Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza.
Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso
inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati
Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori.
Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima:
manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali,
l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo
spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti
repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep
State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio.
Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla
Sicurezza Nazionale, Michael Flynn si dimette per aver nascosto alcune
conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di
irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con
l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato,
commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.
Il 6 aprile nuovo cedimento: l’altro fedelissimo Steve Bannon, viene
estromesso dal Consiglio nazionale della sicurezza, dove restano solo
falchi, tra cui molti neoconservatori. Dopo poche ore Trump rinnega i
capisaldi del suo discorso inaugurale e diventa improvvisamente
interventista. Bombarda con i missili una base militare in Siria, lancia
la Madre di tutte le bombe in Afghanistan, fa salire alle stelle le
tensioni con la Corea del Nord. Intanto al Pentagono, si affinano i
piani di guerra.
Trump appare normalizzato, inghiottito dall’establishment. E
improvvisamente il Russiagate sparisce dalle prime pagine, perde di
intensità e di importanza. Il presidente annuncia la revoca del Trattato
di libero scambio Nafta ma
dopo poche ore si rimangia tutto, a conferma del suo ammansimento. La
revoca dell’Obamacare torna d’attualità con il convinto assenso del
Partito repubblicano.
Poi, però, accade qualcosa. Trump ci ripensa o, almeno, dimostra di
volersi riprendere qualche spazio, soprattutto diplomatico. Dopo aver
incontrato da solo il leader cinese XI con cui stabilisce un ottimo
rapporto personale, esautora di fatto il Dipartimento di Stato,
decidendo da solo la visita dal Papa il 24 maggio e, soprattutto,
avviando un dialogo con Mosca, parla al telefono con Putin e riceve alla
Casa Bianca il ministro degli Esteri russo Lavrov.
L’establishment non gradisce e inizia ad agitarsi. Le polemiche
interne riaffiorano, i giornali ricominciano a descrivere una Casa
Bianca spaccata e caotica. Quando il presidente decide di licenziare il
capo dell’Fbi Comey, il Deep State dichiara una nuova e verosimilmente
definitiva, guerra al redivivo Trump. Seguendo i dettami illustrati dall’ex consigliere di Obama Kupchan che invitava ad “adoperare i media e l’opinione pubblica”, sulla
stampa amica ovvero New York Times e Washington Post fioccano
indiscrezioni e rivelazioni pesantissime, insinuanti e, come sempre,
anonime, ma di fonte sicura: servizi segreti, esponenti
dell’Amministrazione. Gli altri media amplificano. E l’isteria monta.
Qualunque voce o ricostruzione contro Trump viene presentata dai
media come sicura e provata, qualunque indizio a sua discolpa viene
relativizzato o ignorato. La Washington Post annuncia che le
informazioni passate a Lavrov durante l’incontro alla Casa Bianca sono
segrete e che il presidente ha messo a repentaglio la sicurezza
nazionale. Si scopre,tuttavia, che si tratta dell’allarme sulla
possibilità che l’Isis compia attentati sugli aerei nascondendo bombe
nei laptop, rischio noto da giorni, e lo stesso Putin smentisce di aver
ricevuto informazioni segretissime e si dice pronto a dimostrarlo. Ma
non basta a riportare la quiete. Mc Cain cita il watergate, i
democratici incalzano, i media attaccano con toni scandalizzati.
E ora? Un esponente di lungo corso della politica Usa, insospettabile
perché rappresenta la sinistra americana, Dennis Kucinich, legge con
molta lucidità la situazione. Ricorda di non aver nulla in comune con
Trump ma in un’intervista a Fox News giudica pretestuosa questa campagna.
“Se l’informazione era così sensibile perché è stata passata al Washington Post?”
si chiede. E ancora:
“”Qualcosa è fuori controllo.C’è un tentativo di stravolgere la relazione con la Russia. (…) Dobbiamo chiederci: perché l’intelligence sta cercando di sovvertire il presidente degli Stati Uniti con questi leaks? (…) Guardi, io sono in disaccordo con Trump su molte questioni ma su questa ci può essere solo un presidente e qualcuno nel mondo dei servizi segreti sta cercando di rovesciare questo presidente al fine di perseguire una linea politica che ci mette in conflitto con la Russia. Il punto è: perché? E chi? Abbiamo bisogno di scoprirlo”.
Kucinich ha quasi certamente ragione. Qualunque pretesto è utile per perseguire lo scopo finale: ribaltare
la volontà popolare, cacciare Trump e mantenere il potere nelle mani
dell’establishment, al cui interno si annullano le differenze politiche
tra destra e sinistra, e che governa gli Usa dai tempi di Kennedy.
Il successore è già pronto: è il vice Mike Pence, che non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano. Di lui si fidano.
da Il Cuore Del Mondo il blog di Marcello Foa - 17 maggio 2017
fonte: http://blog.ilgiornale.it
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