra forza era data dalle reti di
intelligence di cui nessuno era monopolista esclusivo. Si è sempre
rivelato vincente il lavoro d'equipe che ha portato all'arresto e alla
condanna da parte della giustizia irachena dei sequestratori, tra gli
altri, delle “due Simone”, di Florence Aubenas e della Sgrena».
Abbiamo pagato per ciascuna delle rapite italiane?
«Le
modalità di liberazione sono coperte dal segreto di Stato. Deve essere
chiaro però che quella sera nessuno di noi, neanche Calipari, aveva la
certezza di essere a un passo dal rilascio. Quello era uno degli “n”
tentativi messi in campo. Mi permetta di aggiungere che il primo video
della Sgrena fu individuato grazie a una fonte araba che avevo messo in
contatto con Calipari. Il secondo video fu recuperato tramite la rete di
Mancini».
Il libro racconta che, appresa la notizia della morte, lei impedì ai «calipariani» di andare a Bagdad e mandò soltanto Mancini.
«I
“calipariani” non sono mai esistiti. Calipari e Mancini erano amici, io
stesso ho cenato con loro a casa di Mancini e so che i due si vedevano
spesso in un ristorante siciliano della Capitale. Probabilmente erano
competitor professionali. Dopo l'incidente gli americani negavano
l'accesso a chiunque. Mancini riuscì a superare le resistenze, entrò
nell'ospedale militare e fotografò di nascosto il cadavere del collega».
La vedova racconta che Calipari le avrebbe riferito una sua confidenza: «Mancini me lo ha imposto la politica».
«Mancini
era al Sismi dal 1984 ed era una risorsa importante nello scacchiere
mediorientale. Io sono arrivato alla fine del 2001. Al Sismi invece ho
portato Calipari che me ne ha fatto calorosa richiesta dichiarandosi
insoddisfatto della propria posizione nella polizia. L'ho inquadrato
come vicedirettore di divisione e l'ho poi promosso direttore».
Per
bocca della moglie, si apprende che nel caso Abu Omar il marito temeva
che uomini della sua divisione non si fossero limitati a pedinamenti e
rapporti sull'imam egiziano. È la vicenda per la quale lei è stato
assolto dopo dieci anni.
«Ribadisco che io e il Sismi da
me diretto, e quindi tutti gli imputati, siamo estranei alla vicenda. Se
la notizia è vera, siamo in presenza di una notizia di reato da
riferire all'autorità giudiziaria».
C'è stata in questi anni qualche compensazione da parte americana?
«Portai
io stesso l'ambasciatore americano Sembler a casa della signora
Calipari. Lui le offrì ogni forma di sostegno ma la signora rifiutò
mentre accettò, a mia conoscenza, la somma raccolta dal quotidiano
Libero ».
Dicono che lei abbia contribuito alla candidatura di lei nelle liste del Pd.
«Ho curato, nei limiti delle mie possibilità, ogni aspetto di carriera e di impiego relativo a Calipari e ai suoi familiari».
Scarsa riconoscenza?
«Non faccio mai nulla con l'aspettativa della riconoscenza altrui».
Annalisa Chirico - 03/03/2015
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