Il volume “Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere” scardina i mantra del politicamente corretto. "Politici e media definiscono profughi quelli che sono clandestini. Il trucco è che se togliamo di mezzo la parola che esprime un significato, quel significato scompare"
"Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere”
(Aracne Editore) è uno strumento agile, documentato e preciso per
scardinare i mantra del politicamente corretto che imprigionano il
dibattito pubblico. Il libro di 88 pagine scritto a sei mani dal giurista Giuseppe Valditara, dal demografo Gian Carlo Blangiardo e dal giornalista Gianandrea Gaiani
affronta il tema dal punto di vista della legalità, della sicurezza e
della tutela degli interessi nazionali fornendo analisi, documenti,
pregressi storici e possibili soluzioni.
Gaiani,
direttore di Analisi Difesa, in Italia esiste un tabù legato al
linguaggio. Si ciancia tanto di post-verità, “fake-news” e “bufale” poi
grandi media e politici parlano di “sbarchi di profughi o rifugiati” e
di “profughi ospitati”. La parola clandestino è diventata
impronunciabile.
Siamo di fronte a un nuovo tipo di
linguaggio utilizzato dai recenti governi italiani perché il termine
clandestino viene considerato “non inclusivo”, come disse a La7 il
viceministro degli esteri Giro. Ma non possiamo chiamare rifugiato,
naufrago o profugo quello che è un immigrato clandestino. Nel romanzo
“1984”, Orwell parla di una neolingua che il regime utilizzava per
togliere significato alle parole. Se togliamo di mezzo la parola che
esprime un significato, quel significato scompare. Per paradosso, se
chiamassimo benefattori i ladri non calerebbero i furti. Il rifugiato è
colui che riceve lo status di rifugiato, ma quando arriva sui barconi
non ha ancora ricevuto alcuno status. Ciò che dimostra come la parola
clandestini, o immigrati illegali, sia la più idonea è il fatto che gli
scafisti vengono incriminati per favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina.
In tre anni siamo ne sono arrivati mezzo milione, attraverso il servizio di trasporto clandestini delle nostre navi.
Occorre
usare le nostre flotte per contrastare i traffici, non per favorirli.
Bisogna mettere in campo i respingimenti assistiti.
In che modo?
Gli
immigrati andrebbero raccolti in mare, caricati su una nave da sbarco
italiana e riportati sulle spiagge libiche. In Italia andrebbero portati
solo bambini non accompagnati, feriti e donne incinte, per poi
rimpatriarli in un secondo momento. Se necessario, come deterrente
andrebbero schierate navi da guerra italiane davanti alle coste libiche.
Ci raccontano che sarebbe impossibile…
Si
dice che è impossibile, tra le altre cose, perché in Libia non c’è un
governo. Ma proprio perché non c’è un governo o c’è un governo troppo
debole è impensabile fare accordi. Metà del Pil della Tripolitania
deriva dai traffici di essere umani. È illusorio pensare che Al-Sarraj,
lo pseudo premier che non mette piede nella capitale perché gli
sparerebbero addosso, governi il suo territorio. E se anche avesse
un’influenza come potrebbe imporre alle tribù, le stesse a cui chiede il
sostegno, di interrompere traffici che producono guadagni?
Chi arriva in Italia?
L’82%
sono maschi, dai 16 ai 35 anni. E molti di loro provengono da Paesi
considerati “tigri africane” che registrano una crescita notevole del
Pil. Certo le condizioni di vita non sono paragonabili alle nostre, ma
da 70 anni i Paesi occidentali regalano soldi ai governanti africani che
se ne fregano della loro gente. Al contrario, dovremmo dire a questi
Paesi che interromperemo i finanziamenti per lo sviluppo se non si
riprenderanno i loro connazionali che non hanno diritto a stare in
Europa.
Ci raccontano che da noi arrivano profughi di guerra o persone che fuggono dalla fame.
