Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità . Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001. L'autore non è responsabile per quanto pubblicato dai lettori nei commenti ad ogni post. Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy. Alcuni testi o immagini inserite in questo blog sono tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo via email all'indirizzo edomed94@gmail.com Saranno immediatamente rimossi. L'autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.


Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

23/03/17

PAESAGGIO CON ROVINE






Un quadro sconfortante del degrado, dissoluzione e scomparsa della nostra identità nel gran calderone della globalizzazione forzata. Il paesaggio con rovine non è soltanto intorno a noi è dentro ciascuno di noi di Francesco Lamendola  
 
 
Paesaggio con rovine
 
di
 
Francesco Lamendola
 
 
 
Un caro amico di ritorno da Parigi, città nella quale manchiamo da molti anni, ci ha fatto un quadro sconfortante del degrado e della dissoluzione della douce France, della scomparsa della sua identità nel gran calderone della globalizzazione forzata. Non solo nelle periferie, ma anche nei quartieri storici, come Montmartre, si vede ormai un francese, anzi, un bianco, ogni dieci, ogni venti persone; e questi stranieri parlano nella loro lingua, vestono alla loro foggia, hanno i loro negozi, vivono una vita parallela e assolutamente non integrata con quella dei parigini. Di più: non mostrano alcun desiderio, alcun interesse ad integrarsi. Non amano la Francia, né la civiltà europea: anche dopo due, tre generazioni, non si considerano francesi, né europei, anche se sulla carta d’identità sta scritto che sono cittadini francesi. Senza dubbio avvertono che, nel giro di pochi anni, avranno preso il sopravvento, grazie alla prolificità delle loro donne, come aveva profetizzato l’algerino Boumedienne e come ha ribadito, appena l’altro ieri, il turco Erdogan; mentre gli europei non han di meglio da fare che escogitare delle leggi mediante le quali sia sempre più facile separarsi, divorziare, abortire, ottenere figli con la fecondazione artificiale, cambiare sesso, veder riconosciuto il diritto all’eutanasia per sé e per i propri bambini. Al nostro suicidio biologico si contrappone l’incessante crescita demografica degli stranieri immigrati in Europa: e non è necessario essere degli esperti di matematica o di proiezioni demografiche per capire cosa ciò significhi.
D’altra parte, il nostro suicidio biologico ha inizio da lontano ed è parte di un fenomeno più vasto, fatto di tutta una serie di complessi, rimorsi, paure, frustrazioni, amarezze, sconfitte, alimentate ad arte e gonfiate al massimo, ottenendo l’effetto di paralizzare la nostra volontà e di alimentare una contro-cultura che esalta il disordine, la negatività, il pessimismo, il relativismo, l’incomunicabilità, il nichilismo, l’edonismo bestiale, il materialismo esasperato, ogni sorta di degenerazioni e di vizi, e, da ultimo, la morte. Abbiamo coltivato il  nulla e abbiamo acclamato i maestri del  nulla, a lungo, con convinzione, con ostinazione: ora raccogliamo i frutti disastrosi di questa contro-educazione, di questa voluttà di disfacimento e di morte. Ecco: l’Europa, oggi, anzi, tutto l’Occidente, non è altro che un lugubre, desolato, allucinante paesaggio con rovine, nel quale noi ci aggiriamo stralunati e inebetiti, simili a dei morti viventi dopo una catastrofe inimmaginabile. La città consumista è il nostro cimitero e noi siamo gli zombie del cosiddetto benessere, sopravvissuti a noi stessi, vergognosi di mostrarci per quello che siamo diventati, eredi degenerati di una forte e sana razza di lavoratori, di padri e di madri capaci di altruismo e abnegazione, di lavoratori con il culto dell’onestà, di cristiani che prendevamo sul serio le cose di Dio.
