Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano
ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di
massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del
mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte
alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani
attribuito al regime di Damasco nell’area di Douma, ultima roccaforte
delle milizie jihadiste filo saudite di Jaysh al-Islam nei sobborghi di
Damasco.
Innanzitutto perchè già in passato attacchi simili sono stati
attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete mentre
notizie e immagini diffuse oggi dai “media center” di Douma come ieri da
quelli di Idlib, Aleppo e altre località in mano ai ribelli sono
evidentemente propagandistiche e palesemente costruite.
Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del
2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie
jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili
per l’assenza di osservatori neutrali.
Notizie e immagini di attacchi chimici vengono subito diffuse dalle
tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei
ribelli, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i
media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti
umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il
paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con
i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto
dei servizi segreti anglo-americani.
Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei
sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno
per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità.
Meglio ricordare le immagini diffuse l’anno scorso dei ribelli di
Idlib (qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) che mostravano improbabili
soccorritori con abiti estivi e privi di protezioni occuparsi di
supposte vittime del gas nervino di Assad. Se così fosse stato gli
stessi soccorritori sarebbero morti in pochissimi minuti poiché
quell’agente chimico viene assorbito anche attraverso la pelle.
A suggerire prudenza prima di attribuire agli uomini di Assad
l’attacco chimico a Douma contribuiscono inoltre altre valutazioni.
Jaysh al-Islam è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili
come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i
curdi dell’aprile 2016.
Il cloro non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale
in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e
già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico.
I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo
chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi
incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli
stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere
civili e attribuirne la colpa a Damasco puntando così a incoraggiare una
reazione internazionale contro il regime di Assad.
Del resto fu il presidente Barack Obama, nel 2013, a indicare
nell’uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad, quel “filo
rosso” che avrebbe scatenato un intervento americano e non a caso ieri
Trump ha accusato il suo predecessore di non aver chiuso i conti allora
con Assad, definito “un animale”.
Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun
interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di
distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi
minuti non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate”
bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali.
Assad sta ripulendo le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli
jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché
dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per
cacciare i ribelli anche da Douma? Perché dovrebbe colpire quei civili
che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto
con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento
forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?
Il fatto che ieri Israele abbia invocato un attacco militare statunitense contro Damasco (conducendo poi un raid aereo contro la base T-4,
vicina a Palmyra, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese) e
Trump abbia accusato anche Russia e Iran in nome di un attacco chimico
che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare, induce a
ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione
propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche.
Washington infatti non ha escluso azioni militari contro Damasco
caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid
punitivi) mentre la Russia ha messo in guardia gli Usa contro un
“intervento militare per pretesti inventati” in Siria, che potrebbe
“portare a conseguenze più pesanti”.
La cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, specie dopo la
figuraccia rimediata dal ministro degli Esteri britannico Boris Johnson
che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal
direttore dei laboratori militari di Sua Maestà.
Tra l’altro la denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a
proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria
settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del
proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di
petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani.
Il ritiro dei 2mila americani rischia però di lasciare carta bianca
alle truppe turche nel nord del Paese e a quelle di Damasco nell’est,
per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si
oppone alla decisione annunciata da Trump.
Forse il presidente potrebbe essere costretto a cambiare idea di
fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della comunità
internazionale per i bambini uccisi dal cloro di Assad, “l’animale”
alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione
esemplare.
Foto: AP, Die Welt, Douma Media Center e SANA
10 aprile 2018di Gianandrea Gaiani
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