In
Italia arriva chiunque sia in grado di pagare i criminali che
gestiscono i traffici. Un viaggio può costare 10mila euro, cifra
considerevole in assoluto e ancor più per il contesto africano. Due anni
fa sono stato in Niger, punto di partenza per gli immigrati che
dall’Africa subsahariana arrivano in Italia attraverso la Libia. Non
parte chi muore di fame, ma chi ha delle possibilità economiche, soldi
recuperati magari vendendo una casa o un’attività. Chi muore di fame non
ha appunto i soldi per procurarsi il cibo, figurarsi se li ha per
pagare un trafficante. C’è stato il caso di una ragazza marocchina che
si è sentita male dopo essere arrivata in Italia: si è scoperto che
erano i postumi di una liposuzione, un’operazione di chirurgia estetica
eseguita in Marocco sborsando 5mila euro, che da quelle parti è una
cifra notevole.
Per anni poi ci hanno raccontato che
era folle e anche un po’ razzista parlare di un nesso tra terrorismo
islamico e immigrazione.
In questi traffici sono
coinvolte le organizzazioni di estremisti islamici, da Al-Qaida nel
Maghreb allo Stato Islamico. La spiaggia da cui partono i barconi in
Libia è Sabrata, dove c’è una base dell’Isis che gli americani
bombardarono lo scorso anno. Sappiamo tutto di questi traffici, sappiamo
delle collusioni col terrorismo, eppure continuiamo a incoraggiarli.
Benchè tutti neghino il rapporto diretto tra immigrazione e terrorismo,
molti nostri leader incluso Gentiloni quando era ministro degli Esteri o
Emma Bonino ministro del governo Letta, fecero precise dichiarazioni in
contesti internazionali sul fatto che il terrorismo islamico utilizzi
l’immigrazione per infiltrare jihadisti. Lo sappiamo almeno dal 2013.
Il
governo all’improvviso si è detto pronto a effettuare i rimpatri.
Quando le stesse cose le diceva Salvini i media di regime si scatenavano
con accuse di vario tipo. Ora tacciono.
Minniti ha
detto cose condivisibili, ma quando sostiene che prima di espellerli
occorre accordarsi con i Paesi di provenienza sbaglia. Io dico che
dobbiamo riportarli sulle spiagge libiche, che occorre fermare gli
arrivi. Se impieghi 3 anni a effettuare un rimpatrio, nel frattempo
quanti altri ne saranno arrivati? Il saldo sarà sempre negativo. Se
iniziamo a riportarli indietro, sulle spiagge di partenza, poi nessuno
spenderà soldi sapendo che non riuscirà ad arrivare in Europa.
Millantare
una linea dura nei confronti dell’immigrazione, dopo aver predicato e
praticato l’accoglienza indiscriminata, è trucchetto da campagna
elettorale?
Tutti i Paesi che hanno accolto in maniera
indiscriminata adesso provano a cambiare registro. Ora che la Germania
ha problemi di ordine pubblico spaventosi, la stessa Merkel si è
ricandidata parlando di espulsioni dei clandestini. Siccome quest’anno e
il prossimo si voterà in diversi Paesi europei, ho l’impressione che
molti di questi governanti puntino a convincere l’elettorato di essere
in grado di tenere una linea più dura sull’immigrazione, allo scopo di
arginare l’emorragia di consensi verso i partiti definiti come
“populisti”, che poi in realtà sono quelli che tutelano gli interessi
nazionali.
A chi giova l’immigrazione massiva?
Che
interesse abbiamo a riempire l’Europa di immigrati islamici che
assorbiranno welfare senza condividere i nostri valori, come disse il
ministro degli esteri britannico Hammond? In Italia solo l’assistenza
costa 4 miliardi l’anno. A meno che non si voglia pensare al business
dell’accoglienza, alle cooperative legate a diversi carrozzoni politici,
di sinistra ma anche cattolici.
fonte: http://www.ilpopulista.it
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