Paesaggio con rovine è il titolo di uno dei libri di Piero Buscaroli: una straordinaria figura di musicologo, giornalista, studioso eclettico e versatile, che è venuto a mancare, nel silenzio assordante della cultura politically correct, il 15 febbraio di un anno fa: troppo "di destra" per meritare una parola di stima, se non di affetto, lui che, fra le altre cose, aveva fatto conoscere in Italia autori pressoché ignoti, come il romeno Vintila Horia, e che aveva scritto una monumentale biografia di Bach (oltre 1.200 pagine) andata a ruba negli Oscar Mondadori. Nulla di nuovo, del resto: i salotti buoni della cultura italiana, da sempre, sono monopolio esclusivo della sinistra, e quindi le lodi sperticate che vi si riserva all'ultimo scalzacane che invoca la dignità del matrimonio omosessuale, il diritto all'eutanasia, l'accoglienza indiscriminata verso i poveri "profughi” che non sono poi neanche tali, con l'obiettivo neppure nascosto di usufruire dei loro voti, quando avranno ottenuto la cittadinanza, si accompagnano all'insindacabile diritto di decretare l'ostracismo, e poi l'oblio, a quanti non si allineano ai suoi dogmi; perciò il trattamento riservato a Buscaroli non deve stupire, e infatti non stupisce nessuno. Stupirebbe, o peggio, se vivessimo in un Paese normale: invece viviamo in un Paese dove la cultura è fatta da una casta d'intellettuali che si credono all'avanguardia e sanno solo puntare il ditino contro quelli che a loro non piacciono, senza accorgersi di avere accumulato un ritardo storico di almeno quaranta o cinquant'anni. Sono rimasti a Gramsci e a Gobetti, a don Milani e a Pasolini, loro che hanno dato l'ostracismo a Eugenio Corti, a Buscaroli, a Marcello Veneziani e specialmente a Maurizio Blondet; loro che preferiscono i lazzi di Dario Fo alla pensosità di Ezra Pound, che hanno ammirato Moravia e denigrato Cassola, che sono andati a lezione da Toni Negri e fatto finta di non conoscere Evola (pur leggendolo di nascosto, e rubandogli più di qualche idea). Loro che, per bocca di Gad Lerner, sanno solo accusare chi, come Gianfranco De Turris, la pensa in maniera diversa dalla sacra Vulgata neocomunista, o che, come Erri De Luca, sentenziano che la cultura serve a rendere cosciente dei propri diritti contro gli sfruttatori. La scuola di don Milani, appunto, o di David Maria Turoldo; e prima ancora, di Dossetti e di Lazzati: la scuola del cattocomunismo e del rancore sociale travestito da cattolicesimo.
Ma attenzione: il paesaggio con rovine non è soltanto intorno a noi, non è soltanto l’Europa imbruttita e devastata da una omologazione laicista e da una sostituzione dei popoli senza precedenti; esso è anche, e in primo luogo, dentro ciascuno di noi. Noi moderni, noi post-cristiani, non cittadini del terzo millennio chiamati a un bilancio totalmente fallimentare delle nostre esistenze, della religione dei falsi dèi che abbiamo adorato e che continuiamo, imperterriti, ad adorare: le macchine, i solidi, il successo e il piacere, come le bestie. Il nostro fatale indebolimento parte da lontano e precede di parecchio l’inizio dell’invasione dei cosiddetti profughi, la quale, peraltro, è stata accuratamente programmate ed è guidata con criteri quasi scientifici da quanti, come George Soros, hanno deciso che l’Europa deve cessare di esistere. Noi non crediamo più in noi stessi, e abbiamo ragione, perché non c’è motivo di credere nel nulla, anche se quel nulla siamo noi ed è il nostro mondo. Un mondo ormai fatto solo di cose, di telefonini, di vestiti firmati, e sempre più povero, sempre più vuoto di affetti, di valori, di spessore etico.
