Ci
sono dei dati elaborati dallo Svimez che indicano la presenza della
mafia, praticamente, su tutto il territorio nazionale, ma con
percentuali che liquidano i fiumi di inchiostro usati per scrivere tutti
i romanzi sul Sud sempre presentato come territorio esclusivo della
malavita organizzata. Questi dati dimostrano, infatti, che il peso
mafioso nelle attività imprenditoriali “legali” risultano del 19 per
cento del Pil nel centronord e del 14 per cento nelle zone del Sud; ma
anche se si parla di attività criminali propriamente “illegali” il
primato del Nord si afferma con l’11,5 per cento contro il 6,7 per cento
del Sud.
Dati di questo tipo avrebbero dovuto determinare reazioni di allarme
della grande stampa nazionale con veri e propri gridi di dolore mentre,
al contrario, l’informazione dei “giornaloni” ha scelto di ignorarli
facendo calare su di essi un colpevole silenzio. L’allarme avrebbe
dovuto essere anche dello Stato che, probabilmente, si sente appagato
dalle notizie delle “attività di contrasto” esercitate al Sud dagli
apparati all’uopo preposti. Se al Nord, infatti, le inchieste si contano
sulle punte delle dita (anche se coinvolgono città come Milano, Torino,
Bologna e Roma) e colpiscono direttamente le cosche mafiose
trasferitesi su quei territori, al Sud, pur essendo diminuito il peso
mafioso, come certificano i dati Svimez, la quantità di operazioni
scodellate trimestralmente, è abnorme.
C’è, quindi, qualcosa che non va. O stanno sbagliando al Nord dove ci
si limita a fare il minimo indispensabile colpendo i nuclei mafiosi
veri e propri, o si sta sbagliando al Sud con inchieste, dai nomi
altisonanti, che vengono sfornate a getto continuo e colpiscono quasi
sempre gli stessi malviventi, ma vengono “condite” con la presenza di
politici, imprenditori e soggetti indicati come appartenenti ad un
fantomatico “terzo livello”. In sostanza al Sud si è letteralmente in
uno stato di perenne emergenza.
Questa emergenza ha prodotto almeno due tipi di “professionisti
dell’antimafia” come li chiamava Leonardo Sciascia: il primo
rappresentato da quanti, provenienti dalla società civile, vivono con le
sovvenzioni pubbliche, per il loro impegno antimafioso, e resterebbero
senza “lavoro” se la mafia scomparisse dai loro orizzonti; e il secondo
rappresentato dai magistrati che, poi, sono quelli a cui si riferiva
direttamente il grande intellettuale siciliano. I primi pensano alla
propria pagnotta, i secondi vogliono cucirsi addosso l’abito degli
“esperti” della lotta alla mafia, che serve, eccome se serve, per
raggiungere Direzioni nazionali di strutture antimafie, o di Procure di
alto prestigio.
Se a questi si aggiungono i Prefetti che gerarchicamente dipendono
dal ministero degli Interni che producono “interdittive” e scioglimenti
di Consigli comunali effettuati anche se essi erano già stati sciolti,
per le dimissioni dei rispettivi sindaci, come Gioia Tauro, Laureana di
Borrello e Bova Marina. Il CdM su proposta del ministro dell’Interno ha,
quindi, sciolto Consigli comunali già sciolti da diversi mesi (essi
avrebbero potuto andare a nuove elezioni con la tornata di giugno senza
privare i cittadini degli organi democratici previsti dalla
Costituzione).
Ma la voglia di apparire, sommata allo spirito autoritario acquisito
nel vecchio Pci ed alla necessità del mantenimento dello status di
ministro bravo e capace, è una malattia non facilmente superabile. Tra
l’altro, per le “interdittive” non c’è bisogno di prove a sostegno dei
provvedimenti che stanno causando un vero e proprio deserto economico,
con le chiusure di molteplici attività imprenditoriali e commerciali; e
anche per lo scioglimento dei Consigli comunali si colpisce solo la
cittadinanza e non chi ha commesso un reato. Si tratta, quindi, di solo
“fumo negli occhi” che distoglie l’attenzione dai veri problemi del
Paese a partire dal vuoto rappresentato dagli ultimi governi.
Parlare, allora, di falsa lotta alla mafia è il minimo perché essa
non determina passi avanti nel contrasto alla delinquenza organizzata,
ma consolida, consciamente o inconsciamente, l’immagine di territori di
frontiera dove è necessario usare la mano dura e senza risparmio.
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