Com’era logico attendersi, i dissapori fra Atene e l’Unione Europea non
hanno tardato ad esplodere, e ciò rientra all’interno di un ben
prevedibile copione. Chiedere a Tsipras di rinunciare al proprio
programma di governo e alle proprie promesse elettorali, infatti,
equivale a chiedergli di suicirdarsi politicamente e di fallire,
riconsegnando così la Grecia a quella precedente classe politica che è
stata responsabile della sua devastazione. Non ci si può quindi
meravigliare del fatto che Tsipras e Varoufakis rispondano picche a tali
richieste, cercando i propri referenti altrove, come d’altronde già
hanno fatto prima di loro i governi di Slovacchia, Ungheria e Cipro,
andati a bussare alle porte del Cremlino. Si conferma, in questo modo,
una tendenza inauguratasi ormai già da qualche anno e che pare
rafforzarsi ormai sempre di più: indubbiamente il grande salto di
qualità essa lo conoscerà con la più che probabile vittoria, alle
prossime presidenziali, di Marine Le Pen. A quel punto un paese
fondatore della Comunità Europea, come la Francia, s’avvicinerà
marcatamente alla Russia, e ciò scompaginerà equilibri consolidati e
finora ritenuti intoccabili non soltanto nell’Est dell’Unione, ma anche
nell’Ovest.
Sarà interessante, allora, valutare quali saranno le conseguenze anche
sugli altri Stati dell’Unione. Premesso che la vittoria della Le Pen non
dev’essere considerata come matematicamente certa, dal momento che
potrebbe anche non avvenire (ed in Francia, infatti, stanno lavorando in
tutti i modi per scongiurarla), rimane comunque il fatto che gli
equilibri e l’indirizzo “atlantista” della famiglia europea vengano
ormai, di giorno in giorno, sempre più logorati e messi in discussione
da nuove e da vecchie logiche geopolitiche. Ciò fa pensare che la
strategia statunitense di separare l’Europa dalla Russia sia
difficilmente destinata ad avere successo. Il Trattato di Libero
Commercio fra le due sponde dell’Atlantico, per esempio, ha incontrato
più di un imprevisto nella sua applicazione, con nuovi ed inattesi
contrasti sorti in sede di trattativa, e qualora altri paesi europei
dovessero prendere posizione a favore della Russia difficilmente esso
potrebbe trionfare come previsto. La politica delle sanzioni contro
Mosca, dopo un avvio in quarta, ha visto un affievolimento causato dal
ripensamento di vari Stati europei, che sotto la pressione dei loro
settori economici interni ora stanno premendo per un suo addolcimento se
non addirittura per una sua revoca. Infine, l’idea di un indurimento
del conflitto in Ucraina, con un maggior coinvolgimento della NATO e la
fornitura di più armi all’esercito e alla Guardia Nazionale ucraina, pur
trovando la calda adesione dei membri più recenti dell’Alleanza
Atlantica, ovvero di quelli dell’area baltica e balcanica, suscita
invece le perplessità per non dire i timori di quelli più storici, tra
cui anche il nostro paese.
A Washington sono consapevoli che con un’Europa così divisa solo parte
delle loro strategie potranno essere coronate dal successo. Beninteso,
un’Europa divisa non è del tutto una iattura per gli Stati Uniti.
Frenare il processo di consolidamento dell’Unione Europea è sempre stato
uno dei compiti a cui la diplomazia statunitense ha dedicato una
significativa parte dei propri sforzi, in base all’assunto del “divide
et impera”. Ma rimane il fatto che, in questo momento, a Washington
sarebbe servita un’Europa più coesa, anche perché le sue divisioni
interne si ripercuotono pure sull’Alleanza Atlantica, intralciandone il
funzionamento proprio nel momento in cui la crisi ucraina sta sfuggendo
completamente di mano e all’orizzonte già s’intravede l’onta della
sconfitta.
Se, come abbiamo già detto, in un simile contesto all’Eliseo dovesse
insediarsi una Marine Le Pen, a quel punto il disastro sarebbe completo e
l’Europa, per gli Stati Uniti, sarebbe ormai irrecuperabile. Dobbiamo
considerare un semplice fatto: gli Stati Uniti hanno perso, negli anni,
influenza su aree decisive del mondo. Hanno perso, per esempio, il
“cortile di casa” latinoamericano, dove si sono affacciati governi
socialisti che hanno energicamente rivendicato la propria sovranità, e
sono stati brutalmente respinti da mezzo Medio Oriente dopo il
fallimento delle “primavere arabe”, a partire dall’Egitto, anche quello
ormai avvicinatosi alla Cina e alla Russia. Infine, i loro progetti di
“pivot to Asia”, ovvero d’accerchiamento della Cina, e di Trattato di
Libero Commercio con le nazioni asiatiche finalizzato ad escludere
Pechino, si sono arenati mentre anche l’India ha rifiutato le profferte
di Washington preferendo mantenere ed addirittura rafforzare un solido
legame col resto dei BRICS. A questo punto, se gli Stati Uniti perdono
anche l’Europa, non possono più considerarsi una superpotenza, perlomeno
non in termini paragonabili al passato. Si segnerebbe il definitivo
passaggio dal mondo unipolare a quello multipolare.
Una prospettiva alla quale né i leader di Washington né quelli della vecchia Europa sono preparati.
Filippo Bovo
Fonte:http://www.statopotenza.eu/18748/se-gli-stati-uniti-perdono-leuropa
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