Allo stesso tempo stiamo coltivando scrupolosamente i sensi di colpa che ci tolgono la fierezza e la fiducia nel futuro. Abbiamo deciso di caricarci sulle spalle la responsabilità per tutti i malanni dell’universo mondo, e non solo quelli storici, ma anche quelli naturali. Ci sentiamo in colpa, perché c’è chi vuole farci sentire in colpa. In molte scuola elementari i bambini vengono istruiti a giocare a pallavolo stando seduti per terra, per capire cosa vuol dire essere senza gambe, o con gli occhi bendati, per rendersi conto di cosa significhi essere privi del senso della vista. Intanto, però – strana contraddizione - degli “esperti” vengono nelle classi a spiegare che i disabili sono persone come tutte le altre, e che non c’è nessuna differenza tra l’essere in carrozzina e camminare sulle proprie gambe. Insomma, chi non è disabile deve sentirsi in colpa di non esserlo, però la disabilità non esiste, è un fatto mentale, un pregiudizio, una prepotenza, una forma di razzismo. Altri “esperti”, provenienti per lo più dalle organizzazioni LGBT, vengono nelle classi a spiegare che il maschile e il femminile non esistono, che sono solo un pregiudizio, e che ciò che esiste sono gli orientamenti sessuali, qualcosa di fluido, di mutevole, che dipende solo dalla nostra libera scelta, alla quale gli altri si devono inchinare. In altre parole, chiedere a un bambino come si chiamano la mamma e il papà e un crimine di tipo razzista, perché disconosce la bellezza di avere due mamme lesbiche o due papà omosessuali, e nega implicitamente la bellezza delle famiglie “arcobaleno”, magari arricchite da qualche bel bambino ordinato su catalogo.
Anche la nostra religione, o ex religione, ha assunto l’aspetto di un paesaggio con rovine. C’è stato un tempo - e noi, da bambini, abbiamo fatto ancora in tempo a viverlo - in cui la religione cattolica trasfondeva nella società, nelle famiglie e nei singoli individui, un riflesso d’infinito: leniva le sofferenze e dava loro un significato più alto; sosteneva le persone nelle fatiche, nelle lotte, nelle delusioni; chiedeva a ciascuno di dare il meglio di sé, e, se qualcuno non ci riusciva, lo induceva a farsi delle domande, a mettersi in discussione, e proporsi di far meglio la prossima volta. In breve, e pur con qualche limite, che non vogliamo ignorare o minimizzare (una esagerata sessuofobia, per esempio), l’educazione cristiana e il senso cristiano della vita conferivano all’esistenza una nota gentile, una tonalità più dolce e delicata, e vi immettevano un raggio di consolazione e di speranza. Le persone entravano in chiesa per pregare, per parlare con Dio, e vi trovavano pace, silenzio, possibilità di raccoglimento; trovavano una liturgia solenne, una omiletica ispirata alla dottrina cristiana, che era di aiuto nei casi della vita, e, nello stesso tempo, non autorizzava a prendersi troppa confidenza con Dio, non disperdeva il timor di Dio, anzi, ricordava agli uomini la loro piccolezza, la loro fragilità e la necessità di affidarsi a Dio per trovare ciò che da soli non possono raggiungere: la verità, la giustizia, l’amore autentico, la pace.
Nel cattolicesimo del terzo millennio regnano invece la confusione, l’agitazione, la smania di abbassare il divino al livello dell’umano, di togliere il mistero, di spiegare tutto, di promuovere l’uomo da servitore a padrone, di illuderlo che tutto vada bene purché egli segua onestamente la propria coscienza: ma lasciando a ogni coscienza la piena libertà di fare o non fare tutto ciò che le piace, tutto ciò che sembra vero e giusto e buono e bello, così, a proprio insindacabile giudizio (infatti è ben noto che i cretini sono scomparsi dalla faccia della terra, e così pure i delinquenti, ora ci sono solo i geni come Aristotele, o le persone che vivono una qualche forma di disagio per colpa della società brutta e cattiva, ma cattive, loro, non lo sono, anche se hanno accoppato il papà e la mamma a colpi di accetta, per ereditarne soldi e beni). In breve, siamo nell’era del vangelo secondo me. L’ultima novità, si fa per dire, è il vangelo secondo Fabrizio De André: dove tutti vanno in paradiso, senza bisogno di pentimento, e dove i peccatori verranno prima di tutti gli altri: il che è un deliberato fraintendimento della parola di Cristo, il quale ha detto, sì, che gli ultimi saranno i primi e che molti dei primi saranno gli ultimi, ma ha pure detto che il peccatore deve convertirsi, deve mutar vita, deve smettere di peccare e non tentare, non stancare la pazienza di Dio e la sua misericordia; che, se l’occhio, o il piede, o la mano gli sono dio scandalo, è meglio che se li tagli; che al peccatore contro lo Spirito Santo non verrà mai perdonato, e che chi scandalizza i piccoli che credono nel Vangelo, farebbe meglio e legarsi una macina da mulino al collo, e gettarsi nel mare. I cristiani del V secolo avevano sant’Agostino come maestro di teologia; quelli del XIII secolo, avevano san Tommaso d’Aquino; quelli di oggi hanno le canzoni di Fabrizio De André e le prediche, o piuttosto le concioni, di don Andrea Gallo, ora pienamente rivalutati e ufficializzati da papa Francesco e da intellettuali come Franco Cardini. I credenti del XIV secolo avevano Dante quale massimo cantore della poesia cristiana, noi abbiamo i Promessi Sposi a fumetti. Essi avevano Giotto per illustrare la storia sacra sulle pareti delle chiese, i cristiani dei nostri giorni hanno Ricardo Cinalli, noto artista omosessuale e celebratore della sodomia nel grande affresco del duomo di Terni, commissionatagli dall’allora vescovo Vincenzo Paglia. Con un Cristo che porta in cielo tutti quanti, senza domandar loro il piccolo dettaglio della conversione: li porta d’ufficio, così, per simpatia, come gli studenti sessantottini volevano, pretendevano il “sei politico”, così, senz’altra ragione che la protesta contro l’autoritarismo dei professori. Ecco: anche questo è un paesaggio con rovine. Le rovine della nostra fede e quelle della nostra anima.
Sempre quell’amico ci riferiva di come la cattedrale di Notre-Dame sia diventata una specie di bazar trafficatissimo, dove non si godono mai più di cinque minuti di silenzio per pregare: partono continuamente le voci registrate che invitano i turisti a visitare i “tesori cristiani”. I quali turisti, senza dubbio, non sanno che la cattedrale non è quella originale del Medioevo, ma quella rifatta da Viollet-le-Duc, perché i rivoluzionari del 1789 l’avevano semidistrutta; e nemmeno gli studenti, del resto, lo sanno. Non viene loro insegnato. Come potrebbe essere diversamente? Se il 14 luglio è la festa nazionale francese, bisogna promuovere l’idea che illuminismo e rivoluzione hanno segnato l’inizio delle magnifiche sorti e progressive. Con la testa del governatore de Launay portata in giro per le vie di Parigi in cima a una picca, come farebbe la più sanguinaria tribù di cannibali. Ecco, questa è la Francia, questa l’Europa odierna, figlia dell’illuminismo e della rivoluzione. Un’Europa senza identità, perché il passato era il male, bisognava cancellarlo e riscrivere il presente partendo da zero, da una pagina bianca. La pagina bianca era quella della Ragione. Ora vediamo dove ci ha portati quella Ragione: una ragione libera spregiudicata, senza Dio e senza gratitudine per gli avi. Ci ha portati a magnificare l’amore omosessuale, a celebrarne la superiorità su quello eterosessuale, perché più puro e disinteressato, come affermava Umberto Veronesi; mentre gl’immigrati africani e islamici stanno facendo figli, nelle nostre città e nei nostri paesi, ad un ritmo tale che, assai presto, ne saremmo sommersi. È razzismo, dire queste cose? Secondo Nichi Vendola o la signora Boldrini, sì. Se, dunque, questa è la situazione, che cosa possiamo fare? Non molto, onestamente. Possiamo scegliere di mutar rotta, di cambiare il nostro stile di vita. Forse è già tardi. Possiamo però pregare...
 
 
Francesco Lamendola

Nessun commento:

Posta un commento